Varagona: “A 30 anni dalla tragedia del Moby Prince, ancora troppi lati oscuri. Ecco quali”

L’intervista al giornalista e scrittore, Vincenzo Varagona, a pochi giorni dalla pubblicazione de "I Segreti del Moby Prince", avvenuta lo scorso 10 aprile, data simbolo - i 30 anni dalla tragedia - scelta sia per fare luce sui tanti quesiti insoluti, sia per non dimenticare una vicenda umana prima che giudiziaria

A 30 anni dalla più grande tragedia civile del mare in Italia, quella del traghetto Moby Prince, il giornalista Rai Vincenzo Varagona ha pubblicato per Vydia editore il libro “I Segreti del Moby Prince”.

Con l’autorevole prefazione di Pietro Grasso, il volume ricostruisce i fatti di quel drammatico 10 aprile 1991 in cui il traghetto, partito da Livorno con destinazione Olbia, appena uscito dallo scalo toscano, speronò alle 22.35 la petroliera “Agip Abruzzo”. Il greggio prese fuoco avvolgendo il traghetto tra le fiamme. Delle 141 persone a bordo, se ne salvò solo una.

La tragedia presenta ancora molti lati oscuri, sia sulle reali responsabilità dell’accaduto, sia sulla possibilità o meno di riuscire a salvare gli occupanti del traghetto. Le tesi giudiziarie, emerse in due processi, vengono dopo quasi trent’anni smontate, pezzo per pezzo, dalla Commissione d’inchiesta del Senato, guidata da Silvio Lai.

Lo scheletro del traghetto Moby Prince dopo la tragedia

La nuova commissione parlamentare di inchiesta

Varagona ripercorre questa lunga storia, dagli esiti processuali alle conclusioni della Commissione, che offrono elementi per l’apertura di un terzo procedimento. Lo scorso 7 aprile, la Commissione Trasporti della Camera dei deputati ha approvato il testo base “Istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave Moby Prince” (qui il testo integrale).

“E’ stata una scelta importante che va oltre ogni steccato ideologico, una scelta di grande sensibilità, spinta dalla voglia di verità e giustizia – ha commentato Luchino Chessa, presidente associazione “10 Aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus” -. Sempre di più la politica e le istituzioni sono al nostro fianco e ci sentiamo meno soli. Siamo fiduciosi che la legge di istituzione della commissione arrivi quanto prima in aula, venga approvata all’unanimità e possa lavorare da subito sugli aspetti ancora oscuri della strage”.

Vincenzo Varagona: dalla guerra nei Balcani a Papa Francesco

Ne parliamo in un’approfondita intervista con il noto giornalista e scrittore, nonché vicecaporedattore del Tgr Rai, Vincenzo Varagona, a pochi giorni dalla pubblicazione de “I Segreti del Moby Prince”, avvenuta non a caso lo scorso 10 aprile, data simbolo – i 30 anni dalla tragedia – scelta sia per fare luce sui tanti quesiti insoluti, sia per non dimenticare una vicenda umana prima che giudiziaria.

Arricchiscono il libro i contributi di Gregorio De Falco, Beppe Giulietti, Mariangela Grainer, Loris Rispoli, Nicola Rosetti, Francesco Sanna, Gabriele Bardazza, i fratelli Angelo e Luchino Chessa, Stefano Vidori, Flavia Corda, Paolo Mastino, Franco De Felice, Stefania Serino e di alcuni familiari delle vittime. Inoltre, per la prima volta, il libro presenta i profili di alcune delle vittime, attraverso le testimonianze dei familiari, dando voce al loro dolore e alle battaglie delle Associazioni in cui si sono riuniti per arrivare alla verità e tenere viva la memoria della tragedia.

Vincenzo Varagona

Non è la prima volta che Varagona si occupa di tematiche sociali. Nato a Lecco nel 1960 e attualmente residente ad Ancona, ha collaborato negli anni anche con testate quali Avvenire e Famiglia Cristiana. Dal 1987 lavora nella redazione del Tgr Rai, di cui è attualmente vicecaporedattore. Ha realizzato reportage nei Balcani in guerra, in Medio Oriente e in Africa.

Ha alle spalle una lunga serie di pubblicazioni. Ha infatti pubblicato, con Ecra: “Comunicare Dio. Dalla creazione alla Chiesa di papa Francesco” (2015), “Le potenzialità delle persone. Le nuove frontiere del counseling” (2017) e “L’anima del bene comune. Viaggio nel mondo di Alfredo Trifogli a cento anni dalla nascita” (2020). Con Paoline: “Pollicino nel bosco dei media. Come educare i bambini a un uso corretto dei mezzi di comunicazione” (2007), “Abba Marcello. Viaggio nel cuore dell’Africa missionaria” (2011), “Il medico della Sars. Carlo Urbani raccontato da quanti lo hanno conosciuto” (2013, edizione in Taiwan, 2015), “Morire a Nassiriya. Marco Beci un italiano a servizio del mondo” (2014), “Il muratore di Dio. Padre Pietro Lavini e il monastero di San Leonardo” (2016),“Frate Mago, annunciare il Vangelo con gioia” (2018). Con Vydia editore “Grazia e Mistero” (2019) e, lo scorso 10 aprile, “I Segreti del Moby Prince“.

L’intervista a Vincenzo Varagona

Prima di affrontare l’argomento Moby Prince, alcune domande  sulla sua decennale carriera. Come e quando è nata la passione per il giornalismo?
“Io non pensavo di fare il giornalista. Facevo il catechista, crescevo fra i Salesiani e l’Azione Cattolica, non ci pensavo proprio. Un giorno, alla fine di un corso di formazione per catechisti, mi hanno chiesto di scrivere le mie impressioni su questa esperienza, per il periodico diocesano di Ancona, Presenza. Mi sono accorto che per me era più semplice ricostruirne la cronaca. Avevo 16 anni [nel 1976, ndr]. L’articolo fu notato dall’Arcivescovo di allora, Carlo Maccari, che mi chiamò nella redazione del giornale. Con me Marco Frittella, oggi caporedattore Tg1 e conduttore di 1Mattina, e Antonio Fallica, oggi don Luca, Priore della Comunità benedettina Santissima Trinità di Dumenza, sul lago Maggiore. A quell’esperienza ne sono seguite tante altre: la collaborazione con Avvenire, che mi ha dato modo di iscrivermi all’Ordine, nel 1982: poi con il Corriere Adriatico, dal quale sono stato assunto nel 1984, come responsabile della redazione di Fermo e infine, dal 1987, la Rai”.

Ha realizzato reportage dai Balcani in guerra, dal Medio Oriente e dall’Africa. Qual è stata l’esperienza più forte di quegli anni e perché?
“Ognuna ha avuto per me un grande significato. Quella nei Balcani è legata a un’altra bellissima esperienza di affido di una ragazzina croata, nella prima metà degli anni ‘90. Con il Tg1 ho accompagnato una missione civile, la prima in tempo di guerra, per la consegna di aiuti a famiglie in difficoltà. Poi questa ragazzina è diventata donna, si è trasferita in Italia, dove si è sposata e ha due splendidi bambini. L’Africa non si dimentica. Nel libro “Abba Marcello. Viaggio nell’Africa missionaria“, racconto la storia di questo missionario pesarese, ma anche le tante storie sconosciute di volontariato marchigiano nel continente nero. Così il Medio Oriente, che accanto al mistero e alla storia delle origini della nostra fede propone le tante iniziative di cooperazione internazionale, spesso poco conosciute”.

In questi anni, i social hanno preso sempre più piede, con conseguenze a volte drammatiche. Quali sono a suo dire i pericoli e le potenzialità per i giovani insite nei nuovi mezzi di comunicazione?
“Rispondo con questa immagine: i genitori sani che educano alla vita, promuovono la bellezza di questo dono e naturalmente, nella bellezza, segnalano i rischi cui si va necessariamente incontro. Nel primo mio libro, “Pollicino nel bosco dei media. Come educare i bambini a un uso corretto dei mezzi di comunicazione” cerco di dire proprio questo: i social, in generale il mondo digitale, nascono per rafforzare le nostre capacità di comunicare, che sono il cuore della nostra esistenza. Ne abbiamo fatto solo un mondo triste, pericoloso, pieno insidie. Questo è vero, ma è solo una parte della verità. Ecco, un nostro compito, anche educativo, è permettere ai figli di vivere un’esistenza equilibrata, in cui doni e ricchezze siano rappresentati, accanto, inevitabilmente, ai rischi. Non è una sfida da poco”.

Nel 2015 ha pubblicato il libro Comunicare Dio. Dalla creazione alla Chiesa di papa Francesco. Cosa pensa di questo Pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo”?
“Lo considero un profeta. Ho una ammirazione grande per lui. Non è un caso: siamo nati nello stesso giorno, il 17 dicembre. A parte le battute, non mi stupisce che sia apprezzato quasi più fuori che dentro la Chiesa, ma sta guidando la Chiesa stessa lungo l’unica strada possibile per evitare l’autoestinzione. Cristo è un rivoluzionario, seguirlo richiede un grande coraggio. È lo stesso coraggio che sta dimostrando Francesco. Molti non lo comprendono perché ha rivoluzionato anche la grammatica ecclesiale, ma la sua onda d’urto la verificheremo, positivamente, negli anni”.

Ha un santo o una figura religiosa alla quale è particolarmente devoto? E perché?
“Da Salesiano, non può non essere che San Giovanni Bosco, un’altra figura straordinaria. Pensare quello che ha fatto e pensato nel suo tempo mi fa venire i brividi, per la modernità che ha saputo incarnare. Da giornalista, poi, San Francesco di Sales… sarà un caso che don Bosco, fondando la sua Congregazione, abbia scomodato proprio lui, il vescovo fiammingo che, sapendo che la gente non ne poteva più delle omelie in chiesa, evangelizzava con i ‘pizzini’ sulle porte? Geniale. Erano i tweet di oggi”.

Ha dedicato un libro a Carlo Urbani, il medico della Sars. Qual è l’eredità che Carlo ha lasciato al mondo sia come medico sia, in primis, come uomo?
“Carlo non voleva essere un eroe. Ha voluto interpretare la sua missione con coscienza, professionalità, amore. C’è riuscito. Ha regalato al mondo un protocollo antipandemie elaborato sulla sua pelle e lasciato all’Oms che lo sta utilizzando nelle pandemie succedute alla Sars, l’ebola e adesso il Covid 19. Purtroppo è stato ascoltato molto poco. Anche allora dovette imporsi su capi di stato e di governo per essere ascoltato. Le lobbies economico-politiche non guardano in faccia nessuno. E la gente muore”.

Vincenzo Varagona e la copertina del libro dedicato a Carlo Urbani: “Il medico della Sars” (Ed. Paoline)

Passiamo alla tragedia del traghetto di quel maledetto 10 aprile 1991. Perché ha sentito il bisogno di fare il punto ed indagare ulteriormente sulla drammatica vicenda del Moby Prince?
“Io ho la tendenza a occuparmi di fatti e problemi quando i riflettori si spengono. La confusione non mi entusiasma. Quello è il momento in cui la gente ha veramente bisogno di aiuto. Così ho voluto conoscere le famiglie delle vittime marchigiane. Hanno caratteri diversi, ma un unico desiderio, verità e giustizia. Ho notato che la gente sapeva poco o niente di questa storia, si era fermata ai primi acuti mediatici in cui si parlava della nebbia e della partita Juventus-Barcellona. La verità certificata dalla commissione d’inchiesta del senato è invece ben altra e chiama in causa tanti altri elementi. Soprattutto offre lo spunto per porsi una domanda atroce: quelle 140 vittime potevano essere salvate? La risposta, a distanza di anni, sembra essere sì, buona parte delle vittime poteva essere salvata”.

Delle tante testimonianze dei familiari delle vittime che lei riporta nel libro, ce n’è una che l’ha colpita maggiormente e perché?
“Il libro è legato agli occhi di una ragazza, Francesca, nata dopo la tragedia, nipote di una delle vittime, Giuseppina, la sposa morta nel traghetto mentre con il marito Bruno era in viaggio di nozze verso la Sardegna. Avevano paura dell’aereo e hanno scelto il traghetto…Fra i familiari c’è chi ha avuto il carattere di condurre per 30 anni durissime battaglie, come Loris Rispoli, presidente dell’associazione #iosono141. O come Nicola Rosetti, vicepresidente dell’associazione, figlio del macchinista del Moby, Sergio. C’è chi ha vissuto il dramma in un silenzio dignitoso, che è importante quanto l’interpretare una dura e necessaria battaglia. Studiando le carte si imparano tante cose: c’è chi si è salvato grazie a un furto, ha visto sparire la sua auto all’ultimo autogrill prima di Livorno. Un furto che gli ha salvato la vita. O chi ha perso l’aereo, ha preso l’ultimo traghetto, e non ce l’ha fatta. E ancora, una ragazza: la mamma l’ha pregata di vivere per un anno con la zia, a Reggio Emilia, che nella strage ha perso marito e figlia”.

Quale aspetto di questa terribile vicenda l’ha più toccata: quello del dramma umano o quello della giustizia non compiuta?
“Anche la giustizia non compiuta è un dramma umano. Tutto sconvolge di questa storia. Queste centinaia di persone hanno perso improvvisamente i familiari. Quasi subito si rendono conto di quello che era effettivamente successo, ma dal processo emerge un’altra verità. Ho davanti agli occhi l’immagine di Loris Rispoli che, all’uscita della sentenza, urla: ‘Vergogna!’. I familiari marchigiani mi dicono che negli anni hanno scavato un solco sulla strada verso Livorno e anche verso Genova, per motivi legali. A distanza di anni quello che ho visto è stata tanta stanchezza, ma anche tanta dignità. I risultati sono arrivati: il primo messaggio del presidente della Repubblica, un segnale importante, e il primo messaggio del Governo, attraverso il ministro della giustizia. Ora si attende il risultato dei risultati: la commissione bicamerale d’inchiesta e l’apertura del processo per strage”.

Cosa possiamo e dobbiamo imparare da tragedie simili?
“Tante cose: dallo stile con cui si affrontano le prove peggiori, al coraggio, alla ‘tigna’, necessari sempre nella vita. Occorre sempre credere nelle cose, soprattutto quando le si ritengono giuste. Vede, spesso, interpellando i testimoni di questa storia, mi sono sentito dire un ‘grazie’ che sgorgava dal cuore. Come se mi chiedessero: ma chi glielo fa fare a investire tempo e fatica su una storia che si riteneva già sepolta… Ecco, ho imparato io stesso che quando si crede in una battaglia, occorre portarla avanti con convinzione. Finisco così: quando ho contattato il presidente della commissione d’inchiesta del Senato, Silvio Lai, l’ho trovato diffidente. Mi ha risposto: per me parla la relazione della commissione, non ho altro da aggiungere. Io però ho cortesemente insistito. Gli ho trasmesso il materiale che via via elaboravo. Ebbene, quando ormai il libro era quasi in rotativa, mi è arrivata la sua chiamata. ‘Mi complimento, ha detto, ha fatto un buon lavoro. Se ha uno spazietto, ancora, per me, ho qualcosa da dire anche io…'”.