La maschera della falsa santità

Il Vangelo di questa domenica mette in contrapposizione il fariseo e il pubblicano. Il primo, rispettoso della legge, si sceglie il primo posto nel tempio e si sente giusto e perfetto, invece il secondo si sente difettoso davanti a Dio, sceglie l'ultimo posto e si sente peccatore. Tempo fa ci sono state delle parole di Papa Francesco che hanno fatto scalpore proprio sull'ipocrisia che alle volte hanno tanti credenti, ecco le parole forti: “Le persone che vanno in chiesa, stanno lì tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri e parlando male della gente sono uno scandalo: meglio vivere come un ateo anziché dare una contro-testimonianza dell'essere cristiani. Il cristiano non è uno che si impegna a essere più buono degli altri: sa di essere peccatore come tutti. Il cristiano, semplicemente, è l'uomo che sosta davanti alla rivelazione di un Dio che chiede ai suoi figli di invocarlo con il nome di Padre, di lasciarsi rinnovare dalla sua potenza e di riflettere un raggio della sua bontà per questo mondo così assetato di bene, così in attesa di belle notizie.

C'è gente che è capace di tessere preghiere atee, senza Dio: lo fanno per essere ammirati dagli uomini. La preghiera cristiana, invece, non ha altro testimone credibile che la propria coscienza. Ecco, i sacri testi non sono letture senza conseguenze. “Dove c'è Vangelo c'è rivoluzione. Il Vangelo non lascia quieti, ci spinge: è rivoluzionario”. In particolare, il Vangelo di Matteo pone il testo del “Padre nostro” in un punto strategico, “al centro del discorso della montagna“. Beati i poveri, i miti, i misericordiosi, le persone umili di cuore: “È la rivoluzione del Vangelo”. Non possiamo essere cristiani con le pantofole o da salotto, oppure ci si sente giusti solo perché si fanno quattro preghiere e due opere di carità. Come diceva don Oreste Benzi: “La devozione senza rivoluzione non basta”. La “rivoluzione” in senso cristiano non è aderire ad un'idea o ad un partito, ma è abbracciare Cristo e il suo Vangelo che è sale della terra e luce del mondo.

Il fariseo è uno, nessuno, centomila ed è mascherato dalla sua falsa santità, cerca la vanità dei primi posti, funzionario del sacro, cerca la carriera umana nell'essere ammirato per le sue qualità. Invece il pubblicano, si riconosce misero e bisognoso di misericordia, cerca l'ultimo posto, si vergogna degli uomini e persino di Dio, ma è nella sua umiltà la sua grandezza. Dentro ciascuno di noi ci sono il fariseo e il pubblicano, bisogna lottare affinché il pubblicano che è in noi emerga più del fariseo, solo così Dio ascolterà la nostra preghiera non per la nostra “bravura”, ma per l'umiltà, proprio come dice la prima lettura: “La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata. Alla fine della vita, gli ultimi saranno in primi. I primi ad entrare nella porta del Paradiso e i primi a vedere il Volto del Signore. Gli ultimi saranno i primi, perché i primi, per fare i “primi”, non guardano nessuno, scavalcano tutti e si sentono i migliori in assoluto. I primi saranno ultimi nella classifica di Dio, e gli ultimi saranno i primi nel Regno dei Cieli.