Editoriale

Il percorso mistico che conduce al Cielo

In Cielo attraverso la preghiera e la carità. È il Cielo la meta a cui puntano gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola. Composti nel 1522 in spagnolo in una stesura non definitiva. Trascritti poi in latino e pubblicati nel 1548 a Roma. Gli Esercizi spirituali rappresentano la “chiave di volta” della spiritualità di Ignazio di Loyola. Questa pratica è anteriore ad Ignazio. Ma fu elaborata per la prima volta da lui in forma sistematica. Sotto la guida di un direttore, l’esercitante dovrà vivere in silenzio e solitudine per un mese. La prima settimana è centrata sull’esame di coscienza. La seconda e la terza, sulla contemplazione dei misteri e della passione di Cristo. Nell’ultima settimana l’esercitante giunge infine ad una vita di unione con Dio. L’opera è nata dall’esperienza diretta di Ignazio di Loyola che percorse infatti egli stesso le tappe sulle quali è strutturato il suo metodo. Prima che una composizione letteraria, il cammino e il progetto di un uomo. Un “classico” della storia della spiritualità.Jorge Mario Bergoglio ha profonda familiarità con il percorso autenticamente mistico di Sant’Ignazio di Loyola. Non per abbandonare il mondo. Ma per scoprire il mistero che si cela nella profondità di ciò che si vive ogni giorno. E infatti nell’enciclica Laudato si’ Francesco scrive che l’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia. In un sentiero. Nella rugiada. Nel
volto di un povero. Il percorso mistico e caritativo che conduce al Cielo lo si vede molto bene nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”. Il Pontefice desidera “una Chiesa povera per i poveri” (numero 198). E subito dopo aggiunge che “i poveri hanno molto da insegnarci. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro”. Una sottolineatura che appare come il frutto del percorso della Chiesa latinoamericana dopo il Concilio. Ma anche dell’esperienza personale di Jorge Mario Bergoglio nelle periferie di Buenos Aires.
La misericordia è innanzi tutto l’attuazione del Vangelo. Per questo è inevitabilmente anche la realizzazione del Concilio Vaticano II. E la manifestazione del Dna della Chiesa che “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia. Frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva” (Evangelii Gaudium, numero 24). Questo desiderio spinge con tutte le sue forze ad andare incontro ai poveri. Agli afflitti. Ai bisognosi (Evangelii Gaudium 193). Così proprio l’esercizio della misericordia diventa il criterio di verità della fedeltà al Vangelo. Nella comunità primitiva come nella Chiesa di oggi. In questa chiave va letto anche il Giubileo della Misericordia. Francesco lo ha indetto esattamente a “sette settimane di anni” dalla chiusura del Vaticano II. A tutti gli effetti si è trattato di un Giubileo del Concilio. Di cui ha riaffermato il carattere di evento della storia della salvezza. Lo aveva già detto Giovanni Paolo II. Proprio in vista del Giubileo del 2000. “Il Concilio Vaticano II costituisce un evento provvidenziale. Un Concilio simile ai precedenti. Eppure tanto diverso. Un Concilio concentrato sul mistero di Cristo e della sua Chiesa. E insieme aperto al mondo. Questa apertura è stata la risposta evangelica all’evoluzione recente del mondo” (Tertio Millennio Adveniente 18).

Foto © Vatican Media

Nell’Anno santo straordinario della Misericordia ha assunto una particolare pregnanza simbolica l’apertura della Porta santa. Resa possibile dall’abbattimento del muro che la chiude. Segno di ciò che sempre opera la misericordia. Se tradizionalmente i fedeli l’attraversano per entrare. La Chiesa che Francesco vuole sempre in uscita è chiamata a imparare a varcare quella soglia in direzione opposta. Per portare al mondo la misericordia e la salvezza di Dio. E soprattutto per riconoscerle e incontrarle già all’opera. L’evangelizzazione ha sempre lo stesso cuore. O meglio lo stesso obiettivo. Il percorso e gli strumenti cambiano nel tempo. Quindi si fa anche ricorso ai tweet nell’era dei social network. Ma il punto d’arrivo è sempre l’esperienza di un incontro personale con Gesù. Ciò trasforma le relazioni con gli altri. Con la società. Con l’ambiente.

Giacomo Galeazzi

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