Superata la sfiducia, May resta in sella

Alla fine l'ha spuntata Theresa May. Nonostante tutto e a prescindere da un clima assai pesante attorno a Downing Street, la premier britannica resta in sella e salda (almeno apparentemente) alla guida delle trattative per la Brexit. Circostanza che era apparsa tutt'altro che scontata qualche ora fa, quando la mozione di sfiducia presentata dalla fronda interna dei Tories sembrava aver messo all'angolo il primo ministro e la sua idea di uscita dall'Ue, quella (l'unica) accettata dai 27 Paesi membri. A ogni modo, la sensazione è che non sia stato dato niente per niente: la premier ha infatti garantito che, completato il mandato e condotto in porto le negoziazioni per la Brexit, si farà da parte senza ricandidarsi alle elezioni del 2022. Una promessa fatta in extremis e che, a conti fatti, sembra aver convinto l'aula a dare un'ulteriore possibilità alla premier.

Nuove prospettive

Va detto che, come annunciato dalla stessa May, una destituzione avrebbe generato effetti a catena e difficilmente prevedibili per il Regno Unito che, a quel punto, sarebbe stato costretto a rivedere tutto l'iter procedurale e, molto probabilmente, a sospendere la stessa Brexit. Ora come ora, il dossier sull'addio all'Ue si conferma nella sua natura di scheggia impazzita perché, arrivati a questo punto, la situazione sembra essere ribaltata: conferita la fiducia a May, la Camera ha in un certo senso strizzato l'occhio anche al dossier presentato dalla premier e bocciato non più di qualche giorno fa, tanto che si era deciso per il rinvio del voto e per un altro giro sul continente per tastare le possibilità di rinegoziare qualche passaggio della bozza. Una prospettiva che, a ogni modo, aveva già incassato il secco no da parte di Bruxelles.

Instabilità

Insomma, May continua a restare a galla, sia pure a fatica considerando la pericolosa mina vagante dei 117 che erano stati per la sfiducia. Una minoranza, certo, ma comunque pericolosa considerando che molti di questi si trovano all'interno del suo stesso partito al quale, per garantirsi neutralità e parziale appoggio, ha dovuto garantire che abbandonerà la leadership e che, sciolti tutti i nodi, si farà da parte rinunciando alla possibilità di guidare nuovamente il Paese.