Comunicare significa farsi carico dell’altro

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Secondo un celebre scrittore statunitense per comunicare efficacemente, dobbiamo “realizzare che siamo tutti diversi nel modo di percepire il mondo e utilizzare questa comprensione come guida della nostra comunicazione con gli altri”. E i più recenti studi di psicologia dimostrano che “nella comunicazione non importa quanto coerente, logico e corretto il contenuto possa essere, ma se non c’è un sentimento connesso il messaggio non verrà considerato”. Insomma non esiste comunicazione senza condivisione. Per rievocare adeguatamente, dunque, San Francesco di Sales serve la consapevolezza che comunicare non è solo informare ma anche farsi carico, prendersi cura dell’altro.

Viviamo in un’epoca in cui spesso l’ambizione dello “scoop” e la smania di visibilità rischiano di prevaricare il senso di umanità e l’anelito di verità. Occorre, perciò, che la misericordia e il discernimento vengano quotidianamente testimoniati da ciascuno di noi come argini di civiltà in una società inquinata dalla prepotenza verbale e dalla mancanza di empatia. L’odierna ricorrenza del patrono dei giornalisti e dei comunicatori sociali offre, quindi, l’occasione per riflettere sul valore della trasmissione di notizie e contenuti culturali. La Chiesa fa la sua parte a cominciare dalla missione di annunciare il Verbo. Tutto inizia dal Logos, dalla parola. La Chiesa impara a comunicare al Concilio Vaticano II e papa Francesco sta completando la rivoluzione linguistica inaugurata dal suo predecessore Giovanni XXIII. Si è da poco celebrato il 60° anniversario del decreto conciliare Inter Mirifica, con il quale fu attribuita una sorta di cittadinanza ai mezzi di comunicazione, che vennero riconosciuti come strumento importante per la vita della Chiesa. E per questo si chiese ai pastori di usarli efficacemente. Prima del Concilio, l’ambito della comunicazione non era considerato come un orizzonte strategico per la Chiesa e per il futuro dell’umanità. Delle 9.348 proposte di tema per i lavori dell’assise, solo 18 facevano riferimento alla comunicazione.

Fu Giovanni XXIII che volle introdurre il tema dei mezzi di comunicazione nell’agenda conciliare. Ne derivò un’istruzione pastorale, che fu poi pubblicata con il titolo “Communio et Progressio”. Poi, a quattrocento anni esatti dalla morte del santo vescovo francese Francesco di Sales, papa Bergoglio ha scritto la Lettera apostolica “Tutto appartiene all’amore”, riconoscendo a questo dottore della Chiesa, il merito di aver saputo aiutare le persone a cercare Dio nella carità, nella gioia e nella libertà. “Francesco di  Sales aveva individuato il desiderio come la radice di ogni vera vita spirituale e quale luogo della sua contraffazione”, sottolinea il Pontefice. Per questo considerava fondamentale “mettere il desiderio alla prova attraverso il discernimento”, e il criterio ultimo per la sua valutazione “lo aveva ritrovato nell’amore”, nel chiedersi, “in ogni circostanza della vita dove si trova il maggiore amore”. La comunicazione “non è altro che un vero amore di Dio”, una manifestazione della carità, dunque niente di astratto, ma “un modo di essere nel concreto dell’esistenza quotidiana”. Solo così l’esistenza ritrova le sorgenti della gioia, contro ogni suo inaridimento”.

Dal Concilio in avanti si iniziò a consolidare l’interesse della Chiesa per i mezzi di comunicazione: l’istituzione ecclesiale non si limitava ad essere un censore, cercava, anzi, di motivare i pastori ad interessarsi al mondo della comunicazione, invitandoli a mantenere una mente aperta di fronte alle opportunità che i media offrivano nel campo dell’evangelizzazione. Da un lato, rimase chiaro che la testimonianza di una vita cristiana autentica fosse il primo mezzo di evangelizzazione; così affermava già Paolo VI nel 1975: «È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità» (Evangelii Nuntiandi 41). Dall’altro lato, invece, andò crescendo l’interesse per gli aspetti tecnici della comunicazione; i sacerdoti e, in generale, gli addetti alla pastorale, fecero propri i mezzi di comunicazione di massa tra gli anni Settanta e Ottanta, stimolati dall’invito fatto da Paolo VI con le celebri parole: “La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi, che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati; servendosi di essi la Chiesa “predica sui tetti” il messaggio di cui è depositaria; in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini”. Con il Concilio la Chiesa iniziò ad utilizzare gli strumenti di comunicazione di massa, concependoli come un megafono mediante il quale annunciare il Vangelo, con la convinzione sottostante che maggiore fosse stata la quantità dei mezzi di comunicazione più ampia sarebbe stata l’efficacia della comunicazione stessa. “La comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica”, insegna papa Francesco.