Editoriale

La fede nel popolo di Dio: il poliedro anziché la sfera

La fede nel popolo di Dio è una costante nel pontificato di Francesco. Appena eletto Jorge Mario Bergoglio ha chiesto ai fedeli la loro benedizione prima di benedirli. Il cuore della Chiesa è laddove si trova il popolo di Dio. Per questo la prima Porta santa del Giubileo straordinario della misericordia è stata aperta a Bangui. E non a Roma. Non ci siamo abituati. Ma Francesco aiuta a ricordare che non siamo noi il centro. Come evidenziato dal gesuita padre Giacomo Costa. Una scossa salutare perché una prospettiva diversa consente di uscire da alcune strettoie del pensiero occidentale. E costituisce anche un arricchimento.

Papa Francesco in Vaticano all’incontro “Fede e scienza: verso Cop26” (Fonte: Vatican News)

È l’esperienza realizzata già in tanti Paesi europei. Riconoscersi co-discepoli con altri non europei che abitano con noi. E che vivono la fede e celebrano in un modo che interroga e risveglia. Anche il Pontefice è stato sorpreso a sua volta dal modo africano di celebrare. È un circolo virtuoso in cui nessuno è maestro. E quanto più il tempo passa, tanto più il riferimento vitale al Concilio Vaticano II è chiamato a spostarsi. Da un piano di contenuti e categorie teologiche. A quello di un metodo. E cioè al discernimento dei segni dei tempi. Così l’aggiornamento si dimostra capace di condurre a nuove elaborazioni.Un esempio molto chiaro è l’uso del poliedro anziché della sfera. Come modello della realtà. Con tutto quello che questo comporta in termini di salvaguardia della
pluralità e delle differenze. All’interno della Chiesa e nel rapporto con la società. La sfera è identica da qualunque prospettiva la si guardi. Il poliedro, invece, “riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità” (Evangelii
Gaudium). Quindi pur avendo la sua unità, ciascuna faccia mantiene la concretezza della propria individualità. E l’aspetto dell’insieme dipende dal concorso di tutte.
Allo stesso modo la Chiesa è autenticamente universale. Il Concilio tende ancora a mettere l’istituzione ecclesiale al centro. Parimenti Papa, vescovo, parroco o comunità ecclesiale. Secondo Francesco la Chiesa non è che una delle facce di un poliedro irregolare. Che tiene insieme anche altre prospettive e competenze. In quanto tale ha un ruolo fecondo e prezioso da giocare. A condizione, però, di non preoccuparsi di essere al centro di tutto. Sulle orme della “Gaudium et Spes”, da una parte Francesco esprime riconoscenza. Gratitudine. Apprezzamento. Dall’altra offre una parola autenticamente profetica. I grado di sottolineare le sfide e la responsabilità di tutti e di ciascuno.Proprio la misericordia è l’attuazione del Vangelo. Per questo è inevitabilmente anche l’attuazione del Concilio. E la manifestazione del Dna dell’Ecclesia. La Chiesa “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia. Frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre. E la sua forza diffusiva” (Evangelii Gaudium). Questo desiderio spinge con tutte le sue forze ad andare incontro ai poveri. Agli afflitti. Ai bisognosi. Così, proprio l’esercizio della misericordia diventa il criterio di verità della fedeltà al Vangelo. Nella comunità primitiva come nella Chiesa di oggi. In questa chiave va letto anche il Giubileo della Misericordia. Indetto da Francesco esattamente a “sette settimane di anni” dalla chiusura del Vaticano II.  A tutti gli effetti è stato un Giubileo del Concilio. Di cui riafferma il carattere di evento della storia della salvezza.

Giacomo Galeazzi

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