Nessun algoritmo potrà mai prescindere dall’antropologia dell’uomo

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Comprendere ciò che qualifica l’essere umano, la sua natura più profonda”, è questo l’interrogativo che Papa Francesco ha rilanciato nell’udienza in Vaticano ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, riunita da questo lunedì a mercoledì sul tema “Human. Meanings and Challenges” (Umano. Significati e sfide), per riflettere su un modello antropologico che armonizzi la diversità delle discipline evitando “l’egemonia tecnocratica”.

Il Pontefice sottolinea che si tratta di un “interrogativo antico e sempre nuovo”, che le sorprendenti risorse possibili grazie alle nuove tecnologie ripropongono in forma ancora più complessa. Ai partecipanti della plenaria il Papa ha spiegato che non è possibile essere a priori pro o contro le macchine e le tecnologie e ricorrere solamente alla distinzione “tra processi naturali e processi artificiali, considerando i primi come autenticamente umani e i secondi come estranei o addirittura contrari all’umano”.

“Quello che occorre fare, piuttosto – sottolinea il Santo Padre -, è inscrivere i saperi scientifici e tecnologici all’interno di un più ampio orizzonte di significato, scongiurando così l’egemonia tecnocratica”. E’ dunque la visione che si ha della vita umana, il bagaglio di valori e il sentire più profondo di ogni persona che può e deve guidare la ricerca e l’applicazione delle tecnologie.

In questa cornice il Papa esalta l’esistenza delle differenze come condizione fondamentale per scongiurare una deriva verso il pensiero unico e l’omologazione. Riflessione espressa chiaramente dalle parole di Francesco: “Consideriamo, ad esempio, il tentativo di riprodurre l’essere umano con i mezzi e la logica della tecnica. Un tale approccio implica la riduzione dell’umano a un aggregato di prestazioni riproducibili a partire di un linguaggio digitale, che pretende di esprimere, attraverso codici numerici, ogni tipo di informazione. La stretta consonanza con il racconto biblico della Torre di Babele mostra che il desiderio di darsi un linguaggio unico è inscritto nella storia dell’umanità; e l’intervento di Dio, che troppo frettolosamente viene inteso solo come una punizione distruttiva, contiene invece una benedizione propositiva. Esso, infatti, manifesta il tentativo di correggere la deriva verso un ‘pensiero unico’ attraverso la molteplicità delle lingue”.

In questo modo, secondo il Santo Padre, “gli esseri umani vengono così messi di fronte al limite e alla vulnerabilità e richiamati al rispetto dell’alterità e alla cura reciproca”. Gli uomini davanti alle crescenti capacità della scienza si sentono “protagonisti di un atto creatore affine a quello divino, che produce l’immagine e la somiglianza della vita umana”. Il Papa osserva allora che ci viene chiesto “di discernere come la creatività dell’uomo affidato a sé stesso possa esercitarsi in modo responsabile”. Per tutti questi motivi “il compito principale si pone quindi a livello antropologico e richiede di sviluppare una cultura che, integrando le risorse della scienza e della tecnica, sia capace di riconoscere e promuovere l’umano nella sua specificità irripetibile”. In altre parole, possiamo affermare che il Papa ci esorta sviluppare la tecnica e la scienza tutelando e valorizzando i tratti distintivi dell’essere umano.

Il Papa parla poi di “compito culturale” riferendosi alla necessità di riconoscere la sfera del pathos e delle emozioni, del desiderio e dell’intenzionalità e convertire tutto questo “convertire in senso relazionale a favore degli altri, assistito dalla grazia del Creatore”. “Un compito culturale, dunque, perché la cultura plasma e orienta le forze spontanee della vita e le pratiche sociali”.

Infine Francesco indica alla Pontificia Accademia per la Vita due modalità per procedere. La prima si basa sullo “scambio transdisciplinare”, in quella forma che la costituzione apostolica “Veritatis gaudium” descrive “come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio”. “È questa la via per andare oltre la giustapposizione dei saperi – aggiunge il Santo Padre -, avviando una rielaborazione delle conoscenze attraverso il vicendevole ascolto e la riflessione critica”. In secondo luogo, il Papa incoraggia un modo di procedere sinodale, uno stile di ricerca che “comporta attenzione e libertà di spirito, apertura a inoltrarsi su sentieri inesplorati e sconosciuti, affrancandosi da ogni sterile indietrismo”. Il Papa ricorda che il cristianesimo ha sempre offerto contributi di rilievo, riprendendo da ogni cultura in cui si è inserito le tradizioni di senso che vi trovava inscritte, reinterpretandole alla luce della relazione con il Signore, che nel Vangelo si rivela.

Il Papa invita dunque ad avere uno sguardo che sia capace di esplorare i risvolti più imprevisti delle nuove tecnologie senza però arrivare a conclusioni che sfigurino l’essenza profonda dell’essere umano. Nessun algoritmo o tecnocrazia potrà mai prescindere completamente dall’antropologia dell’uomo; i suoi desideri; le sue relazioni più profonde, come la genitorialità e la filiazione; gli interrogativi sul senso della vita; l’amore gratuito e incondizionato; la ricerca della trascendenza e dell’eterno.