La bellezza di riconoscere le proprie debolezze

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Sempre più frequentemente giovani personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport, della rete internet, artisti vari rivelano la voglia di dire “stop” per un po’ di tempo. Decidono quindi di fermarsi per tutelare la propria salute mentale. Sono abituati a non dover mollare mai, dovendo dare sempre il massimo e perseguendo i loro obiettivi nel minor tempo possibile. Rinunciano alle ore del sonno per essere eroi e guerrieri al fine di portare a casa la loro vittoria quotidiana contro il mondo. Devono soddisfare le aspettative altrui.

Fermarsi appare dunque inaccettabile, impossibile. Fermarsi sarebbe un segno di debolezza, come se la fragilità fosse la colpa di una persona che la società deve emarginare, nascondere, non far vedere agli altri. È ciò che la società sembra richiedere ad ognuno di noi, oggi. Io, invece, attraverso queste righe, voglio celebrare chi ha trovato nella condivisione delle proprie fragilità e nella ricerca di supporto non una debolezza, ma una fonte di forza. Complimenti per questa testimonianza luminosa!

Esprimere la propria debolezza è un invito a riconoscere che l’espressione della vulnerabilità e l’accettazione dell’aiuto sono passi coraggiosi verso la crescita personale, capaci di ispirare tutti, i giovani in primis, a spezzare il silenzio su questioni troppo spesso trascurate, fornendo loro un faro nel buio.

Una bravissima psicoterapeuta e scrittrice, Paola Versari, ci rivela, nel suo libro “L’inganno del successo” (Edizioni Ares), come nell’èra dell’attesa ossessiva di un like che esalti l’ego, nella quale l’«io» sembra neanche più intravedere il «tu», tutto diventa pressoché irrilevante se non viene confermato dallo share, dalla certificazione di essere stati riconosciuti, osannati, acclamati… Identificando il successo nella triade «celebrità-potere-denaro», esso finisce per costituire una mera illusione, un insidioso auto-inganno, piuttosto che il veicolo per il raggiungimento di un’autentica realizzazione esistenziale. Il pensiero del grande psichiatra austriaco V.E. Frankl – sopravvissuto ai campi di concentramento e che è stato capace di trovare un successo esistenziale nei luoghi di dolore – ci aiuta a comprendere come solo dedicando la propria vita a un compito e all’incontro con l’altro sia possibile pervenire al successo autentico. Una tale consapevolezza, il riconoscere e il vivere il vero successo, aiutano a ribaltarne il senso comune. È unicamente il successo autentico che apre alla vita vera, a quella che appaga pienamente e regala attimi di felicità ineludibili, pregni di un significato che non conosce inganno, come giustamente ricorda la Versari.

Bisogna, quindi, aiutare i giovani a impostare obiettivi raggiungibili per diminuire la pressione del dover eccellere in ogni ambito, promuovendo un senso di realizzazione e soddisfazione personale. Dobbiamo essere capaci di costruire ponti di comprensione e supporto, di tessere reti di sicurezza emotiva intorno ai giovani, per ricordare loro che non sono soli.

La vera debolezza è non riconoscere questo bisogno, mentre fare di tutto per risolvere il problema, per scendere nella propria interiorità, quello sì che è un segno di forza, di contatto con il proprio Sé. La strada per il successo, quello vero, apre le porte alla capacità di cogliere quale sia il proprio obiettivo, il proprio compito esistenziale, l’unico in grado di trasmettere l’adrenalina necessaria per vivere la vita nella prospettiva di un significato da comprendere e per il quale esistere.