Ecco perché la Giornata contro la tratta è internazionale

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Se tutto ha un prezzo, nulla ha più valore. In un’epoca nella quale torna prepotentemente in auge la tentazione di vendere e acquistare qualunque ambito di vita individuale e comunitaria, diventa fondamentale riaffermare l’intangibile dignità della vita umana in ogni fase e condizione. La tratta rientra nella catena aberrante delle plurime negazioni della sacralità dell’individuo.

Nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli”, scrive il Premio Nobel Nelson Mandela. Il 30 luglio è una data simbolicamente forte perché oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale contro la tratta degli esseri umani. Parliamo di una commemorazione appunto “internazionale” perché lo scandaloso traffico di innocenti riguarda tutte le nazioni del globo e cioè i paesi di origine, transito e destinazione. Questo crimine universale vede decine di milioni di uomini, donne e bambini schiavizzati da gravi forme di sfruttamento, tra le quali il lavoro forzato e l’asservimento sessuale.

Papa Francesco testimonia senza sosta il valore della dignità umana di fronte alle condizioni di povertà e ingiustizia che favoriscono le nuove schiavitù. Secondo l’Onu, infatti, il 35% delle vittime della tratta ha meno di 18 anni: per tre quarti di genere femminile. L’assoggettamento limita crudelmente ogni libertà e “rende i nostri fratelli e sorelle oggetti da usare e scartare”, avverte il Pontefice. Crisi economica, guerre, cambiamenti climatici, instabilità rendono anche i migranti più vulnerabili e facilmente reclutabili dai trafficanti. Servono, quindi, la conversione dei cuori e società inclusive per “camminare insieme” alle vittime di ogni tipo di violenza, agli sfollati e ai fragili. Un problema se condiviso trova soluzione, se scaricato su pochi Stati diventa un’emergenza cronica, ha ricordato Jorge Mario Bergoglio ricevendo il premio Ue Carlo Magno. I tragici effetti della tratta li subiamo ogni notte sulle strade della prostituzione coatta che inchiodano le “donne crocifisse” al più atroce dei destini. L’esistenza umana non ha prezzo e quindi anche vendere il corpo non potrà mai essere considerato un lavoro, come ripeteva incessantemente don Oreste Benzi, l’infaticabile apostolo della carità che ci ha insegnato a soccorrere e accogliere quelle che chiamava “le nostre sorelline”. Così come acquistare sesso non sarà mai paragonabile al libero e autodeterminato atto di fare l’amore. Non ci sarà adeguato risarcimento personale e collettivo per le vittime della tratta finché i governanti dei Paesi di provenienza, passaggio e approdo non si inginocchieranno pubblicamente per implorare dalle loro figlie più fragili e ferite il perdono per il male inflitto in azioni e omissioni. Un simile “mea culpa” per avere significato nella storia universale, deve avvenire all’interno delle istituzioni di ciascuna nazione e poi trovare compimento in un solenne momento condiviso alle Nazioni Unite. Dal Concilio Vaticano II, in sei decenni, tutti i successori di Pietro hanno avuto la forza profetica e l’umiltà di chiedere perdono per le colpe del passato. Avrebbe un altissimo significato se i potenti della Terra rendessero giustizia alle vittime della tratta inchiodate alle croci dell’indifferenza, della complicità, della crudeltà, del “male minore”. Reggere rettamente le sorti dei popoli significa appellarsi alle loro pulsioni più elevate e nobili, non assecondarne gli istinti peggiori. Quanti responsabili della vita pubblica, ad esempio, si rendono autenticamente conto che quelle ragazze seminude in strade hanno la stessa età e gli stessi diritti di quelle figlie e nipoti che loro accudiscono con totale dedizione? Per una volta, e sarebbe davvero un gesto rivoluzionario, siano loro, come hanno fatto i Papi, a inginocchiarsi ai piedi delle croci viventi che nelle vene hanno lo stesso sangue di sacra dignità ma che hanno avuto l’infausta sorte di nascere, crescere, vivere senza la libertà, la verità, la condivisione che realmente ci rendono umani.

Sarebbe decisivo che tutte le organizzazioni che a livello mondiale si battono contro la tratta, si ritrovassero sulla richiesta di una moratoria internazionale che, come è accaduto per la pena di morte, così da mettere immediatamente fuori legge, in qualunque forma e sotto qualsiasi mascheramento, l’acquisto di esseri umani, l’utilizzo del corpo in qualunque forma (dalla gestazione per altri al traffico di organi). Le vere rivoluzioni, come insegnano tre millenni di “visioni utopiche”, sono come un granello di neve in montagna: possono dare origine ad una valanga. Già mezzo millennio fa lo scrittore Miguel de Cervantes osservava che “la libertà è uno dei doni più preziosi dal cielo concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono agguagliare: e per la libertà, si può avventurare la vita, quando per lo contrario la schiavitù è il peggior male che possa arrivare agli uomini”.

Pubblicato su Avvenire