Giochi d’intesa: il test politico del premierato

Palazzo Chigi
Palazzo Chigi. Foto: Consiglio dei Ministri

Le cosiddette battaglie di bandiera, o se preferite punti inderogabili del programma elettorale, spesso rappresentano l’elemento cardine di una legislatura. Non sempre, sia chiaro, ma le ultime maggioranze di governo che si sono alternate alla guida del Paese si sono mosse nel solco di questa logica. Con risultati non sempre convincenti, come nel caso di Matteo Renzi e del suo referendum sulla riforma Costituzionale. Quello che doveva essere il lungo inizio del renzismo al governo, si rivelò la sua rapida fine. Con la rincorsa verso il premierato, e lo start viene dato proprio in questi giorni, il governo guidato da Giorgia Meloni corre lo stesso rischio? Oppure le coordinate sono molto diverse fra loro?

Diciamo subito che i piani non sono sovrapponibili, partendo da presupposti diversi e con finalità diametralmente opposte fra loro. Ma, nonostante ciò, per la Meloni si tratta comunque di una scommessa di alto livello, e non solo istituzionale, toccando un pezzo della Costituzione. Non a caso la cronaca parlamentare registra una pioggia di emendamenti, con distinguo, dalle opposizioni sul premierato forte voluto dal centrodestra e portato a sintesi dal governo con 4 modifiche che giungono dopo il confronto con i leader dei partiti.

A “metterci la faccia” in commissione Affari costituzionali del Senato sarà, come emerso nelle ultime ore, l’esecutivo. Il che, a norma di regolamento, aprirà il termine per presentare dei subemendamenti e allungherà, di fatto, i tempi rispetto alla prima ipotesi, quella di fare firmare le modifiche al ddl Casellati ai capigruppo di maggioranza. Ma è necessario partire dai testi che sono stati messi a punto, innanzitutto da quello che riscrive l’articolo 94 della Costituzione. Il punto di caduta trovato dal ministro Elisabetta Casellati, al termine di un week end di lavoro e confronto, porta a una riformulazione: “In caso di revoca della fiducia al presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere. In caso di dimissioni volontarie del Presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone. Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il Presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio”.

Il ‘pallino’, si riassume da esponenti di maggioranza, resta comunque in mano al presidente votato dai cittadini. Al premier poi viene attribuito il potere di proporre la revoca dei ministri e nel testo restano le modifiche sul semestre bianco salta il premio di maggioranza previsto al 55%. Dal Giappone, dove si trova la presidente del Consiglio, è la stessa Giorgia Meloni a dare l’imprimatur alla norma anti-ribaltone: “Per quello che riguarda la maggioranza, sono molto contenta del fatto che lavorando si sia trovata una formulazione della norma che è più chiara rispetto alla precedente e che ribadisce un fatto semplice: sono gli italiani, se passa la riforma, che devono scegliere da chi farsi governare. Serve stabilità dei governi, basta con gli inciuci, basta col trasformismo, basta con i governi tecnici”, dice.

Mentre una voce critica si leva dal centrodestra, con l’ex presidente del Senato Marcello Pera, che parla di un lavoro non ancora terminato, dalle opposizioni, come detto, è pioggia di modifiche. Alla base di molte, la convinzione che quello maggioranza sia “un vero pasticcio”, per alcuni addirittura “inemendabile”. Sono circa duemila le richieste di cambiamento che arrivano dalle forze di minoranza: 1000 da Avs, circa 800 dal Pd, 12 da M5s (“mai alla Calderoli”, sottolineano i pentastellati per spiegare che non puntano all’ostruzionismo), 16 da Iv che vuole sminare anche il diritto di fronda del ‘premier in seconda’, 8, si è appreso, da Azione.

Quanto ai tempi d’esame, una volta “fascicolati” i testi, spetterà al presidente della Prima Commissione di Palazzo Madama, Alberto Balboni, avanzare una proposta. Un dato, però, merita una certa attenzione. Sul testo c’è l’intesa da parte dei leader del centrodestra, in particolare sull’emendamento che modifica l’articolo 4 del ddl Casellati circa l’elezione diretta del presidente del Consiglio. L’intesa sulla cosiddetta norma anti-ribaltone è stata confermata presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, Alberto Balboni. Con Renzi non avvenne esattamente la stessa cosa.