Non si può combattere la fame nel mondo solo con le belle parole

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Foto di billy cedeno da Pixabay

Si sono appena conclusi a Roma i lavori dell’UN Food Systems Summit+2 Stocktaking Moment (UNFSS+2) organizzato da FAO IFAD e WFP, le Agenzie ONU con sede a Roma. Inizio | Hub di coordinamento dei sistemi alimentari delle Nazioni Unite (unfoodsystemshub.org) Due giorni (dal 24 al 26 luglio) di incontri, convegni, seminari che a molti hanno ricordato le Conferenze delle Parti: tanti rappresentati politici, oltre 160 i delegati di paesi di tutto il mondo tra i quali una ventina di capi di stato. Il direttore generale della FAO, Qu Dongyu, l’aveva promesso: “L’UNFSS+2 stocktaking sarà un’occasione importante per rafforzare ulteriormente l’impegno politico e i percorsi di attuazione a livello globale, nazionale e subnazionale. Il compito storico che stiamo affrontando è chiaro: definire un approccio olistico, coordinato e basato sulla scienza per rendere i nostri sistemi agroalimentari più efficienti, più inclusivi, più resilienti e più sostenibili, per una migliore produzione, una migliore alimentazione, un ambiente migliore e una vita migliore, senza lasciare indietro nessuno”.

Il punto è che come per le Conferenze delle Parti, le famose COP sulle emissioni di CO2, sono pochi quelli che ancora credono che si otterranno risultati concreti solo con le belle parole. Durante i lavori si è discusso delle sfide per trasformare i sistemi agroalimentari e limitare i danni causati dalle guerre (chiaro il riferimento all’Ucraina e alle polemiche dei giorni scorsi della Russia sul grano) e dai cambiamenti climatici.

Nel mondo, oltre 783 milioni di persone soffrono la fame. A loro non servono belle parole. E nemmeno side events folcloristici. Nel 2021, più di 3,1 miliardi di persone nel mondo – il 42% della popolazione mondiale – non disponeva delle risorse per garantirsi una dieta sana. E da allora la situazione è peggiorata. È stato Máximo Torero, economista capo della FAO, ad ammetterlo: “Se questo lo proiettiamo nel futuro, entro il 2030 avremo 600 milioni di persone cronicamente denutrite, ben lontane dall’obiettivo di Fame Zero”.

A cosa sono servite le “coalizioni”, uno dei temi centrali dell’incontro di Roma? Secondo gli organizzatori dell’evento, questi gruppi di organizzazioni e/o istituzioni (attori statali e/o non statali) sviluppati nel contesto del vertice dei sistemi alimentari delle Nazioni Unite dovrebbero “sostenere un approccio integrato e sistemico su larga scala per affrontare questioni specifiche relative ai sistemi alimentari”. La priorità della coalizione dovrebbe essere il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) sostenendo i percorsi nazionali per la trasformazione dei sistemi alimentari entro il 2030. Purtroppo le 28 coalizioni per sostenere le trasformazioni dei sistemi alimentari finora non hanno raggiunto l’obiettivo per cui erano state pensate. I risultati finora ottenuti sono a dir poco deludenti.

Il problema è sempre lo stesso: al di là delle (tante) belle parole e delle (tante) promesse, ogni governo cura i propri interessi. E molti quelli delle multinazionali del cibo. Fare spot ammalianti e realizzare biblioteche online (come la Food Systems Solutions Library che dovrebbe collegare i governi e le parti interessate con le coalizioni e le organizzazioni del sistema alimentare) non basterà a compensare gli sprechi alimentari delle multinazionali del cibo. Basti pensare che secondo i dati FAO anche in un paese sviluppato come l’Italia il 5,7% della popolazione totale è caratterizzato da insicurezza alimentare moderata o grave. Milioni di persone che non hanno cosa mangiare. E se questo avviene in Italia, uno dei paesi più sviluppati del pianeta, si può facilmente immaginare cosa avviene in alcuni paesi poveri. https://www.fao.org/home/en

Per raggiungere l’obiettivo “Fame Zero” entro il 2030, ha detto il rappresentante dell’IFAD, serve altro: almeno “400 miliardi di dollari aggiuntivi l’anno di investimenti nei sistemi alimentari”. Solo così si potrà cercare di aiutare quei 43 milioni di persone che ogni giorno rischiano la morte per mancanza di cibo. E cercare di fronteggiare la crisi alimentare che oggi colpisce oltre 700 milioni di persone, 122 milioni in più rispetto all’ultimo dato (2019).

Al convegno appena concluso non sono stati riportati i dati di un rapporto ben noto alle Nazioni Unite, il PAM, il Programma alimentare mondiale. Nel rapporto pubblicato a gennaio 2023, l’agenzia delle Nazioni Unite ha ribadito che il 2022 è stato, dal punto di vista della fame nel mondo, “un anno catastrofico”: “Il mondo è di fronte ad una crisi alimentare senza precedenti per dimensioni, la più grave della storia moderna. Milioni di persone sono a rischio se non verranno adottate misure per rispondere su larga scala ai motori di questa crisi”. Ma di queste misure a Roma non si è parlato molto.

Secondo gli esperti, è necessario cambiare rotta e porre fine allo spreco di cibo che caratterizza il sistema della GDO e molte politiche e abitudini diffuse in tutti i paesi sviluppati. Per risolvere la fame nel mondo basterebbe smettere di combattere guerre che non servono a nessuno. “I conflitti sono il principale motore della fame, con il 70% delle persone affamate nel mondo che vivono in aree afflitte da guerra e violenza”. E magari destinare una piccola parte delle enormi somme spese ogni anno in armi e armamenti per eliminare la fame nel mondo.  https://www.wfp.org/global-hunger-crisis Ma anche di questo, a Roma, nessuno ha parlato.