Il metodo Attila

Cassius Clay diceva che solo gli stupidi non cambiano mai idea. San Leone Magno andò incontro ad Attila per costruire un ponte di confronto piuttosto che innalzare un controproducente muro di ostilità. Il risultato fu che il barbaro conquistatore evitò di appropriarsi di Roma. Fu la vittoria della lungimiranza, del buon senso, della secolare saggezza del magistero. Forse lo ricordano in pochi, ma cattolico significa universale. Non è dividendo, insultando, minacciando che si costruisce una civiltà del dialogo. I mass media abbondano di titoli da corrida: tizio contro caio, Sempronio alla riscossa. Purtroppo l’odierna società civile, politica e religiosa dimostra sempre più l’insita tentazione di confondere la fedeltà e la coerenza con il viscido opportunismo della lusinga. Un conto è essere obbedienti, un conto è essere servi sciocchi.

L’adulatore, o per dirla alla latina, il “culum lingens” ritiene che il fine giustifichi sempre i mezzi. Il buon senso ha consentito alla Chiesa in due millenni di individuare sempre soluzioni e interlocutori possibili, senza blandire ne mistificare a fallace vantaggio delle passeggere convenienze. Oggi Attila non è più una persona su cui puntare i velleitari cannoni della propaganda, bensì una moda di pensiero che vorrebbe relativizzare le verità della fede fino a renderle inconsistenti ed effimere. Troppo facile sparare sul pianista come nei saloon del Far West. Chi prova a dialogare, attualizzando l’esempio di San Leone Magno, si espone, rischia in proprio, accetta la possibilità di fallire, eppure si rivela portatore di concertazione, pacificazione, unità sincera. Il grande adulatore, il supremo mistificatore resta sempre il diavolo. 

Ogni occasione di incontro toglie un mattone al muro dell’inimicizia. I Pontefici sono per antonomasia costruttori di ponti, volerne fare dei combattenti nell’arena politica finisce per snaturarne la loro missione. La ferocia con cui ci si oppone all’avversario del momento rappresenta la furibonda reazione di quanti vedono svanire un potere che sentivano immutabile. Una violenza verbale che rispecchia il terrore di vedersi sfilata da sotto il “culum” una poltrona, non certo la preoccupazione per il bene comune verso il quale impera sovrana indifferenza. Chi segue Cristo non ragiona così e anche il portone di bronzo non è mai chiuso definitivamente per nessuno. Così come nella cappella Redemptoris Mater, accanto alla Sistina il mosaico di Gesù ha un velo che copre l’inferno. “ Potrebbe essere vuoto: la misericordia divina può salvare fino all’ultimo istante qualsiasi peccatore”. Questa fu la spiegazione ad opera ultimata, in segno di riconciliazione giubilare. 

Sessant’anni fa il mondo ebbe in eredità, per i suoi forzieri più preziosi, l’insegnamento di don Luigi Sturzo. Oggi servono nuovi “coraggiosi e liberi” testimoni della dignità umana calpestata sulle frontiere bioetiche, geopolitiche e culturali. Nessuno può ritenersi immune dal virus dell’autoreferenzialita, del servirsi invece che servire. Papa Francesco, da maestro di vero umanesimo, affida ai giovani il mandato di edificare una società dell’ascolto e dell’inclusione. Cercare di ridurre la Chiesa a una fortezza, assediata e con le porte chiuse, contraddice non solo la storia ecclesiastica, ma la stessa vocazione evangelica. La lusinga dei “culum lingentes” provoca  fallimento e inutilità sullo scacchiere globalizzato. Il coraggio del dialogo, anche quando le diversità sono palesi, permette alla classe dirigente di salire di livello. Circondarsi di melliflui “culum lingentes”  impedisce a chi ha incarichi di responsabilità (in qualunque ambito, civile e religioso ) di migliorarsi e crescere. È scandaloso e deprimente che a tarpare le ali al dialogo siano proprio coloro che se ne proclamano paladini.