Cosa significa lodare Dio

Per parlare della preghiera di lode bisogna prima di tutto parlare di preghiera, perché come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (2639) la preghiera di lode non è tutta la preghiera, ma “una forma di preghiera”, non isolata in se stessa, cioè isolata dal ringraziamento, dalla domanda, dall’intercessione, infatti ciò che unisce tutte queste forme è l’amore. Il Ccc n° 1639 dice ancora: “La lode integra le altre forme di preghiera e le porta verso colui che ne è la sorgente e il termine: il solo Dio”. Queste parole ci dicono che la preghiera di lode permette che ci sia l’orientamento giusto delle altre, non nel senso che tutto deve essere comandato dalla preghiera di lode, perché tutto deve essere mosso dall’amore, che è l’anima della preghiera. Tutte le quattro note della preghiera, che è azione d’amore, scaturiscono dall’azione dello Spirito Santo (Cf. Rm 5,4).

Enzo Bianchi in un articolo su Famiglia Cristiana del 6 gennaio 2013, considerando le parole del Compendio del Ccc n° 556 che qualificano la lode: “Completamente disinteressata”, dice che questa affermazione non va presa come termine di paragone, di misura, per la valutazione delle altre: “Credo però che la logica del paragone non si addica alla gratuità della lode, la quale va piuttosto compresa all’interno del movimento relazionale della preghiera”. E dice bene perché il “completamente disinteressata” va inteso nel senso che la lode in sé e per sé non chiede nulla, non intendendo dire che nella lode si raggiunge il puro amore, cioè l’amore disinteressato, che non chiede nulla, poiché sarebbe finire nella tesi quietista sul puro amore, che è questa: “L’uomo può arrivare ad amare Dio escludendo se stesso, poiché l’amore di sé sarebbe in contrasto con la carità. Ciò venne condannato dalla Chiesa” (Innocenzo XI, 1687; Innocenzo XII, 1699).

L’affermazione dell’amore puro o disinteressato, è infatti in contrasto con la natura che non vuole che l’uomo si distrugga sospendendo l’amore di sé; è poi contrario alla virtù teologale della speranza, che è amore verso Dio non in quanto è buono in se stesso, ma in quanto è il nostro Sommo bene, e quindi meta suprema del nostro essere. L’io non viene distrutto dall’essere in Cristo, ma viene elevato, purificato, – rimanendo però sempre imperfetto, poiché se la colpa originale ci è tolta nel battesimo non così le conseguenze, come esplicita Paolo nella lettera a Romani (7,18s) -, trasformato in Cristo, così come Paolo afferma di sé (Gal 2,20): “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Quindi Enzo Bianchi ha colto benissimo che il “completamente disinteressata” va posto dentro la relazione d’amore, scartando “la logica del paragone”, cioè del più o del meno. L’espressione del Compendio vuole solo dire che nella lode in sé e per sé non si chiede nulla, ma va rimarcato che non è possibile amare Dio senza desiderarlo, e perciò senza domandare a lui la forza, la luce, per potere averlo in eterno.

La preghiera nel cuore, nel profondo, “nel segreto” (Mt 6,4), dove Dio, che “scruta i cuori” (Rm 2,27), vede, è costituita di incessanti atti d’amore. E’ lo Spirito che unisce la sua azione di preghiera alla nostra preghiera, poiché “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza” (Rm 8,26). La preghiera si esprime nel profondo del cuore con atti d’amore, che oltre ad essere incessanti, sono “inesprimibili”, come dice Paolo (Rm 8,26, che con l’espressione “gemiti inesprimibili”, presenta il nostro stato di salvati e nello stesso tempo non ancora salvati: siamo infatti “nel già e nel non ancora”. La preghiera, nel centro più profondo del nostro cuore, si esprime senza parole, ma è accesa e alimentata dalle parole di vita del Signore (Gv 6,63.68).

E’ da lì che fiorisce sul labbro la lode, il ringraziamento, la domanda, l’intercessione, con parole limpide, piene di densità d’amore e di luce. Le parole della lode, del ringraziamento, della domanda, dell’intercessione, possono essere pronunciate senza che escano dal labbro, nella “cella interiore” del cuore, come quando facciamo la Comunione, mettendo in pratica le parole di Pietro (1Pt 3,15): “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori”, oppure quando diciamo giaculatorie pronunciate nel cuore.

Nella recita dei salmi avviene che esse siano donate, sono Parola di Dio, ci toccano, suscitando una reazione – noi volendolo sotto l’azione della grazia – di amore verso Dio, nella Chiesa, nell’apertura a tutti. I salmi sono recitati in Cristo, ed essi sono pieni di lui. Invitano a collocarsi nella Chiesa, ad essere quindi con chi soffre anche se tu in quel momento non soffri, e ad essere nella gioia anche se tu sei visitato dal dolore.

Nessuna delle quattro note della preghiera, può esprimersi in modo tale da azzerare le altre note, da non farle esistere. Ne è prova la preghiera insegnataci da Gesù, che è perfetta poiché in essa sono tutte presenti: la lode, il ringraziamento, la domanda, l’intercessione. E’ possibile tuttavia che l’orante sosti in maniera particolare sulla preghiera di lode o su ognuna delle altre tre, e le altre rimangano nello sfondo, ma pur vivono. In particolare la lode e il ringraziamento, pur distinte, operano strettamente insieme: la lode è ricca di ringraziamento e il ringraziamento è ricco di lode. La preghiera di lode, come ci insegnano i salmi e la tradizione, è necessaria all’amore verso l’Amato, e lo è tanto che (Ps 146/147) “E’ dolce innalzare la lode”, e lo è anche il ringraziamento tanto che (Ps 91/92): “E’ bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo”.

La preghiera di lode, della quale Francesco d’Assisi è maestro, è come dice il Ccc “la forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio”. Se riconosce vuol dire che c’è stata una conversione a lui. Le false visioni su Dio sono state annullate dalla Verità, accolta nella fede viva. L’anima che riconosce si è lasciata vincere dalla misericordia di Dio, che in Cristo si è rivelata e attuata.

La preghiera è fatta di conoscenza dell’Amato. Non si loda nessuno, o nessun gruppo, se non lo si conosce. La conoscenza viene dalla Rivelazione, dalla fede viva, e anche da quella conoscenza che può dare la ragione, che conduce a riconoscere l’esistenza di Dio.
La lode, in terra, non può mai essere perché si vede Dio così come egli è (1Gv 3,2); così anche l’estasi più alta non abolisce mai il velo (1Cor 13,12) che rende necessaria la fede. Non bisogna dire che si loda Dio per quello che è, e basta, perché quello che è noi lo conosciamo da quello che ha fatto. San Francesco nelle sue lodi all’Altissimo conosce Dio dalle opere della creazione e dalla Rivelazione.

Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende (Cf. Ps 76/77,15; Lc 1,49).
Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l’Altissimo (Cf. Ps 85/86,10).
Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, Re del cielo e della terra (Cf. Gv 17,11; Mt 11,25).
Tu sei trino ed uno, Signore Iddio degli dèi (Cf. Ps 135/136,2),
Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero (Cf. 1Ts 1,9).
Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza.
Tu sei umiltà. Tu sei pazienza.
Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei la pace.
Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia.
Tu sei temperanza. Tu sei ogni nostra ricchezza.
Tu sei bellezza. Tu sei mitezza.
Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro (Cf. Ps 120/121,4).
Tu sei fortezza. Tu sei rifugio (Cf. Ps 61/62,7-8).
Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna,
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore…..

Riconoscere che “Dio è Dio” è realtà in crescita, poiché è abbandono di false visioni su di lui. La vista di lui, nella fede, è soggetta a maggiore o minore capacità e questo dipende dalla purificazione: se l’occhio è ancora torbido, ben poco vede. La purificazione avviene per via d’amore, ma questo vuole l’obbedienza a Cristo, alla parola di Cristo, e l’obbedienza alla Parola deve essere perseverante e perciò deve essere unita alla pazienza (Cf. Gc 1,3). L’obbedienza è il luminoso sigillo dell’amore (Gv 14,15): “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”; (Gv 14,21): “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama”.

Lodare Dio è un’esigenza del cuore diventato cielo di Dio, come è esigenza del cuore diventato cielo di Dio ringraziarlo, invocarlo e pregarlo per gli altri. Non facciamo noi forse così nella vita? Non lodiamo noi chi si è dimostrato pronto all’altruismo, al dovere diligentemente compiuto? Forse non ringraziamo chi ci ha aiutato? Forse non domandiamo soccorso, aiuto, trovandoci in difficoltà? Non ci adoperiamo noi forse per gli altri, chiedendo aiuto per un vicino di casa solo o altre situazioni, che non sono le nostre? Allora, se facciamo tutto questo, sappiamo bene che cosa vuol dire lodare, ringraziare, domandare, intercedere, e, in Cristo, trasferiamo tutto ciò sul piano nuovo e altissimo del Vangelo.

La lode non è tecnica, poiché si tratta di realtà di vita, di sacrificio di lode. Sacrificio vuol dire rinuncia, offerta di sé, vuol dire dolore, anche. Il sacrificio di lode include la croce di Cristo, modello di ogni sacrificio e fonte della forza di sostenere le croci. Così è scritto nella lettera agli Ebrei (13,15): “Per mezzo di Lui, dunque, offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome”. L’Eucarestia, presenza reale di Cristo e del suo unico sacrificio, accende nel cuore il sacrificio di lode. Chi scarta la croce non può conoscere la lode.