La società ha bisogno di valori spirituali

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Una affermazione dell’enciclica “Pacem in terris” (PT) è fondamentale per contrastare il decadimento morale della democrazia odierna. Ed è rappresentata dalla caratterizzazione della convivenza umana anzitutto come un fatto spirituale: «quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante» (PT n. 19).

La democrazia sussiste quando sia sostanziata da un cuore spirituale, morale, sociale, culturale, aperto alla trascendenza non considerati in astratto. I cittadini possono essere soggetti attivi e responsabili nella vita pubblica democratica quando siano garantiti alcuni presupposti economico-sociali, culturali, psicologico-morali. Tali presupposti domandano che la democrazia politica sia integrata da una sufficiente democrazia economica, che vi sia una diffusa istruzione tra i cittadini, nonché una loro partecipazione ai beni della cultura. Va tenuto ben presente che la democrazia è un’attitudine dello spirito. Detto altrimenti, trova la sua più profonda radice e il suo alimento morale nell’animo dei cittadini. Richiede un profondo rispetto della persona altrui. Domanda che vi sia apertura agli altri, spirito di collaborazione, intraprendenza, responsabilità da parte di tutti, sensibilità nei confronti del bene comune, ispirazione cristiana. I suddetti atteggiamenti e stili di vita sono vissuti con maggiore intensità quando ci si muove nella luce della fede e si è animati dall’amore cristiano.

Nella PT l’elemento formale o strutturale della democrazia è, invece, dato da più «princìpi», che configurano lo Stato nella sua intelaiatura e nel suo funzionamento. Essi sono: la costituzionalità, la rappresentatività, la divisione dei poteri. Assieme a questi tre principi va annoverato il metodo della maggioranza che caratterizza la democrazia nel suo funzionamento.  Questi elementi, compreso il metodo democratico della maggioranza, vanno modellati in rispondenza all’elemento sostanziale, in modo da poterne essere ricettacolo idoneo e non refrattario. Nello Stato democratico i suddetti principi (costituzionalità, rappresentatività, divisione dei poteri) formano un tutt’uno: non sono estranei tra di loro o soltanto giustapposti. Si relazionano appartenendosi, mentre sono reciprocamente sussidiari. Co-principi di una stessa realtà, uno richiama l’altro e porta in sé le ragioni di tale rimando. Come l’anima dà vita al corpo e questo, a sua volta, la individualizza specificandola spazialmente e temporalmente, così nello Stato democratico esiste un rapporto intrinseco tra forma o corporeità politica e sostanza umana o popolo, soggetto vivente della democrazia. In forza di un nesso vitale, il corpo della democrazia può considerarsi prolungamento estrinseco e connaturale della sostanza umana o anima che, a sua volta, gli conferisce l’esistenza plasmandolo umanisticamente. Il richiamo di queste elementari e basiche riflessioni, che la rilettura della PT ci consente, è da considerare un tesoro prezioso per la valorizzazione dell’anima etica della democrazia, per la sua risemantizzazione antropologica, per il recupero e la ricentralizzazione nella vita politica dell’umano concreto universale: ossia della dignità della persona, intesa come capacità di vero e di bene, capacità di Dio, garanzia della continuità tra etica personale ed etica pubblica, base del dialogo pubblico.

L’essenza morale del popolo e della democrazia non può essere costruita solo sulla base di elementi razziali, etnici, classisti, bensì sull’humanitas che accomuna i cittadini, compresi profughi ed immigrati. Il fondamento ultimo della democrazia è la persona concreta e reale, con i suoi doveri e diritti. L’ordine morale nella vita sociale e politica non può essere creato per imposizione, come negli Stati totalitari e dittatoriali. È conquistato e diffuso mediante una ricerca libera e responsabile della verità aperta al Vero e al Bene sommi e non dall’uso della forza. Rinvigorimenti effettivi e durevoli nella convivenza si riscontrano solo quando gli uomini si aprono gli uni agli altri e riattivano la loro comunione nel mondo dello spirito. Detto diversamente, la qualità morale della convivenza civile e politica dipende dal grado di apertura, libera e retta, delle persone ai valori superiori, spirituali e religiosi. Per quanto affermato non è difficile accorgersi che le prospettive della PT sul rapporto tra verità e democrazia sono sensibilmente diverse da quelle di Hans Kelsen – per il famoso giurista di origine austriaca la verità uccide la democrazia –, come anche da quelle di Bruce Ackerman che, qualche decennio più tardi, enfatizzerà l’importanza della neutralità del dialogo pubblico e delle regole procedurali, presupponendo che tutte le concezioni di vita si equivalgono. Per la PT, che anticipa in certo modo Giovanni Paolo II, un diffuso scetticismo in campo metafisico-morale prelude a regimi assoluti assorbenti, facilmente degeneranti in totalitarismi intolleranti. Vera libertà e vera democrazia prosperano là ove la luce della verità si afferma gradualmente, dissipando le nebbie dell’errore.