Violenza contro le donne, professor Musacchio: “Quali sono i campanelli d’allarme”

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne il 25 novembre, Interris.it ha intervistato il giurista e criminologo professor Vincenzo Musacchio

Ogni tre giorni, nel nostro Paese, si commette un femminicidio. Una donna che viene privata della sua vita per mano di un suo partner o un suo ex, in alcuni casi lasciando anche figli orfani. E questa è purtroppo solo una delle forme che assume la violenza di genere. “La tutela delle donne è una priorità assoluta del governo, che intende affrontare l’odioso problema della violenza di genere in tutti i suoi aspetti, dalla prevenzione al sostegno alle vittime”, ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi. Dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese è arrivata la definizione di femminicidio come “problema sociale”. “Quello che abbiamo visto in questi mesi – ha proseguito la titolare del Viminale –  sono uomini, compagni, mariti che tante volte si sono rivalsi anche sui bambini, sui figli. Perché è un modo per dire che le donne sono di loro proprietà. Ecco perché l’urgenza di procedere con norme nuove, da portare avanti anche in sinergia con le altre amministrazioni interessate”.

Ed è di queste ore la valutazione di un nuovo pacchetto di misure per il contrasto alla violenza sulle donne e la tutela delle stesse, mentre risale a pochi giorni fa la presentazione del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, ispirato a principi quali il diritto di vivere libere dalla violenza, l’inclusione, la parità di genere, per la definizione e l’attuazione di politiche di prevenzione del fenomeno e di protezione delle vittime di violenza, nonché per quanto concerne la promozione dell’autonomia lavorativa, economica e abitativa di queste ultime, così come gli interventi sugli autori di violenza. Nel 2020 è stato introdotto il cosiddetto Reddito di libertà, misura per cui sono stanziati tre milioni di euro per il 2021, riconosciuto a donne con o senza figli minori seguite dai Centri antiviolenza per sostenerne l’autonomia. Intervento che si sostanzia in un importo mensile massimo pro capite di 400 euro per 12 mensilità, e recentemente è stata pubblicata sul sito dell’Inps la circolare relativa alla sua erogazione.

La normativa nazionale

Dal 1996, quando nel nostro Paese con la legge n.66 “Norme contro la violenza sessuale” la violenza sessuale è stata riconosciuta come crimine contro la persona, la normativa nazionale sulla violenza contro le donne si è arricchita con la legge contro gli atti persecutori del 2009, nel 2013 con la ratifica e l’esecuzione 2013 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul nel 2011, e con la cosiddetta legge sul femminicidio, fino alla 69/2019 anche detta Codice Rosso in cui sono previste un’accelerazione per l’avvio del procedimento penale per alcuni reati, come maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale, e l’inserimento di quattro nuovi reati, tra cui il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (cosiddetto revenge porn).

I numeri del fenomeno

La violenza di genere assume varie forme, quelle elencate sul sito dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) sono le seguenti: sessuale; fisica; psicologicaeconomicastalking. Oltre alle definizioni, per una miglior comprensione dell’entità del fenomeno in Italia possono aiutare alcuni numeri. Sono 89 le donne che ogni giorno nel nostro Paese subiscono reati di genere. Negli undici mesi del 2021, tra l’1 gennaio 2021 e il 21 novembre, gli omicidi che hanno visto vittima una donna sono stati 109, il 40% del totale, con un incremento dell’8% rispetto allo stesso periodo del2020 ( ), riavvicinandosi alle 111 donne vittime di omicidio volontario nel 2019. Il già difficile momento dovuto alla crisi sanitaria, economica e sociale generata dalla pandemia di Coronavirus, tra restrizioni e la netta diminuzione degli occupati, e il periodo di lockdown hanno con molte probabilità avuto effetto anche su questo fenomeno. Nei mesi di confinamento più stringente del 2020, le chiamate al numero di pubblica utilità antiviolenza e stalking 1522, istituito dal Dipartimento per le pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio, hanno registrato un +79,5% sul 2019, con picchi in aprile (+176,9% sullo stesso mese dell’anno precedente) e maggio (+182,2%), mentre una recente rilevazione dell’Istat sulle chiamate al 1522 ha registrato un calo nei primi nove mesi del 2021, con 12.305 chiamate rispetto alle 15.708 nel 2020.

Foto Pixabay

I centri antiviolenza

Sul nostro territorio è diffusa una rete di strutture in grado di fornire servizi e forme di accoglienza e supporto a quelle donne che, subendo un qualche tipo di violenza, cercano qualcuno a chi rivolgersi, oltre che poter attivare percorsi di uscita dalla situazione in cui si trovano intrappolate. Oltre 15mila E nel 2020 sono 20.015 le donne accolte dai centri antiviolenza, con un decremento sul 2019, probabilmente per motivi connessi alla pandemia, secondo la rilevazione dei dati dell’anno di riferimento dell’associazione Donne in rete contro la violenza (D.i. Re), composta da 84 organizzazioni con oltre 100 cav e più di 50 case rifugio, indagine a cui hanno partecipato 106 centri. Di queste, oltre 13mila erano “nuove”. Nell’indagine sono state rilevate forme di violenza psicologica nel 77,3% dei casi, fisica nel 60%, economica nel 33,4%, infine violenza sessuale (15,3%) e stalking (14,9%). In oltre sei casi su 10 l’autore dei maltrattamenti è il partner, mentre è un ex nel 22,1%.

L’intervista

Su questo tema, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Interris.it ha intervistato il professor Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta.

Professore, ci può illustrare quali forme assume la violenza contro le donne?

“Dietro a simili condotte delittuose ci sono sempre forti disturbi di personalità. Da criminologo ho spesso riscontrato autori di tali delitti affetti da psicopatologie rilevanti. Un altro aspetto da non trascurare nel profilo dell’autore del reato è la rigidità nelle relazioni interpersonali con la conseguente individuazione di un nemico reale o inventato. Il soggetto agente spesso agisce per vendetta, perché pensa di aver subito un torto (una delusione amorosa o un licenziamento), per il desiderio di avere una relazione, per erotomania, odio o per l’impulso di controllare la vittima o di indurla a modificare il proprio comportamento”.

Quali sono i campanelli d’allarme?

“Il primo campanello d’allarme è la costruzione di un rapporto interpersonale basato sulla possessività dell’altro. Telefonate di controllo o il concentrarsi esclusivamente su di lei o lui. Gelosia ossessiva. Atteggiamenti negativi nei confronti dell’altro sesso. Mutamenti improvvisi dell’umore. Irritazione per futili motivi con uso di violenza fisica o psicologica. Sono tutti segnali che devono preoccupare e indurre la potenziale vittima ad allontanarsi da tale soggetto e nel caso ne ricorrano i presupposti denunciare immediatamente”.

Quali segni lascia, sia fisici sia psicologici?

“Le conseguenze di una violenza sono davvero molto gravi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Associazione Italiana di Psicologia hanno elaborato un elenco di possibili danni alla persona. Tali conseguenze incidono sulla salute riproduttiva, possono determinare malattie a trasmissione sessuale. Compromettono in maniera grave la salute fisica e quella mentale. Possono determinare anche comportamenti di matrice suicidaria. Non di rado procurano ostracismo sociale. Non c’è alcun dubbio che la violenza domestica e sessuale influiscano in modo negativo sulla salute e sul benessere dei soggetti subenti. Incidono e logorano da un punto di vista fisico, psicologico e sociale”.

Quali sono gli effetti della violenza assistita (quando un bambino assiste a episodi di violenza nei confronti di figure affettive o di riferimento) sui minori?

“La violenza assistita consiste nel vivere da parte del minore forme di maltrattamento, compiute attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di suo riferimento o su altre figure affettivamente significative, sia adulti, sia minori. Gli effetti possono essere devastanti e manifestarsi sull’aspetto fisico, cognitivo, comportamentale e soprattutto sulle capacità di socializzazione dei bambini e degli adolescenti. Sono danni che un minore può portarsi dietro per il resto dei suoi giorni”.

Quale impatto hanno avuto le restrizioni legate alla pandemia su questo fenomeno e sulla possibilità delle vittime di violenza di chiedere aiuto?

“Dall’inizio della pandemia da Covid-19, soprattutto con il lockdown dei primi mesi del 2020, l’Istat ha certificato un aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche a causa proprio del maggior rischio di aggressività dovuto al confinamento forzato e alle difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante di denunciare e rivolgersi ai servizi sociali. Il lockdown tuttavia ha aumentato soprattutto le difficoltà a sottrarsi alla violenza. Prima della pandemia, è bene precisarlo, i dati non erano per nulla confortanti”.

In quali contesti avviene questo drammatico fenomeno?

“Ci sono alcuni fattori di rischio da considerare. A generare la violenza spesso contribuisce il basso livello d’istruzione, tuttavia, simili forme devianti sono presenti anche tra le persone acculturate; l’avere subito violenza da bambini; l’essere stati presenti a scene di violenza familiare; l’abuso di alcool e droghe; la violenza come un fattore culturale e religioso; la disparità di genere. Il come mai si spiega essenzialmente con questi fattori che, di fatto, aumentano le probabilità che un soggetto possa subire violenza, sessuale e non”.

Si può tracciare un profilo dei responsabili di questi atti di violenza?

“Come ‘criminal profiler’ ricostruendo la personalità dell’autore di reato e grazie anche all’analisi delle informazioni ricavate dalla scena del crimine, direi che le forme più gravi di violenza sono commesse da partner, parenti o amici. Le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera di partner o ex partner. Gli sconosciuti invece sono spesso autori di molestie sessuali. Tracciare un profilo statico tuttavia non è per niente facile proprio per il dinamismo criminale di questa tipologia di delitti”.

Ci sono dei fattori di rischio correlati a questo fenomeno, come ad esempio il consumo di alcol o sostanze stupefacenti?

 “Alcool e droghe sono sicuramente uno dei fattori caratteristici e scatenanti. È ormai assodato che il consumo di alcol o droghe aumenti il rischio di compiere atti di violenza. Questa duplice problematica alcol-droga si presenta soprattutto nella sfera privata. Circa la metà delle donne vittime di violenza riferiscono di un consumo problematico di alcol o droghe all’interno della coppia. Nella maggioranza dei casi è l’uomo a bere o drogarsi, più raramente la donna”.

I percorsi di rieducazione degli autori di reato stanno dando risultati?

“L’attivazione di percorsi di rieducazione degli autori di violenza contro le donne è una strada da percorrere con maggior convinzione e più ampie risorse economiche. Occorrono inoltre specifiche risorse per il sostegno di programmi di prevenzione, recupero e trattamento per i soggetti maltrattanti al fine di prevenire la recidiva e per favorire l’adozione di comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali. Il Governo dovrebbe puntare anche su un’adeguata formazione che consenta ai magistrati e alla polizia giudiziaria di captare nell’immediato quali siano i concreti rischi caso per caso. Le Procure della Repubblica dovrebbero essere dotate di linee guida precise e le forze dell’ordine fornite di un’adeguata formazione. L’obbligo di formazione per le forze dell’ordine (polizia di Stato, carabinieri e polizia penitenziaria), dovrebbe avvenire attraverso la frequenza di corsi specifici, in modo tale da essere ancor più preparati nel caso in cui abbiano a che fare con tale tipologia di reati”.

I numeri delle denunce e degli episodi di violenza di genere cui disponiamo ci mostrano la vera realtà del fenomeno o l’entità del sommerso è ancora prevalente?

“Ho sempre ritenuto che non ci si debba solo soffermare sull’arida statistica delle violenze di genere. Stiamo diventando una società che col passare del tempo invece di migliorare sta peggiorando soprattutto sul versante dei diritti civili di uguaglianza. Non va visto solo il numero delle denunce e delle vittime, che è comunque preoccupante, ma occorre soffermarsi a studiare ciò che ci dicono le storie di ricatti e minacce nel mondo del lavoro, le sottomissioni a logiche padronali, le concessioni sessuali mortificanti cui sono sottoposte le donne in nome di un soggiogamento che le vede dipendere da poteri esclusivamente maschili. È auspicabile un forte impegno da parte di noi tutti, non solo il 25 novembre ma tutti gli altri giorni dell’anno, contro l’indifferenza con cui si considera “normale” l’aggressione sessista. Il web è un altro settore da tenere sotto stretto controllo poiché anche lì si perpetrano atti di violenza collettiva di cui le donne e non solo loro, sono spesso vittime predestinate, con la loro libertà personale, intellettuale e di opinione. Bisogna ripartire dalle famiglie, dalla scuola e dalla società civile. Anche i consultori per l’aiuto alle vittime di tali reati possono offrire un buon supporto ma vanno rafforzati con personale adeguatamente formato. Purtroppo sempre più femminicidi sono annunciati dalle condotte di stalking e poi realizzati con troppa facilità nell’inerzia e nel disinteresse generale. Uno dei problemi da affrontare è il periodo che decorre dalla denuncia a quello in cui effettivamente comincia il processo penale. Passa troppo tempo e purtroppo durante tutto questo periodo, l’agente può continuare a perpetrare le sue condotte criminose con estrema facilità. L’utilizzo del doppio braccialetto GPS alla vittima e al carnefice potrebbe rappresentare uno degli strumenti che ritengo molto efficace per prevenire questa tipologia di delitti. Da fare tuttavia c’è ancora molto”.