Se il mondo si fermasse come si sta fermando la scuola…

Il Coronavirus ci sta consegnando tante incertezze e tante rinunce. Avevamo il mondo in pugno e quel pugno lo abbiamo preso dritto in faccia. Una delle rinunce più pesanti è quella alla socialità e non certo ad una socialità sollazzante, bensì ad una socialità esistenziale, ad una relazionalità fra simili che è connaturata alla vita stessa.

Coloro che stanno rinunciando in maniera più evidente alla socialità sono i bambini, i ragazzi, i giovani, ai quali stanno venendo meno le normali e quotidiane relazioni umane ed educative, quelle che – nel bene o nel male – formano l’uomo.

La triste cronaca pandemica ci porta di nuovo a “chiudere tutto” ed in questo “tutto” a chiudere di nuovo la scuola, a costringere chi può a studiare a distanza e chi non può a sentirsi sempre più individualmente e socialmente emarginato.

In questo triste quadro ci sono i privilegiati, coloro che hanno l’opportunità di frequentare la scuola, ma da soli, senza il gruppo classe con loro: sono gli alunni con disabilità, quelli che per via di una certificazione sono indicati come “diversi”.

Ho sempre avuto un’idea precisa sulla disabilità, un tema semplice, reso complesso dall’animo umano, che tende a settorializzare le persone per sesso, razza, condizione sociale od economica, religione, … Un tema semplice, perché se “si nasce uguali”, non si capisce perché durante la vita si debbano avere opportunità differenti, addirittura si costruisca il sistema-comunità con regole che rendono taluni diversi da altri. La disabilità è una condizione personale che non esisterebbe se vi fosse un “diritto alla normalità“. Perché ci sia, è necessario che le “regole sociali” consentano a chi si trova in una condizione di maggiore fragilità, di fare in maniera agevole ciò che fanno tutti. Invece, si applica uno schema che rende la vita complicata, piena di ostacoli, quasi impossibile.

La scuola, un contesto che per definizione dovrebbe formare la persona all‘inclusione, diventa così uno dei contesti più degradanti, in cui agli alunni con disabilità viene riservato un trattamento degradante. In fondo, se ci si pensa, in questo momento storico, cosa ha di diverso la “disabilità” certificata da quella che nasce dall’isolamento dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, privati degli strumenti pedagogici necessari per crescere?

Una gran parte degli alunni della scuola di ogni ordine e grado sono oggi o saranno in futuro “disabili”, perché privati di un ambito determinante di socialità e di equilibrio.

In un bell’intervento rivolto al neo Ministro dell’istruzione, Cesare Moreno, presidente dell’Associazione Maestri di Strada, tuona contro la nuova chiusura della scuola, che “non è solo un servizio essenziale, è molto di più, è la fonte del pensiero delle giovani generazioni, il luogo in cui tra le innumerevoli sollecitazioni del villaggio globale, tra le innumerevoli sollecitazioni emozionali che ci vengono dai media, in cui tra le innumerevoli notizie false e peggio ancora capziose, le giovani menti possono cercare una via di verità”.

Se dunque non vogliamo che i nostri ragazzi siano tutti “disabili”, è necessario ridare loro sicurezze e la certezza di un luogo educativo è una di queste.

Certo, si pone il tema delle paure degli adulti che si trasferiscono ai ragazzi, ma è meglio maturare una consapevolezza di paura insieme che viverla da soli.

Anche perché i ragazzi vivono di contrapposizione con gli adulti e la loro reazione all’isolamento spesso è scomposta, talvolta aggressiva, soprattutto laddove mancano loro riferimenti educativi parentali.

Se davvero il mondo si fermasse, come si sta fermando la scuola, che futuro avrebbe l’umanità? Bisogna piuttosto scommettere sul fatto che la scuola, come altre realtà di aggregazione umana, è sicura.

Questo è già il secondo anno con le stesse scelte, le stesse carenze, gli stessi ostacoli.

Frattanto raccolgo i cocci di tanti bambini e ragazzi che già facevano fatica ad andare a scuola e che adesso vivono in strada…li accolgo in un Centro aggregativo, li aiuto a ritrovare un minimo di equilibrio, ma sono scatenati e disorientati e ancor più lo sono i loro genitori.

Non parlo secondo teorie scientifiche o per sentito dire, vivo nella carne quello che scrivo…quest’anno abbiamo iniziato il secondo liceo, ma già il primo giorno si è capito che non ci sarà un inizio…la scuola non è mai iniziata e la proposta di portarvi mia figlia per stare in una classe fredda e vuota con il personale Asacom e l’insegnante di sostegno mi sembra un’assurdità, l’ennesima di un sistema che non ruota intorno ai bisogni dei ragazzi ma degli adulti.

Mia figlia, come tanti bambini e ragazzi, non è in grado di chiedersi perché rimane a casa, ma è triste e si sente incatenata mentre guarda la scuola delle disabilità da un oblò e non capisce perché…