Covid, ecco perché servono i richiami dei vaccini

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Foto di Jeyaratnam Caniceus da Pixabay

L’efficacia dei richiami (booster) con vaccino anti COVID bivalente nei confronti dell’infezione grave da Omicron, è stata dimostrata in uno studio condotto dal 1° settembre all’8 dicembre 2022 (Dan-Yu Lin). In particolare, i vaccini bivalenti hanno fornito una protezione aggiuntiva contro l’infezione grave da Omicron, in persone che erano state precedentemente vaccinate, anche se questa protezione tendeva a diminuire nel tempo. Da segnalare che comunque l’efficacia dei booster bivalenti era superiore a quella dei booster monovalenti. È stato progettato un vaccino a sub-unità costituito da due componenti, la parte recettoriale del virus (RBD) e il dominio N-terminale (NTD) della proteina spike virale. Questo nuovo vaccino che include NTD, migliora la capacità di risposta delle cellule T e la capacità neutralizzante degli anticorpi nei confronti di più varianti di SARS-CoV-2.

Questo iniziale studio (Isabelle Montgomerie) sembra fornire una promettente strategia di vaccinazione di richiamo vaccinale in grado di proteggere nei confronti di un numero maggiore di varianti di SARS-CoV-2. La relazione bi-direzionale che esiste tra microbiota intestinale e COVID-19, è stato oggetto di uno studio (Tanya Ralli) che ha indicato come il microbiota intestinale sia in grado di avere un impatto sui polmoni, tanto da condizionare l’evoluzione dell’infezione da COVID-19, mentre SARS-CoV-2, a sua volta, può alterare la composizione microbica intestinale. Questo studio permette di meglio comprendere i meccanismi attraverso il quale il microbiota può influenzare gli esiti della malattia e nel contempo prospettare l’impiego dei prebiotici, probiotici ed eventualmente anche del trapianto fecale in corso di COVID-19 per migliorare la prognosi. Siamo però agli albori di un nuovo approccio terapeutico che potrebbe rivelarsi estremamente utile anche se, per essere attuato, richiede necessariamente l’effettuazione di ulteriori studi.

Una ricerca ha dimostrato (Tetsuya Suzuki) che, nonostante il rilevamento di RNA virale nel naso e nel faringe dei soggetti infettati sottoposti ad erogazione di ossigeno tramite cannula nasale, non c’è dispersione del virus nell’ambiente, dal momento che né l’RNA virale né il virus vitale sono stati rilevati in un campione di aria ottenuta a mezzo metro di distanza dalla cannula nasale stessa. L’attuale lieve aumento dei contagi che è stato segnalato in Italia nell’ultima settimana, che si associa anche con un lieve incremento delle ospedalizzazioni, pur in presenza di una netta riduzione dei decessi (-18%), non deve stupire più di tanto, dal momento che testimonia di una condizione epidemiologica fluida con periodiche espansioni e contrazioni della diffusione di SARS-CoV-2 tipiche di una fase endemica di malattia. Del resto, l’alto numero di vaccinati, la presenza di una immunità naturale piuttosto diffusa sia della sola dell’infezione che dell’infezione avvenuta in vaccinati (immunità ibrida), induce a ritenere che l’attuale situazione epidemiologica non sia particolarmente allarmante. Per quanto attiene la protezione conferita dall’infezione da SARS-CoV-2 nei confronti della reinfezione, una revisione sistematica ed una meta analisi che ha riguardato 65 diversi studi effettuati in 19 paesi diversi condotti dall’inizio della pandemia alla fine di settembre 2022 (COVID-19 Forecasting Team), ha indicato che la protezione conferita da una precedente infezione da variante pre-Omicron risultava essere molto elevata e tale rimaneva anche dopo 40 settimane. La protezione nei confronti della variante Omicron 1 era però inferiore e tendeva a diminuire più velocemente rispetto alle precedenti varianti. A fronte di questo risultato era però significativo il fatto che la protezione nei confronti della malattia grave risultava elevata contro tutte le varianti, comprese quelle Omicron. Questo studio sottolinea quindi l’importanza dell’immunità conferita da una precedente infezione che, insieme alla somministrazione del vaccino deve essere attentamente valutata in futuro per stabilire le strategie di controllo della malattia COVID-19.  L’efficacia e la sicurezza di un vaccino contro la sub-unità proteica di SARS-CoV-2 (ZF2001) in bambini ed adolescenti di età compresa tra 3 e 17 anni, è stato oggetto di due studi, uno di fase 1 ed uno di fase 2 (Lidong Gao) che hanno indicato come il vaccino somministrato in questa fascia di età sia ben tollerato e stimoli un’adeguata risposta immunitaria, anche se la capacità neutralizzante del siero dei vaccinati risulta minore nei confronti di Omicron 2. Uno studio condotto in Svizzera (Lea Portmann), basato sui dati ottenuti dal registro nazionale COVID-19 e da quello dell’influenza, ha considerato i pazienti ospedalizzati, di età uguale o maggiore a 18 anni, con infezione da variante Omicron e ricoverati tra il 15 gennaio ed il 20 marzo 2022. Dai risultati di questa ricerca è emerso che c’è un aumento significativo del rischio di mortalità ospedaliera nei pazienti COVID-19, rispetto a quelli con influenza, anche se la percentuale di ricovero in terapia intensiva risulta essere del tutto simile per entrambe le malattie.

Uno studio di coorte (Alan C. Kwan) ha confermato l’aumentato rischio di insorgenza di diabete dopo infezione da SARS-CoV-2 anche in questa fase epidemiologica in cui la variante Omicron è diventata dominante. Questo rischio è più elevato nei pazienti non vaccinati rispetto a quelli vaccinati, il che suggerisce un effetto protettivo nei confronti dello sviluppo di diabete da parte della vaccinazione. Anche se i meccanismi che portano allo sviluppo di diabete in corso di COVID-19 non sono stati ancora completamente acclarati, è più che verosimile ritenere che la persistente infiammazione indotta da SARS-CoV-2 possa contribuire all’insorgenza di resistenza nei confronti dell’insulina. Da questo studio non è però possibile estrapolare se anche il rischio di sequele cardio metaboliche di COVID-19 possa essere attenuato dalla vaccinazione.

È stato condotto in Cina uno studio (Zhenyu Zhong) che ha dimostrato che la vaccinazione precoce con un vaccino non a mRNA nei soggetti con pregressa infiammazione all’occhio (uveite) non attiva, causa un peggioramento dell’uveite sintomatica auto-riferita, rispetto al differimento della vaccinazione, anche se a tre mesi di distanza dalla vaccinazione non sono emerse differenze nella prognosi della malattia e nella capacità visiva.