I processi non si impongono alla storia

Veduta di Mosca (Foto di Alex Zarubi su Unsplash

Niente di nuovo sotto il cielo di Russia: è il solito, tremendo e forse sanguinoso rivolgimento di potere che si profila all’orizzonte. Non che Vladimir Putin abbia le ore contate, e nemmeno che Prigozhin sia ad un passo dal finire come i complottardi decabristi dell’Ottocento. Nessun esito è scontato, nessuno. Però tra qualche tempo niente potrebbe essere come prima: quando in Russia la leadership perde una guerra (e Putin certo non sta vincendo in Ucraina) è difficile che mantenga il potere. Ugualmente la cavalcata poco wagneriana di Prigozhin verso Mosca è indicativa ed evocativa: ricorda, con tutti gli annessi e connessi, quella del Generale Kornilov avvenuta appena poco più di un secolo fa.

C’era la guerra coi tedeschi, la Prima Guerra Mondiale. L’offensiva degli Imperi Centrali verso il Lago Masuri aveva portato alla fine dello zarismo, tramite una rivoluzione liberale nel febbraio 1917. Il nuovo governo commise l’errore di non chiedere la pace separata e questo dette la possibilità ai bolscevichi di Lenin di organizzare a luglio una serie di giornate di scioperi e proteste, per indebolire la classe dirigente e preparare la rivoluzione. Lenin finì costretto a riparare in Finlandia, in una capanna tra i laghi, ma la reazione al cattivo andamento delle operazioni al fronte spinse il generale Kornilov, capo supremo delle forze armate, a lasciare la prima linea con un cospicuo manipolo di fedelissimi in direzione di San Pietroburgo. Proclamò il ritorno all’antica disciplina tra i soldati a suo dire indebolita, più che dai bolscevichi, dall’inetto Kerenskij che guidava il governo, e risalì da su a nord il territorio della patria, fino a giungere a 20 chilometri dalla meta. Qui si fermò e accettò di essere spostato in un’altra sede, lontano dai palazzi del potere, in cambio dell’impunità. Sarebbe finito ucciso dai bolscevichi un anno dopo, quando questi erano divenuti padroni delle Russie grazie ad una Rivoluzione che in realtà fu un banale e poco eroico colpo di stato.

Ora, se è vero che il turismo storiografico è materia affascinante quanto superficiale, la storia pur sempre resta maestra di vita e strumento di interpretazione del presente. Colpiscono quindi, dietro l’aneddoto, una serie di costanti: la debolezza del potere centrale; l’insofferenza dei combattenti spinti al limite del pronunciamento militare; il nulla di fatto finale che spiana la strada a soluzioni ben più radicali del mantenimento dello status quo. Quest’ultimo punto è il dato centrale, da tenere a mente per farsi un’idea di cosa il futuro potrebbe portare. Al di là del destino personale di Prigozhin, il problema che il capo mercenari ha posto resta fisso come un macigno nelle considerazioni che intercorrono al Cremlino. La guerra langue, e per fortuna che l’Ucraina non riesce ad essere devastante nella sua controffensiva. Putin, convinto com’era di risolvere il problema ucraino in un paio di settimane, si scopre essere come l’Urss di Brezhnev finita con tutti e due i piedi in Afghanistan. L’Europa, che doveva essere la vittima collaterale della guerra, non è capitolata e vede giungere da Londra i primi seri ripensamenti sulla Brexit: non esattamente una sconfitta.

Non è cosa di domani, ma nuovi Torbidi si profilano all’orizzonte. È così che l’Occidente (Unione Europea e Nato: si prega di non confondere e sovrapporre le due cose che sono e devono restare ben distinte) si trova di fronte esso stesso ad un dilemma, chiamato allargamento. Non siamo certo noi quelli che possono suggerire alcunché, ma un pensiero non ci lascia: mai umiliare gli imperi, anche quelli in declino, anche quelli in difficoltà. Anche quelli che non ci sono amici e che hanno usato fake news, troll ed algoritmi persino per incidere sulle nostre elezioni democratiche (sì: democratiche, e la democrazia resta il migliore dei mondi possibili). Quindi si garantisca integrità, sicurezza e indipendenza a chi è stato aggredito, ma non si compiano fughe in avanti. Per crescere c’è tempo. Anzi, ci deve essere tempo. I processi non si impongono alla Storia. Altrimenti si è solo turisti della storiografia.