Sri Lanka, la memoria di un massacro

Il 21 aprile 2019 uno degli attacchi più violenti alla cristianità in Asia. Ma dopo il perdono della Chiesa di Ceylon, si attende ancora la giustizia

“I cattolici hanno perdonato”. Nonostante i duecentocinquantatré morti e gli oltre 500 feriti, i cattolici hanno perdonato. E’ stato chiaro il cardinale Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, in Sri Lanka: “Non sono morti solo i cattolici negli attacchi di Pasqua – ha detto – ma anche buddhisti, induisti e musulmani. Avremmo potuto rispondere con egoismo, pensando come esseri umani. Ma allo stesso tempo dobbiamo vivere il messaggio di Cristo ed amare i nemici che ci hanno ucciso”. Lo Sri Lanka non ha dimenticato. La memoria, a distanza da un anno dalle stragi in serie operate dai gruppi terroristi, è ancora viva, ferita, come la Pasqua che la follia fondamentalista decise di macchiare di sangue. Portando con sé, nella sua violenta azione suicida, vite innocenti che, in quel tragico giorno, avevano deciso di partecipare alla messa nel Santuario di Sant’Antonio, a Colombo, o nella chiesa di San Sebastiano.

La stagione dell’odio

L’eco di quelle bombe arrivò fino all’Europa. Così come appena un mese prima erano arrivati i rimbombi dei proiettili che seminarono morte a Christchurch, in Nuova Zelanda, dove l’azione solitaria di un suprematista macchiò di sangue la preghiera del venerdì nelle locali moschee. Qualcuno, a posteriori, avrebbe persino ipotizzato che il massacro in Sri Lanka fosse una rappresaglia per quella tragedia, senza che arrivassero mai delle conferme. Di quella giornata resteranno le immagini, crude, violente, inequivocabile specchio di quello che gli uomini sono in grado di compiere a danno di altri uomini. Un anno di interrogativi, di riflessioni su quale ragione possa aver mai spinto a un odio così scellerato senza che, come accaduto in tanti, troppi precedenti fatti di sangue, sia stato possibile approntare una risposta. Forse per questo, a distanza di dodici mesi, il cardinal Ranjith ha scelto di lanciare un messaggio di pace, spiegando che la comunità cristiana dello Sri Lanka, seppur ancora ferita, è capace di importanti atti di riconciliazione: “È nella natura umana ferire le persone con la rabbia, ma abbiamo messo da parte quella natura umana e scelto la vita della resurrezione del Signore. E resurrezione significa completo rifiuto dell’egoismo”.

Il cuore di Ceylon

Ha vissuto la sua Pasqua lo Sri Lanka, la prima dopo quelle stragi. E’ trascorsa senza che il sangue tornasse a scorrere ma con la viva memoria della tragedia che fu. La Chiesa di Ceylon, che ha operato il perdono, ha al contempo lasciato alla legge del Paese il compito di rendere giustizia a chi ha perso la vita, mostrando il volto migliore non solo di una comunità, ma di una Nazione intera colpita al cuore. E lo Sri Lanka, come tanti altri Paesi del mondo, si trova ora impegnato in un’altra sfida, cercando di far sì che sul volto di Colombo e delle altre città non compaia una nuova ferita: “Per quegli attacchi – ha spiegato a Interris.it Antonio Talia, giornalista ed ex corrispondente da Pechino, con un passato nel Sud-Est asiatico – sono state arrestate 135 persone ma non sono state ancora processate. E’ molto probabile che si tratti di personaggi appartenenti al Thowheet Jama’ath. Siamo di fronte a una retata che, però, non sta portando a una forma di giustizia”.

Instabilità politica

Il segnale più importante, finora, lo ha lanciato proprio la Chiesa di Ceylon, attraverso le parole del suo arcivescovo: “Il cardinale ha perdonato chi aveva tentato di distruggere la cristianità in Sri Lanka. Ma c’è un sottofondo politico in tutto questo: colui che all’epoca ricopriva il ruolo di presidente ora non lo è più. Al suo posto c’è Gotabaya Rajapaksa, fratello del suo acerrimo nemico, uno di coloro che ha sempre ‘flirtato’ con questi movimenti estremisti. Un presidente che ha deciso di sciogliere le camere con sei mesi di anticipo, precipitando il Paese in una crisi politica. Elezioni indette il 25 di aprile ma che, con il coronavirus, non si possono tenere“. Una situazione che ha creato ulteriore instabilità, in un Paese che ancora non ha superato il contraccolpo delle atrocità subite troppo di recente: “In Sri Lanka hanno una commissione, una sorta di Corte costituzionale. Ed è stata chiara: o si tengono le elezioni entro la prima settimana di giugno oppure si entra in una nuova fase di crisi di governo”.

Una memoria da preservare

La memoria dei corpi dilaniati nelle chiese singalesi non svanirà mai. Così come la paura di trovarsi di nuovo di fronte a una stagione dell’odio: “Al momento non ci sono particolari segnali di allarme ma tutto il Sud-Est asiatico è problematico: gli estremisti in Thailandia continuano a colpire, così come in Indonesia”. Un timore che nemmeno il coronavirus sembra fermare, a fronte di un lockdown disposto in virtù di alcune centinaia di contagi. Il tempo continua a scorrere nella speranza che la giustizia faccia il suo corso e che la memoria continui a essere preservata. Con un implicito monito perenne affinché, quando il mondo uscirà dall’emergenza sanitaria, non si debba assistere a nuove stagioni dell’odio.