Come camminare su un sentiero fra precipizi

Ormai viviamo in un mondo di grandi incertezze, dove ciò che un giorno sembra assodato, il giorno dopo è già rimesso in discussione, dove un intervento di politica economica presentato come risolutivo si rivela ben presto insufficiente quando non addirittura controproducente. Solo ora possiamo apprezzare che cosa ha significato quella “stabilità” politica ed economica di cui abbiamo potuto godere per decenni, senza apprezzarla fino in fondo e senza monitorare i cambiamenti che stavano avvenendo. Infatti, nessuna delle crisi che hanno determinato la condizione in cui ci troviamo è stata un “cigno nero”: né quella finanziaria del 2008, causata da comportamenti bancari speculativi permessi dalla legislazione; né quella ambientale che ci attanaglia con i suoi eventi estremi, una crisi di cui si è discusso da decenni in modo inconcludente; né quella delle catene del valore internazionali, che perseguivano solo l’obiettivo del low cost, senza considerare i costi di sicurezza che esse comportavano (soprattutto in campo energetico); né quella della guerra scatenata dalla Russia, il cui leader aveva da anni dato segnali espliciti di dissenso con l’Occidente.

Avremmo dovuto agire per disinnescare i rischi, prima che producessero i danni di cui siamo vittime. Si sta ora cercando di correre ai ripari su tutti i fronti, ma spesso si lavora con ricette obsolete. Prima si è inondato il mondo occidentale di liquidità, per evitare fallimenti di Stati e imprese, come aveva suggerito Keynes tanti anni fa. Si è poi varato un forte programma di investimenti (il NGEU, noto in Italia come PNRR), l’unica decisione sulla quale nessuno ha avuto da recriminare, perché gli investimenti portano sempre a miglioramenti di produttività. Quando è scoppiata la guerra, il mondo occidentale si è schierato con l’Ucraina aggredita, ma non ha mostrato di avere chiari i progetti di soluzione del conflitto, limitandosi ad inviare armi e a comminare sanzioni contro la Russia. Con la guerra, l’eccesso di liquidità si è scontrato con la carenza di fonti energetiche e ha fatto scattare una forte inflazione, per sopprimere la quale si sono poste in essere politiche monetarie restrittive.

L’attesa era che le politiche restrittive avrebbero depresso le economie e per questo motivo si era previsto un 2023 di recessione “tecnica” (chiamata così perché gli investimenti in corso vengono ritardati), ma questo non sembra oggi realizzarsi con la medesima intensità, perché nel frattempo i costi delle fonti energetiche si sono abbassati (per merito di interventi di diversificazione delle fonti e di price cap) e gli investimenti messi in stand by hanno potuto riprendersi, almeno in parte. L’Italia sta mostrando grande capacità di resilienza ed è fra i paesi più pronti a cogliere le opportunità positive del momento, anche perché il cambio di governo ha mostrato sul piano europeo grande continuità. Ma possiamo davvero rallegrarci di questa “buona” notizia? Temo purtroppo che, se le previsioni allarmanti sulla guerra in Ucraina verranno seguite dai fatti, altre nubi si affacceranno all’orizzonte, mentre le condizioni climatiche non fanno che peggiorare.

Non resta che restare saldi e positivi, pronti ad affrontare le nuove sfide. Quello che dobbiamo smettere è di piangerci addosso. È vero, infatti, che questo lungo periodo di grave instabilità è seguito a tanti decenni di relativa “normalità” a cui ci eravamo abituati, ma guardando sul lungo periodo non sono tanto le sfide attuali ad essere eccezionali, quanto appunto quel prolungato periodo di stabilità. Ora dobbiamo lavorare sodo per superare le presenti difficoltà, cercando di muoverci verso nuovi equilibri, che si potranno raggiungere solo attivando soluzioni che tengano in conto le ragioni di tutti.