Resistenza e resilienza: le caratteristiche delle cooperative sociali in tempo di pandemia

Si celebra oggi la giornata internazionale delle cooperative e il tema scelto per quest’anno dall’Onu e dall’Ica (International Cooperative Alliance) è “Ricostruire meglio insieme). Quest’anno, inoltre, si celebra il 30esimo anniversario della nascita delle cooperative sociali, come forma originale di impresa, in quanto la legge che le regola è del 1991. La loro vera differenza, il valore aggiunto, sta nel fatto che incorporano non solo il valore mutualistico dei soci, ma generano anche un valore che si riverbera nella società. Non producono solo un vantaggio economico a favore dei soci, ma anche un valore sociale a vantaggio della comunità in cui sono inserite.

In particolare, c’è una categoria – le coop sociali di tipo B – che hanno una funzione molto importante: inserire nel mondo del lavoro persone che presentano una qualche forma di disabilità, che nel passato hanno avuto problemi di tossicodipendenza o quanti sono usciti dal carcere, insomma quei segmenti deboli del mercato del lavoro che farebbero fatica a trovare una collocazione o vocazione lavorativa.

L’Italia è stata la prima in Europa ad avere una legge così avanzata ed innovativa che supera il principio di mutualità e per incorporare quello di solidarietà, cioè genera del valore economico e sociale che va a favore delle categorie con maggiore svantaggio e delle comunità che presentano elementi di marginalità. Questa innovazione poi è stata “copiata” in molte parti d’Europa e oggi le imprese sociali – una categoria più larga e vasta di quella di cooperazione sociale – rappresentano una parte tutt’altro che irrilevante dal punto di vista delle generazione del valore economico, ovvero del Pil, e dell’occupazione a dimensione europea.

Soprattutto in questo tempo di pandemia, le cooperative legate al terzo settore hanno rappresentato una “manna dal cielo” per molte persone e territori. Molte di loro si sono riconvertite per rispondere a un bisogno che era inedito e, pur non perdendo la loro dimensione imprenditoriale originaria, hanno però accompagnato i soggetti più deboli, molte volte dimenticati dai provvedimenti governativi, oppure hanno reinventato la loro capacità produttiva. Più in generale hanno continuato a svolgere la loro attività che di per sé contiene già una dimensione solidaristica che il legislatore va a premiare con un trattamento fiscale di vantaggio.

In altri casi hanno fatto da catalizzatore di diverse realtà associative, magari con minori capacità organizzative e imprenditoriali, per rispondere in particolare ai bisogni in fase di emergenza come la distribuzione di cibo e medicinali, di ciò che serviva quando ci trovavamo nel periodo di lockdown più duro. Per un verso hanno dimostrato capacità di resistenza, cioè di continuare a fare il loro lavoro nonostante un ambiente più ostile, dall’altro la capacità di resilienza, ovvero di reinventarsi o rigenerarsi. Le cooperative sociali sono state delle vere e proprie sentinelle nei territori più dimenticati ed hanno evitato guasti peggiori di quelli a cui abbiamo comunque assistito.

Le nuove imprese sociali, previste dal decreto legislativo 112 del 2017, presentano dei caratteri innovativi rispetto a quelle regolate dalla legge del 1991. Quali sono queste novità principali, per cui il tema non è tanto di inventarne delle altre, ma piuttosto di applicarle. La prima novità è che si potrà fare un’impresa sociale con tutte le forme giuridiche sia dal lato societario – cooperativa, ma anche srl o una società di capitali – sia dal lato associativo e fondazionale.

Secondo, per queste realtà sono state estese le norme già contenute nelle cooperative sociali a mutualità prevalente. Mi riferisco a due norme fiscali importanti: una deduzione o detrazione nell’investimento di capitale pari al 30%; e quella della totale detassazione degli utili, qualora quegli utili vengano totalmente reinvestiti nella missione sociale dell’impresa o della cooperativa. Purtroppo queste due norme, pur essendo datate 2017, non sono ancora state notificate alla Commissione europea e sono un po’ in una zona di limbo, ovvero non sono ancora applicate.

Terzo, oltre alle categorie di cui accennavamo prima, le imprese sociali potranno far lavorare anche delle categorie con svantaggio meno marcato, meno permanente: persone disoccupate da un determinato periodo, o che presentano una qualche forma di disagio ben identificato. Questo fa sì che non si lascino fuori dal mercato del lavoro tante risorse delle persone più fragili. Quarto, le nuove imprese sociali potranno avere nella loro compagine sociale anche delle imprese di carattere profit purché non abbiamo la maggioranza del capitale sociale investito. Questo potrà favorire una “contaminazione” – termine spesso usato con accezione negativa, ma io lo voglio utilizzare in chiave positiva – al fine di apportare quel capitale di competenze, la capacità di fare e di produrre, finalizzandola però alla missione sociale.

Luigi Bobba, Presidente di Terzjus, Osservatorio di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale