Il disastro demografico ci sta stritolando, ma pochissimi lo vedono

calo demografico

Giorni fa la Commissione della Unione Europea ha rassegnato i dati riguardo i danni subiti a causa del Covid-19: lo scenario che si prospetta è molto preoccupante con una stima di recessione nel 2020 di -11,2%. Insomma ai dati negativi del passato mai smaltiti, si aggiungono quelli del lockdown che annunciano un futuro non sereno nel caso gli italiani non dovessero prendere coscienza del cambiamento non a parole che dovrà, speriamo, prendere forma nel paese nel produrre di più e meglio, per guadagnare di più e spendere meglio i soldi pubblici.

Ma c’è un’altra emergenza ancora più grave, silenziosa, che alla lunga spegnerà come un cero il ‘bel paese’ e lo farà morire di consunzione, qualora non dovessero esserci inversioni a 180 gradi: è la questione demografica. Sono oramai tanti gli anni che si registrano riduzioni consistenti e costanti delle nascite, ma nella cronaca giornaliera il tema non viene considerato dal dibattito politico: sarà per cattiva coscienza o perché contrasta con il pensiero unico, tutto intento a manipolare l’antropologia, ma non se ne cura. Una ottusità che nega il disastro morale ed economico presente nel nostro destino qualora si continuasse a trascurare i segnali che provengono dalla società italiana, con nascite tra le più basse del mondo, con l’invecchiamento della popolazione seconda solo al Giappone, con la crescita esponenziale della emigrazione dei nostri giovani in ogni direzione: in Europa come in altri continenti.

Basti approfondire i dati rassegnati dai principali demografi per apprendere che nel 2100, tra ottant’anni, ci ridurremo ad una popolazione inferiore ai trenta milioni, condannandoci alla irrilevanza economica e politica e consegnando alle generazioni future una società priva di prospettive. Peraltro, da tempo le scelte della politica sono tutte orientate a occuparsi di cose dell’oggi con la testa rivolta a ieri, complice uno spaesamento di gran parte degli italiani riguardo ai grandi cambiamenti, in assenza di un sufficiente ancoraggio a principi e tradizioni. Si privilegia una economia orientata alla assistenza anziché a rendere saldi quei ‘fattori di sistema’ che presentano le nostre produzioni più competitive nel mercato internazionale.

Cosicché i nostri giovani, altamente scolarizzati cercano altrove quello che non trovano nel loro paese. Intanto la grande questione ‘Famiglia’ è trascurata da sempre sul piano fiscale, nei sperati sostegni finanziari per le nascite, nei servizi; persino nella scuola e nelle altre attività pubbliche, ispirate ancora nel loro funzionamento ad altre epoche, quando le famiglie erano mono reddito, e la donna  si occupava a tempo pieno della casa, dei figli, delle varie altre incombenze familiari. Basti pensare a come sono organizzate le attività scolastiche pubbliche, tutte incentrate nella mattinata, come se ci fosse comunque un familiare in grado di recarsi a riprendere il bambino alle 13,30. Oppure la scandalosa larghissima insufficienza dei nidi e asili infantili, oppure apertura e chiusura di ogni altro sportello pubblico. È così difficile decidere nelle scuole e negli uffici l’orario prolungato e magari nella scuola escludere il sabato? Dunque sono tante le cause a cui si riconduce questa triste e penalizzante situazione demografica. E credo che la prima battaglia senza sosta per il cambiamento dovrà riguardare proprio il contrasto alla oggettiva ostilità contro le nascita e all’incuria irresponsabile nei confronti del futuro dei giovani.