Perché il viaggio del Papa in Iraq rappresenta una doppia speranza

Il primo viaggio di un Papa in Iraq ad un anno dalla diffusione della pandemia. Si intrecciano, inaspettatamente, due avvenimenti storici molto diversi, ma in fondo accomunati dalla straordinarietà. 

Il Coronavirus ha stravolto le abitudini del mondo intero, catapultando tutti in un presente inimmaginabile fino a poche ore prima; mentre il viaggio apostolico di Papa Francesco porta un carico simbolico di speranza che va oltre ogni aspettativa: intanto è un segnale di ripresa, di superamento dello “stallo” imposto dalla Pandemia e poi realizza il dialogo tra luoghi e religioni auspicato in tanti anni di lavoro diplomatico. “Un viaggio emblematico, un dovere verso una terra martoriata da molti anni”, ha detto il Papa salutando i giornalisti sull’aereo.

Tacciano le armi!” è l’accorato appello che ha fatto Francesco non appena arrivato in Iraq. Nel suo primo discorso al governo, al corpo diplomatico e alle autorità civili, il Papa chiede che sia limitata la diffusione delle armi “qui e ovunque” e che “cessino gli interessi di parte” per fare largo ai costruttori della pace.

Vedere Papa Francesco nella terra di Abramo, culla delle tre religioni monoteiste, come un “pellegrino di pace” in un Paese diviso e ferito è un’istantanea che smuove tante riflessioni sul passato e soprattutto su quale direzione intraprendere.

Alle spalle tanto dolore e sangue: qui i cristiani si sono ridotti a meno di un terzo a causa della guerra e della violenza dell’Isis. Qui i cristiani sono perseguitati. Davanti, la speranza che questo viaggio tanto desiderato dalla Chiesa cattolica – era il grande sogno di San Giovanni Paolo II – sia l’auspicio di un nuovo dialogo tra le diverse fedi: odio e violenza – ha ribadito infatti Papa Francesco – sono incompatibili con la religione.

Ricominciare sembra essere l’imperativo morale di questo viaggio che da un lato segna una ripartenza pratica, perchè – di fatto – è il primo viaggio dal novembre 2019 e cioè da quando è scoppiata la Pandemia; dall’altro è anche una ripartenza simbolica perchè mette un primo mattone per costruire la riconciliazione tra popoli che per lungo tempo sono stati divisi, o peggio ancora avversari. Per ricominciare bisogna lasciarsi alle spalle le divisioni e prendere in considerazione ciò che unisce.

Un viaggio che segue quello negli Emirati Arabi Uniti e che punta l’attenzione sulla fratellanza umana. Oggi il Papa incontrerà, a Najaf, il Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni e poi, sulla Piana di Ur, si terrà l’incontro interreligioso. Domani sarà la volta di Mousul.

Così nel silenzio religioso della preghiera e in quello reale di un Paese in lockdown, una nuova pagina di Storia viene scritta.