La Chiesa povera per i poveri al tempo dell’epidemia

Per frenare la diffusione del coronavirus, la Chiesa unisce solidarietà e senso di responsabilità. Tiene aperti gli ostelli per i poveri della Caritas e concerta con lo Stato le limitazioni precauzionali all’attività pastorale. Quindi, come ribadito dal segretario generale dalla Cei monsignor Stefano Russo, l’attenzione agli ultimi e la cooperazione sociale, orientano l’azione ecclesiale al tempo del coronavirus. Ho una testimonianza personale e professionale che risale al 2003. 17 anni fa, infatti, ho seguito quotidianamente seguito e raccontato da cronista, in costante contatto con il professor Girolamo Sirchia (ministro della Salute e  scienziato di fama mondiale) l’emergenza Sars, nella quale si distinse il medico eroe Carlo Urbani, missionario laico e martire della lotta al misterioso virus fino a donare la propria vita alla ricerca di una cura per il male che poi lo contagiò e lo strappò all’amore della sua famiglia. Era un mio concittadino e per espressa testimonianza dell’allora vescovo di Jesi e suo padre spirituale, il francescano Oscar Serfilippi, fu “testimone umile e coraggioso della carità cristiana”.

Oggi l’ospedale della sua città natale è intitolato a Carlo Urbani e ogni volta che passo davanti all’insegna con il nome avverto un senso di inadeguatezza e di riconoscenza per la radicalità di un sacrificio autenticamente salvifico per l’umanità. A ispirare l’opera solidale della Chiesa e di segue le orme di Cristo nella misericordia e nella solidarietà è il bimillenario insegnamento evangelico al quale si conforma il pontificato di Jorge Mario Bergoglio. A tre giorni dalla sua elezione, papa Francesco, dinanzi ai rappresentanti dei media riuniti in udienza, pronunciò la frase rimasta famosa: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Ai più suonò ad effetto e non fece fatica ad affermarsi nelle divulgazioni mediatiche relative al profilo di papa Francesco.

Durante il Concilio, già dalla prima sessione, un gruppo di vescovi e teologi si riuniva periodicamente per riflettere su Gesù, la Chiesa, i poveri e fare delle proposte all’assemblea. L’iniziativa prese il nome di Chiesa dei poveri. Molti vescovi si associavano a questa ricerca e proponevano di assumere il tema del mistero di Cristo nei poveri come centro dell’insegnamento dottrinale e dell’opera di rinnovamento di tutto il Concilio. Questa riflessione attraversò come un fiume sotterraneo il Vaticano II, diluendosi nei testi conciliari. Difficili, anche se immaginabili, le cause di una certa riluttanza a recepire quelle proposte in maniera più radicale. Papa Paolo VI ci provò: di sua iniziativa, durante i lavori di una sessione compì il significativo gesto di deporre la sua tiara sull’altare di san Pietro, come dono ai poveri.

Davanti all’impossibilità di vedere le loro intuizioni incarnarsi nei documenti conciliari, i sostenitori dell’iniziativa Chiesa dei poveri decisero di scrivere un testo, firmato alla fine di una celebrazione eucaristica a Roma. Il tema antico e straordinariamente attuale è tornato alla ribalta proprio con il pontificato di papa Francesco, segno eloquente di quanto lui, oltre che dai documenti, attinga anche dallo spirito dinamico e, a volte sotto traccia, che ha animato tutto il Concilio, e la richiesta di una Chiesa povera per i poveri è quanto mai incisiva per accompagnare la Chiesa nel suo farsi prossimo, per uscire e andare incontro alle periferie esistenziali da abitare e abbracciare. Denunciando i meccanismi perversi che le rendono possibili.

Più che per temi, come abbiamo avuto modo di constatare, in papa Francesco c’è il tentativo di attuare il Vaticano II per dinamismi. Anche la misericordia non è proposta solo come tema teologico, scrutabile nelle scritture e ben visibile nelle parabole della misericordia del capitolo 15 di Luca, “il nucleo del Vangelo della nostra fede”. Essa è un agire costante, instancabile di Dio che, a sua volta, muove all’azione: per Saracino c’è un modo di argomentare di Francesco, derivante dalla sua spiritualità ignaziana, che è quello di partire da ciò che nella fede è in movimento. Inoltre, non c’è condizione migliore del movimento per situare la persona umana. E Bergoglio, nelle attenzioni riposte sulla misericordia, ci consegna l’esperienza che ha guidato e guida la sua vita e le conseguenze della sua vita. Non è un caso  che il motto del suo stemma episcopale sia proprio “Miserando atque eligendo” del Vangelo di Matteo.

È l’incontro di Gesù con l’esattore delle tasse che, subito dopo, lascia tutto e lo segue. È la misericordia che può muovere la Chiesa, quella, forse, solo studiata nella Lumen Gentium e nella Gaudium et Spes. Tuttavia, nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Francesco non ha fatto mistero del nesso con il Concilio, sia nella forma, (l’anniversario della chiusura del Concilio), sia nella sostanza (mantenere viva la memoria conciliare). In tutti questi anni, non sono mancate iniziative suscitate dalla missione della Chiesa nel mondo, sottolineata proprio dal Concilio. Un doppio passo, anche ultimamente, ha portato la Chiesa ad ascoltare più attentamente il mondo.

In questa direzione sono andate, e stanno andando, le iniziative del Cortile dei gentili o la Cattedra dei non credenti promosse dal Pontificio Consiglio per la Cultura. È Concilio pieno anche questo. Ed è opera di misericordia anche consigliare i dubbiosi, insegnare. Francesco, tuttavia, spinge l’ascolto in loco, nei luoghi più disparati. Là, la misericordia si fa prossimità e ansia paterna, quella del padre della parabola del figliol prodigo, e non solo confronto intellettuale. Una cattedra in questo senso, con il Giubileo straordinario della Misericordia, Francesco l’ha conferita ai poveri. E adesso, in piena emergenza Coronavirus, la Chiesa si impegna a realizzare il mandato del Vangelo: l’attenzione ai bisognosi come testimonianza di fedeltà a Cristo.