Lo strano percorso su cui il governo Meloni ha deciso di avventurarsi

La premier Giorgia Meloni. Foto: palazzo Chigi

Magari il problema sta nei termini. Perché se con il sostantivo riforma la platea degli elettori, e non sono loro, comprende al volo di cosa si sta parlando, quando entrano in campo termini come presidenzialismo (La Repubblica presidenziale, o presidenzialismo, è una forma di governo in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del Presidente, che è sia il capo dello Stato o il capo del governo) o premierato (una definizione chiara non esiste, ma può indicare, ad esempio un sistema in cui il presidente del Consiglio ha più poteri rispetto al nostro, per esempio quello di revocare i ministri, rimanendo però legato a un rapporto di fiducia con il Parlamento) il dibattito si fa più articolato, se non proprio complesso. Eppure è proprio dentro a questo strano percorso che il governo guidato da Giorgia Meloni ha deciso di avventurarsi, volendo toccare una parte dell’architettura costituzionale.

Che vi sia una certa necessità – urgenza no, come ha dimostrato la fallimentare esperienza di Matteo Renzi quando si giocò il tutto per tutto con il referendum costatogli Palazzo Chigi – è fuori dubbio. Pur nella sua solidità tecnica, la rigidità della Costituzione mal si concilia con la rapidità dei tempi, dove tutto si è fatto più veloce. Ma nonostante ciò questo Paese ha mantiene una certa diffidenza con la materia. Per comprendere meglio gli elementi del ragionamento occorre mettere sul tavolo due particolari. Il termine “premierato”, in Italia, è stato messo nero su bianco per la prima volta nel progetto di riforma costituzionale della Bicamerale del 1997, voluta dall’allora capo del governo Massimo D’Alema. Nella cosiddetta bozza Salvi, si chiamava “premierato” una forma di governo in cui il premier veniva eletto direttamente dal popolo. Ma quella esperienza finì nel nulla e da allora oggi tutto è rimasto nel limbo delle possibilità.

Qualcosa però sembra essere cambiato. Porta a Porta, il programma di Rai Uno condotto da Bruno Vespa, ha pubblicato il sondaggio realizzato da Euromedia Research, relativo al giudizio degli italiani sulle riforme. Sul Presidenzialismo, ossia l’elezione diretta del Capo dello Stato, è favorevole il 46,6% degli intervistati, contrario il 36,8%. Non risponde il 16,6%. Tra i favorevoli figurano il 77,5% degli elettori della Lega, il 73,9% di Fratelli d’Italia e il 70% dei sostenitori di Forza Italia. Favorevoli anche i sostenitori di Azione-Italia Viva: il 47,2% dice sì contro il 39,7% che esprime un giudizio negativo. Tra i contrari invece spiccano il 75% degli elettori di Alleanza verdi e Sinistra, seguiti dal 74% di quelli del Pd e dal 54% di +Europa. Per quel che concerne invece il Premierato, ovvero il sistema che consente al presidente del Consiglio di avere più poteri, è favorevole il 42% degli intervistati, contrari il 32,4%, non risponde il 25,6%. Tra i favorevoli il 75% è rappresentato dagli elettori di Fratelli d’Italia, il 67,3% da quelli di Forza Italia e il 55% dai sostenitori della Lega. Anche qui esprimono un giudizio positivo pure gli elettori di Azione-Italia Viva per il 58,5%, mentre il 18,9% si dice contrario. Tra i contrari si evidenziano l’84% degli elettori di Alleanza Verdi e Sinistra, il 62,2% di quelli del Pd e il 54% di +Europa. I dati non dicono tutto, sia chiaro, ma aiutano a far capire come il tema sia aggredibile, più di quanto non lo fosse ai tempi della famosa Bicamerale.

Mi pare che il governo sia disponibile, in questa fase, a raccogliere idee, la premier non ci ha detto in che modo intende procedere, se bicamerale o iniziativa governativa. Ho sentito Conte su una commissione specializzata, noi non ci impicchiamo al metodo e ne discuteremo”, spiega il leader di Azione, Carlo Calenda, dimostrando come via sia disponibilità al dialogo da parte del terzo Polo. Perché il nodo è tutto lì. Se la Meloni vuole realizzare il disegno tratteggiato in queste settimane deve tenersi lontana dal rischio referendum, come fatto da Renzi, puntando sulla parlamentarizzazione del processo delle riforme. Solo in quel modo eviterà la trappole che saranno piazzate sul percorso dai riottosi nei confronti delle riforme, che non sono pochi, professandosi sostenitori dello status quo per la sola ragione d’intorbidare il dibattito politico. Non a caso la premier ha ribadito che se “ci sono strumenti che ci consentano di fare in tempi ragionevoli ciò che dobbiamo ci possiamo confrontare. Fermo restando che la sede propria esiste già, è il Parlamento, è la Commissione affari costituzionali, che questo lavoro fa e ha sempre fatto”. Ma no alle azioni disturbo o alla melina del centrosinistra, che parla di “fretta”, non considerando il tema una “priorità” solo per perdere tempo. “Credo si possa dialogare su tutto purché non ci siano intenti dilatori”, ha ribadito la premier. E di fronte alla mano tesa della maggioranza un atteggiamento costruttivo dell’opposizione farebbe solo bene al Paese. Senza tirare i ballo il Colle, paventando chissà quali rischi per il Paese. La presidenza della Repubblica è una istituzione forte, ma non intoccabile. Dialogare anche su questo non può essere considerato un tabù.