Via alla Fase 2, Tagliavanti (Cciaa): “Il 40% delle imprese resta chiuso, servono indennizzi”

Interris.it analizza la ripartenza con il presidente della Camera di Commercio di Roma: "Sostegni? Paghiamo un sistema burocratico arretrato. Questa è una prova: serve coesione o non si riparte"

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Una delle date più attese. Il 4 maggio arriva inesorabile sul calendario del nostro Paese, portando con sé l’inizio della nuova fase, quella non del “dopo” ma del “con” coronavirus. Una sfida estrema per il nostro Paese, bloccato dalla pandemia e costretto a una stagnazione della propria economia che, direttamente o di riflesso, risentirà dei due mesi di stasi. Il tema, giunti alla Fase 2, è capire fino a che punto l’Italia sia davvero pronta a tentare il primo step fuori dal pantano, in un momento storico in cui l’ultimo Dpcm ha tentato di mettere in fila spunti e criticità, sollevando però più dubbi che fornendo certezze. La sfida capitale sarà quella delle imprese, strette fra la necessità di riprendere le fila del discorso e far fronte alla possibilità che i consumatori esercitino una legittima prudenza nel fare altrettanto. Interris.it ne ha parlato con Lorenzo Tagliavanti, presidente della Camera di Commercio di Roma e di Unioncamere Lazio: “Siamo sul crinale. Serve fiducia, altrimenti l’economia non riparte”.

Presidente Tagliavanti, l’Italia si trova di fronte a una sfida importante e, soprattutto, ancora a enormi dubbi circa la reale possibilità di ripresa, specie per quelle imprese chiuse ormai da due mesi. Che 4 maggio sarà per il comparto imprenditoriale del nostro Paese?
“Siamo di fronte forse alla prova più difficile, perché mentre la pandemia sanitaria ha avuto la fase più complessa nei reparti specializzati, per quanto riguarda la pandemia economica quella più delicata è proprio la ripartenza. In questo momento abbiamo tre tipi di aziende: chi ha lavorato anche durante la pandemia, garantendo i servizi essenziali e sperimentando forme di sicurezza per i lavoratori, ad esempio i supermercati, una struttura molto delicata. Questo ci ha permesso il modo di sperimentare il modo in cui si può convivere con il virus. E questo ha permesso al 50% delle imprese e al 60% dei lavoratori, di ricominciare a ritornare nei posti di lavoro con sicurezza. La cosa che ha più preoccupato fin qui, dai sindacati alle Regioni fino alle associazioni di impresa. Da questo punto di vista si sta facendo un grande sforzo anche se noi produciamo una grande ingiustizia di tipo economico”.

Ovvero?
“Il 40% delle imprese che ancora non aprono. E quella che non apre sente di avere una doppia ingiustizia: di essere colpita dal Covid e di non poter ripartire. L’imprenditore, per sua natura, deve mantenere viva la propria l’attività. Ci sono molte categorie, come gli acconciatori, i ristoratori o i balneari, che in questo momento protestano, dicendo che questo mese potrebbe metterli completamente fuori gioco. Secondo me lo Stato dovrebbe pensare soprattutto a queste imprese, che sono chiuse per motivi sanitari e per garantire la salute (generale e di queste aziende), intervenendo con degli indennizzi. Perché altrimenti io credo che la percezione di ingiustizia e risentimento da parte di queste imprese sarà molto forte. Un sentimento di cui non abbiamo nessun bisogno”.

A una fase di ripartenza intrisa di criticità e al netto di una possibile ondata di ritorno del virus, ritiene che l’inizio della Fase 2 pensato dal governo dovesse prevedere qualche sforzo in più?
“Teniamo conto che abbiamo una variabile che nessuno controlla, ovvero un’eventuale ripresa del virus. Dobbiamo andare avanti per azioni successive, fare un passo e vedere cosa accade e per vedere se dà elementi positivi per farne un altro. Apertura ‘in progress’ è la mossa giusta, sarebbe stato impossibile il ‘pronti via’. Dev’essere una ripresa a lento rilascio, sapendo che alcuni avranno maggiori danni, e che questi ultimi la collettività dovrà indennizzarli. Se facciamo questo, anche le proteste di chi dovrà restare chiuso un mese in più si attenueranno, perché vedrebbe un riconoscimento di questo sacrificio. In attesa di questo sono preoccupato di una ripresa troppo nervosa, ci sono cose che purtroppo non stanno funzionando”.

Ad esempio?
“Il sistema bancario non ha ancora dimostrato di essere all’altezza della crisi. Eppure lo Stato, prima con la garanzia del 90% del Fondo centrale di garanzia, poi con i 25 mila euro garantiti, gli aveva affidato uno degli strumenti di maggior conforto alle imprese, soprattutto quelle piccole. Se guardiamo i dati delle proteste dobbiamo dire che  questo canale non sta funzionando, se non in minima parte. La ripresa deve avvenire con una coesione di tutto il sistema Paese. Riaprire litigando è il modo peggiore di farlo. E’ come se nei reparti più delicati, dottori e infermieri iniziassero a discutere…”

Arriviamo da un periodo di sostanziale stasi dell’attività produttiva, il che ha gioco forza limitato le disponibilità dei cittadini. Teme che la prudenza nella spesa che seguirà la frenata del lavoro possa influire ulteriormente sui consumi e allungare il periodo di crisi?
“Siamo su un crinale. In teoria possiamo diventare una molla per una grande ripresa. Se si creano, fra imprenditori, consumatori e famiglie le condizioni giuste allora ripartiremo con grande determinazione. E quindi la gente ricomincerà a consumare, gli imprenditori investiranno, le aziende non licenzieranno, avremo tanti effetti positivi. Ma questo sarà possibile solo in caso viga un clima di fiducia. Nel caso di un rompete le righe e un tutti contro tutti, vedrei un elemento molto negativo. E’ importante capire cosa accadrà già da oggi: questa crisi ci ha dimostrato come da una settimana all’altra può cambiare il clima del Paese. E’ molto importante vedere come gli italiani interpreteranno la riapertura, in una fase in cui alcune aziende riapriranno, le città inizieranno a rianimarsi e i trasporti a funzionare, anche se non al livello di prima. E’ un bel banco di prova…”

I provvedimenti adottati fin qui erano volti a garantire la linea di galleggiamento, in attesa di capire l’evoluzione della pandemia. Al momento, però, restano alcuni dubbi sostanziali da parte della classe media sull’efficacia delle misure messe in campo. E’ stato fatto il possibile o era lecito, a suo giudizio, attendersi qualcosa in più?
“Quando i politici dicevano: noi vogliamo mettere i soldi in tasca agli italiani, fossero sinceri e che abbiano fatto di tutto per farlo. Credo che le risorse messe in campo siano grandi e credo che l’Italia si stia battendo in Europa per poter mettere altre risorse a disposizione delle imprese e delle famiglie. Dopodiché i soldi non arrivano, e questo fa irritare sia il lavoratore in cassa integrazione che la famiglia in difficoltà, e anche l’imprenditore. Qui paghiamo l’arretratezza di una struttura che già non funzionava quando le cose andavano normalmente: la burocrazia italiana. Ci siamo piantati davanti ai sistemi digitali arretrati, pensiamo a casi come l’Inps, o alle banche che incontrano difficoltà nell’erogazione di finanziamenti garantiti dallo Stato. Quello che non ha funzionato è proprio la burocrazia dello Stato che, in questo momento, sta facendo la differenza. Questo è un problema grave: abbiamo visto altri Paesi che hanno messo le nostre stesse risorse e i soldi, alla fine, sono arrivati. Il nostro sistema statale, in questo senso, è un vero ostacolo”.

A proposito di Europa, al netto dei sostegni messi in campo, lo strumento del Mes continua a rappresentare una variabile importante. Potrebbe essere affiancata da ulteriori strumenti?
“Devo dire che l’Italia, per la prima volta, ha fatto una grande battaglia per cambiare gli assetti tradizionale dell’Europa, chiamando a sé altri Paesi. E questo ha costretto anche i cosiddetti rigoristi ad aprire una discussione e arretrare. E’ interessante anche il dibattito interno che si è creato all’interno di questi Paesi. C’è una grande autocritica sulla fase del 2008, in cui è stata massacrata la Grecia senza creare sviluppo. Io credo molto in questo dibattito, che è vero e non è dell’Italia contro i rigoristi, essendosi sviluppato anche all’interno degli altri Paesi. Il nome degli strumenti è secondario: il Mes di adesso non è quello dei greci ma, probabilmente, nascerà un nuovo strumento, che magari non sarà il covidbond come lo vogliamo noi ma qualcosa di intermedio. L’Europa non potrà sottrarsi a un intervento importante a sostegno di tutte le economie. Devo dire che l’Italia non solo si è battuta ma ha creato anche uno schieramento”.

Come Camera di Commercio e Unioncamere, quali strumenti avete utilizzato per campionare le varie criticità dei mesi di lockdown e sviluppare strategie di sostegno alle imprese?
“La prima cosa che abbiamo fatto, come Camera di Commercio di Roma, è stata innanzitutto ascoltare le imprese. Ogni settimana facciamo un sondaggio su un campione rappresentativo della nostra provincia, una specie di termometro della pandemia economica. Ed è molto importante perché, in base alle risposte degli imprenditori, i decisori pubblici possono vedere i maggiori problemi e anche le opportunità che in questa fase così difficile possono venire dalle imprese. Dopodiché siamo intervenuti decisamente sul tema della liquidità. Sia come Unioncamere Lazio che Nazionale, lo abbiamo fatto in vari modi, a sostegno dei consorzi di garanzia fidi, per pagare costi dell’accesso al credito e abbattere costo dell’interesse da parte delle imprese. In seguito abbiamo lavorato anche su quelle poche opportunità che possono venire da una situazione negativa al 99,9%. Per quanto riguarda Roma, abbiamo fatto un provvedimento per sostenere un tipo di vacanza ‘italiana’, rivolta alle famiglie romane che probabilmente avranno poche ferie e anche poca disponibilità, per svolgere le proprie vacanze  nei dintorni di Roma, così da sostenere anche le aree interne del nostro Paese e, nello specifico, della nostra regione. Come Camera di Commercio di Roma, inoltre, abbiamo donato un milione di euro allo Spallanzani, come riconoscimento del fatto che la salute è la condizione essenziale per lo sviluppo economico. E avere a Roma un presidio scientifico così importante è un vanto che abbiamo voluto sostenere anche dal mondo delle imprese”.

Ha citato il settore turistico. Non è un mistero che rappresenti parte sostanziale dell’indotto del nostro Paese, eppure molte imprese a tema rischiano di vivere una stagione difficile. La ripartenza potrebbe essere troppo complessa per alcune di loro?
“Nelle indagini da noi svolte, solo il 6% delle imprese sono del nostro campione appartiene al settore turistico. Quando abbiamo chiesto ai nostri imprenditori quale fosse la prima cosa da fare per la ripartenza, loro hanno scritto, al 32%, ‘sostegno alle attività turistiche’. Anche altri settori avevano quindi individuato per l’Italia, per Roma, il fatto che il turismo ha un indotto che va ben oltre le attività del settore. C’è una grande attenzione affinché questa grande forza che è il turismo italiano, affinché la capacità attrattiva non vada persa. Una lunga inattività può danneggiare competenze, qualità e impoverire la nostra offerta. Quindi è importante il sostegno mostrato anche da parte delle altre categorie imprenditoriali”.