L’Italia di Giobbe o di Masaniello? Dignità non elemosina

Nella Sacra Scrittura Giobbe, travolto da catastrofi paragonabili alla pandemia attuale, non maledice Dio, ma si interroga sulla propria esistenza. Il Creatore viene sfidato dal diavolo a privare l’uomo integro e pio per metterne alla prova la limpidezza della dedizione e la sincerità della fedeltà. Spogliato di tutto, Giobbe simboleggia il genere umano che non si arrende e trova nei propri valori interiori la forza di rialzarsi, senza rinnegare la propria condizione di figlio messo a dura prova e capace di superare anche le tenebre dell’incredulità.

Ecco cosa intende Papa Francesco quando insegna che Gesù non dialoga con il diavolo. Con il male non bisogna mai scendere a compromessi perché nessuna disgrazia è peggiore nel perdere sé stessi. Oggi i mass media traboccano di dotte analisi sociologiche sugli effetti economici dell’emergenza sanitaria, ma scarseggiano le riflessioni sulle cause e le conseguenze morali e spirituali della condizione nella quale versa oggi il mondo, a causa del coronavirus ma ancor più di ciò che lo ha favorito nella sua furia distruttrice.

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Illudersi che fosse sostenibile un pianeta spolpato e gettato evangelicamente come “perla ai porci”, nel quale, come ha sottolineato più volte il Magistero Pontificio, la finanza depreda i tesori naturali privatizzando i profitti e collettivizzando i danni all’ambiente e alla vita, movimentando quotidianamente decine di volte più risorse dell’economia reale.

Neppure il pericolo di contagiare i lavoratori frena la cupidigia di guadagni messi al di sopra persino della sacralità dell’esistenza. Una società fondata sui flussi di denaro si consegna al triste destino di non avere mai basi solide e durature. Non solo, espone la comunità al pericolo di sommosse popolari alimentate dai nuovi Masaniello che speculano sulla disperazione di settori privi di ogni protezione sociale. Troppo facile fingersi esperti luminari e coraggiosi statisti lanciando pericolose e antiscientifiche proposte di riapertura anticipata delle attività economiche, giocando con l’incolumità altrui.

Nel dopoguerra l’Italia e il mondo intero sono rinati dalle macerie materiali di un conflitto terrificante, ma le idee, i propositi e le prospettive di ripresa camminavano sulle solide gambe di uomini e donne fortemente radicati nella propria identità culturale e spirituale. Pochi sanno che il blu della bandiera europea è un atto di omaggio alla Madre di Dio e che i padri fondatori dell’Unione non avrebbero mai messo in dubbio i principi di solidarietà cristiana che in queste tragiche settimane vediamo quotidianamente negati dagli egoismi nazionali ammantati da parole d’ordine come vincoli di bilancio e rigore.

All’Italia è sempre stata riconosciuta, anche in decenni di missioni di aiuto ai nostri vicini in difficoltà nel Mediterraneo e sullo scacchiere internazionale, una connaturata capacità di condivisione, perciò, in piena pandemia, non si pensi di limitare il sostegno alle famiglie a qualche derrata alimentare distribuita attraverso i comuni. Faccio appello alle istituzioni nazionali e locali affinché non vengano dimenticate le realtà familiari che in un Paese di micro aziende e di welfare domestico, rappresentano il tessuto connettivo senza il quale qualsiasi ripartenza diventa impossibile. La cassa integrazione che inizierà entro Pasqua, secondo l’annuncio del governo, non può bastare a scongiurare tensioni popolari se non ci sarà un adeguato supporto di quei nuclei che, alla base della piramide, garantiscono la tenuta dell’intero sistema. Stiamo raccogliendo nel nostro impegno a favore di bisognosi, disabili e anziani un’infinità di testimonianze su questioni concrete che necessitano di una soluzione non rinviabile. Alcuni esempi. Un padre di famiglia mi ha espresso la sua disperazione perché con un Isee di appena 12 mila euro annui non ha accesso ad alcun sussidio pubblico, pur non riuscendo a mettere in tavola il minimo indispensabile per sfamare moglie e figli. Una nonna si è rivolta a me perché malgrado i miseri 400 euro di pensione, al momento, non ha legalmente diritto ad alcun aiuto pubblico, perché è intestataria dell’abitazione nella quale vive da sola dopo la morte del marito. “Ma come faccio a campare così, mica mi posso mangiare i mattoni?” piange l’anziana. Un assegno da 260 euro, mi racconta un disabile, non basta neppure a pagare la badante che una volta a settimana viene ad assisterlo a domicilio nonostante le proibizioni anti-contagio. Però, è il suo grido di allarme, “come faccio se l’ospedale più vicino è a un’ora da qui? Chi si prende cura di me?”. Sono tutti macigni che cadono dalla montagna della pandemia e, come al solito, finiranno per schiacciare le fasce più deboli della popolazione, soprattutto nelle aree periferiche e di montagna nelle quali i governi di ogni colore politico hanno nell’ultimo ventennio azzerato ogni presidio sanitario. Sotto questa valanga di detriti sociali rischiano di finire soprattutto i nostri giovani il cui inserimento lavorativo era già difficile e carico di ostacoli. Prima di questa emergenza che è psicologica oltreché virale.

Chiediamo, quindi, alle autorità competenti che senso abbia affibbiare a Comuni sempre più prosciugati nelle loro disponibilità il peso di suddividere i sussidi tra gli aventi diritto, mettendo poveri contro impoveriti e costringendo nuovi bisognosi a rivolgersi ad una macchina amministrativa in grave difficoltà per richiedere lo stretto necessario. Non sarebbe più logico, dignitoso e funzionale mettere sul conto, come accade nel reddito di cittadinanza, la cifra che spetta a ciascuno in base alle proprie possibilità economiche? Costringere la gente a domandare ciò che gli spetta rappresenta una inutile degradazione il cui effetto inevitabilmente sarà quello di allungare i tempi e di attribuire ulteriore discrezionalità alla burocrazia, che, per fare un esempio, non riesce neppure a rifornire di respiratori indispensabili a salvare vite innocenti. Don Benzi era solito dire che non va dato per carità ciò che compete per giustizia. Non si tratta di elargire elemosina ma dignità. L’Italia che verrà è in costruzione oggi. Facciamo tutti in modo che gli italiani abbiano per modello Giobbe e non Masaniello.