Editoriale

Perché i giovani se ne vanno dall’Italia

Da quanto discutiamo il tema dei tanti giovani che si recano sempre più numerosi all’estero, e che questo fenomeno ci indebolisce perdendo così le energie più pronte e più in grado di affrontare le sfide future? Va detto che qualche volta si esagera a considerare dannoso il trasferimento all’estero dei nostri giovani; è accaduto in ogni epoca che altri giovani di precedenti generazioni, condotti dal desiderio di luoghi sconosciuti, alla ricerca di nuove esperienze, abbiano affrontato viaggi lunghissimi, faticosi e costosi pur di trasferirsi altrove. Il fattore principale è stato l’istinto dell’avventura che fa fatto superare il distacco dalla propria terra e dai propri affetti. Ed infatti non c’è continente che non abbia visto nel tempo italiani recarsi nelle loro grandi città. Ma erano tempi in cui difficilmente le famiglie italiane scendevano al di sotto di 4-5 figli e la miseria cresceva dopo le guerre.

Voglio dire, che il fenomeno era negativo ed erano presenti più situazioni che spingevano alla emigrazione come la ricerca dell’esotico, della libertà del benessere, della ricerca di cose nuove. Sono passati un paio di secoli dalle prime diaspore italiane nel mondo, e le dinamiche tutto sommato non sono cambiate. Sono cambiate le soluzioni per partire, infinitamente meno costose e faticose, la miseria di quei tempi non esiste più almeno per l’Italia che nel frattempo è diventata una potenza industriale, la prolificità è strapiombata ad 1,3 per famiglia, più che gli analfabeti dei primi del novecento, molti sono i laureati in cerca di fortuna. Ma oggi è più facile poter tornare in Italia non solo per la diffusione dei mezzi di trasporti ma anche perché nonostante i tanti problemi presenti, comunque è una società evoluta e con strutture industriali e di servizi assai importanti. Quello che manca è la difficoltà per il ceto politico e classe dirigente in generale di considerare le regole e comportamenti presenti nelle società liberali e regolate economicamente dal libero mercato.

Ad esempio! Se le università si liberassero dalle baronie, diventerebbero più snelle, migliorerebbero i corsi universitari e costerebbero meno, aumenterebbero i campus ed alloggi universitari ci sarebbe più ricerca da affidare a giovani ricercatori e più assistenti giovani. Se la pubblica amministrazione venisse rivoluzionata digitalmente molti “nativi” potrebbero essere assunti e di per se cambiare la faccia e la efficienza degli uffici pubblici. Qualora si sopprimessero le assistenze pelose a cui ci ha abituato la politica per favorire i propri clienti, si potrebbero avere più risorse per impegnare i giovani talenti che fuggono all’estero attratti proprio ciò che manca qui. Se si pagassero di più i giovani, molti di loro non andrebbero via ed anzi molti rientrerebbero dopo aver fatto una esperienza all’estero. Ma se i lavoratori impegnati da molti anni prendono paghe più basse degli altri lavoratori europei giacché in Italia dopo trent’anni, dal 1990 al 2020, le paghe medie sono rimaste al palo, ed addirittura hanno perso 3 punti arrivando oggi a prendere meno di trent’anni fa, cosa può capitare ad un giovane al primo lavoro?

Raffaele Bonanni

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