La fiducia a Draghi per le urgenze di un Paese stremato

A vedere gli esiti del dibattito al Senato, al termine del quale è stata data la fiducia al governo Draghi, viene in mente un titolo storico del “Giorno”. Era il 1969 e la Luna era stata di nuovo toccata, con successo, da un Apollo 13 che marciava rispettando al decimo di secondo la tabella di marcia. Titolò, per l’appunto, il giornale: “Troppo perfetto, la gente si annoia”. L’indomani iniziarono i guai, e furono guai seri.

Non è il tono, un po’ monocorde, del Presidente del Consiglio ad indurre il tedio. È, semmai, l’aura di Profeta in Patria che troppo spesso gli è stata fin qui attribuita. C’è di che essere convinti che lui stesso non apprezzi l’andazzo. Si liberi subito degli entusiasti, ne trarrà immenso vantaggio.

Intanto la nave va e si spera che la navigazione sia lunga e fruttuosa. Notiamo che gli unici nomi presi ad indicare un modello o un punto di riferimento sono stati, nella relazione a Palazzo Madama, Cavour e Papa Francesco. Difficile accoppiata: un Pontefice ed un liberale risorgimentale. C’è tutto un mondo che è cambiato, o almeno aspira a cambiare. La Chiesa è in uscita, l’universo laico è incuriosito da Bergoglio. Che questo basti ad aprire una stagione è tutto da vedere. Finora la storia patria è stata piena di laici pronti a inchinarsi davanti ad un altare; a distanza di anni di tutto questo è rimasta solo un po’ di cenere. Siamo convinti (ma è convinzione personale, non la si prenda per dogma) del fatto che una sintesi tra certi mondi sarà possibile non attraverso rapporti di vertice, ma attraverso una elaborazione culturale che coinvolga, da parte cattolica, un laicato finalmente consapevole della responsabilità che è chiamato a riassumersi verso la cosa pubblica. Tempi e modi di questa rivoluzione copernicana sono tutti da immaginare. Probabilmente non sono vicini.

Vicinissime invece sono le urgenze di un Paese stremato. Draghi stesso ha ricordato che il bubbone non lo ha fatto scoppiare da solo il coronavirus: era già esploso prima e il Covid rischia solo di dare l’ultima spallata. Si dia avvio ad una tassazione progressiva: chi ha di più dia di più, è la logica del bene comune. Si rafforzino i legami con l’Europa: siamo circondati da popoli fratelli, non da nemici come nell’agosto del 1914. Si ribadisca la scelta atlantica: siamo una grande democrazia occidentale e questo ci pone in un campo ben determinato.

Soprattutto, però, si tenga a mente che al centro di tutto ci sono i problemi di persone concrete: padri e madri di famiglia, giovani senza lavoro, cervelli altrimenti in fuga e anziani da sostenere. Sono queste realtà, sintetizzate nel nome collettivo di famiglia, che hanno pagato lo scotto del risanamento, dell’ingresso nell’euro, della grande crisi del 2008 e di quella tutta italiana del 2011. Non si tratta di dare un premio a nessuno: si tratta di smetterla di tosare sempre la stessa pecora. Alla fine, altrimenti, morirà di freddo. Draghi è di formazione keynesiana, si ricordi che John Maynard Keynes esortava a combattere la disoccupazione anche – se necessario – mettendo la gente a costruire piramidi. Che a noi magari non piacciono particolarmente, magari, ma a Cavour – che il museo egizio di Torino deve averlo visitato molte volte – immaginiamo piacessero moltissimo.