La periferia è il centro: la lezione del viaggio papale in Mongolia

Chiesa

Nella Steppe Arena, in Mongolia il Pontefice ha assicurato che “con la grazia di Cristo e dello Spirito Santo, potremo camminare sulla via dell’amore”. Anche quando amare significa “rinnegare se stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità“. Perché se è vero che tutto ciò costa fatica e sacrificio e a volte significa dover salire sulla croce, “è ancora più vero che quando perdiamo la vita per il Vangelo, il Signore ce la dona in abbondanza. Piena di amore e di gioia, per l’eternità“. E ha aggiunto: “Tutti siamo ‘nomadi di Dio’, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore”. Il deserto evocato nei Salmi si riferisce alla nostra vita. Siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida. Un’acqua che disseta in profondità è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia. Quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità. Siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno. E soprattutto siamo assetati di amore. Perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita”. La fede cristiana risponde a questa sete. La prende sul serio. non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati. Perché in questa sete “c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi“.

Mongolia
L’arrivo del Papa a Ulaanbaatar. Foto: VaticanNews

Francesco è stato abbracciato in Mongolia dalle autorità locali (un buona parte donne). E da un giovane cardinale, nemmeno cinquantenne, che è sì italiano ma ormai perfettamente naturalizzato. Giorgio Marengo, sottolinea il vaticanista dell’Agi Nicola Graziani, ha ottenuto proprio da Jorge Mario Bergoglio una porpora che vuol dire molte cose. Chiese di periferia, non siete le più piccole nella terra di Giuda. Anche se siete rinate nel 1992, quando il vostro giovane pastore era in età da università. Prima era comunismo, poi è stata apertura ai credo e alle fedi. Sicché adesso la Mongolia ospita buddisti tibetani ma anche scintoisti, islamici, mormoni e avventisti. Il Papa li ha visti  perché è stata questa una delle cifre del viaggio. il dialogo interreligioso, e soprattutto con i buddisti si registrano passi avanti.mongoliaL’essenziale è offrire un volto di Chiesa secondo le attese e le aspettative di questo nostro tempo. Francesco, infatti, sa parlare alla gente. Quel programma sulla predicazione e l’omelia che ha sottolineato nell’Evangelii Gaudium va preso molto sul serio. Prima di Francesco la predicazione tra i tanti aspetti positivi ha lasciato un segno di pesantezza. E soprattutto all’insegna di un linguaggio che forse toccava la mente. Ma non incideva nel cuore e raramente nella vita. In coerenza con quanto auspicava il Concilio circa la liturgia, è proprio a partire da un’omelia ben fatta che si condensa e si recupera l’essenziale di tutta la celebrazione. Una celebrazione semplice ma bella, senza eccessivi orpelli che rendono il culto staccato dalla vita di ogni giorno. In questa linea, la predicazione di Francesco aiuta a mettere in diretto contatto il mistero con la vita attraverso la celebrazione. Dire che la misericordia è l’attuazione del Concilio, di fatto può apparire limitante. La misericordia è come il fil rouge che unisce ogni intervento ecclesiale: da quelli che appaiono strettamente teologici a quelli di più immediata attuazione pastorale, la declinazione della misericordia è costante. La pietà popolare è propedeutica all’esperienza sacramentale. Aver riscoperto il valore e il linguaggio dei sacramenti è stato il segreto per far comprendere e vivere in prima persona la misericordia. Permane ora la sfida della sua declinazione nei tanti contesti della vita a livello personale e sociale. in una parola a livello mondiale.

Mongolia
Foto © Vatican Media

Il Giubileo della Misericordia non è rimasto senza frutto. È vero che oggi si parla tanto di nuova evangelizzazione. Ma se si guarda alla storia e alla vita delle Chiese, sono tante le forme nuove di evangelizzazione che sono state attivate, soprattutto nel secondo millennio. Sia prima che dopo le grandi scoperte geografiche, il centro della vita delle Chiese è sempre stata l’evangelizzazione, con tutti gli adattamenti del caso. In un simile contesto è mancata solo la liturgia. Che a motivo dei suoi linguaggi non riusciva ad essere, come lo è oggi, il primo e più costante luogo di evangelizzazione. Timidi tentativi di adattamento hanno cercato in qualche modo di supplire, ma il vero completamento è stato offerto dalle numerose forme di predicazione che ancora oggi rilanciano qualche interessante lezione di attualità. Una lezione che passa anche dagli stili di vita perché la forma è contenuto. Nel novembre 2015, Francesco aveva attaccato i privilegi delle gerarchie ecclesiastiche: “Siamo chiamati a servire non a servirci della Chiesa, Gesù è nato senzatetto. Casa, terra e lavoro sono un diritto, i poveri sono creati dalla cupidigia e dall’egoismo, non si può parlare di povertà e vivere da faraone». Anche i documenti dello scandalo Vatileaks rivelano come i porporati abitino in dimore di grandi dimensioni. Nel gennaio 2016, uno dei cardinali della Curia ha deciso di lasciare il suo appartamento in Vaticano e andare a vivere nel popolare quartiere Testaccio in una comunità di salesiani. mONGOLIAIl viaggio apostolico di Papa Francesco in Mongolia è “un’iniziativa gradita”.  E aiuta a riscoprire anche “la storia ben documentata e conosciuta del cristianesimo in quel Paese e tra il popolo mongolo”. Mar Awa III, patriarca della Chiesa assira d’Oriente, ringrazia il Pontefice per una visita realizzata per incontrare uno dei greggi più piccoli e periferici del mondo. Sebbene oggi la comunità cattolica in Mongolia sia molto esigua, viene ricordata la storia ben documentata e conosciuta del cristianesimo in quel Paese e tra il popolo mongolo.” Apprendiamo dagli annali della storia della Chiesa che il primo incontro tra la Chiesa e le tribù mongole fu infatti dovuto all’opera di annuncio del Vangelo dei missionari della Chiesa assira dell’Oriente– afferma all’agenzia missionaria vaticana Fides il patriarca-. Già alla fine del VI secolo il cristianesimo cominciò a diffondersi tra i popoli delle steppe euroasiatiche, grazie ai monaci della Chiesa d’Oriente”. Nel 1281 la Chiesa assira d’Oriente aveva un Patriarca turco-mongolo, Mar Yahb’Alaha III (1281-1317). A quel tempo, la presenza ecclesiastica della Chiesa assira in quello che adesso è lo Stato mongolo e la provincia cinese della Mongolia era molto robusta. Oggi, riferisce il patriarca, ‘”c’è una crescente consapevolezza tra i mongoli della loro antica eredità cristiana che risale a prima dell’arrivo dei missionari occidentali, giunti agli inizi del 1200. Molti in Mongolia oggi cercano di ristabilire l’antica Chiesa dei loro antenati, vale a dire la Chiesa assira dell’Oriente“.