Dopo il “Caso Renoir” diciamo basta all’odio nel web

Una pagina di haters prende di mira, ormai da anni, il pittore Renoir. Ma l'oggetto del veleno in rete può essere chiunque. E l'odio a volte condiziona...

Nel famoso social Instagram è presente, dal 2015, una pagina di haters, di “odiatori” il cui obiettivo è quello di far sparire dai musei le opere del grande pittore francese Pierre-Auguste Renoir. L’invito, esplicito, è nel non andar a visitare musei dove ci siano tali opere e alcuni militanti si impegnano a posare dinanzi alle tele in atteggiamenti irriverenti. Il movimento, autoproclamatosi come “Renoir sucks at painting” (tradotto con un brutale “fa schifo nel dipingere”) non si limita alla critica verso l’artista bensì punta, d’imperio e in modo autoritario, alla rimozione culturale, fino alla damnatio memoriae. Conta quasi 15.000 followers; sul profilo si possono notare i contenuti del sodalizio, le fotografie di sberleffo dei membri dinanzi alle opere del pittore nonché alcuni striscioni dai contenuti pesanti e insensati.

L’epoca del culto dello scatto

È stato fondato da un giovane attivista dei diritti umani, lo statunitense Max Geller, non nuovo a provocazioni e proteste. Fermo sostenitore della causa palestinese, negli ultimi anni ha utilizzato questa pagina anti-Renoir per attirare l’attenzione nel mondo ora più vivo e decisivo, quello di internet, dei social in particolare. La provocazione di Geller fa presa poiché si insinua e si nutre, nell’epoca dei selfie, del culto dello scatto più strano, ardito (in alcuni casi con esiti letali), capace di attirare l’attenzione di quante più persone possibili. Complice la “viralità” presente nei social, un selfie strano può contagiare tantissimi “like” e molti di quelli che sono semplici curiosi, pian piano contribuiscono a diffondere la moda e a esserne depositari nonché emuli.

Un pittore

L’astio nei confronti del pittore francese Pierre-Auguste Renoir, vissuto tra il 1841 e il 1919, appare del tutto incomprensibile, a fronte, peraltro, di una vita condotta in maniera serena, aperta al confronto, senza vanagloria e in uno stato di grande entusiasmo (nonostante una grave malattia) nei confronti dell’esistenza e del creato. A giustificare, eventualmente, un atteggiamento critico verso di lui non vi sono elementi a cui aggrapparsi. Paradossalmente, dovendo cogliere nel mazzo un pittore qualsiasi pur di generare un movimento di seguaci, ne è stato scelto uno “normale”, dalla vita senza eccessi o prese di posizione discutibili e controverse da biasimare. Del resto, Renoir, dai contemporanei e dai posteri di poco successivi alla sua morte, incontrò favori e, al tempo stesso, critiche, alla stregua di ciò che avviene per ogni artista e non fu costretto, quindi, a subire alcun particolare movimento di protesta. In un’epoca in cui la critica al personaggio storico assume dei contorni piuttosto decisi, con sfregi o abbattimenti di statue (a esempio, Cristoforo Colombo e Indro Montanelli), il passo per una degenerazione, peraltro immotivata, rischia di essere breve.

L’influencer dell’odio

La notizia della presenza della pagina può sembrare pruriginosa, di secondo piano ma il principio di fondo, applicabile per qualsiasi persona, è pericoloso. Il fenomeno, infatti, fa capire quanto un semplice influencer, svegliandosi d’improvviso con un’idea personale e balzana (un artista può non piacere ma non è ammissibile che si debba condurre, addirittura, una campagna di odio nei suoi confronti), possa suggestionare e condizionare migliaia di persone (oltre 14.000 fan), screditando totalmente un individuo, una collettività o un pensiero. È inquietante come un capopopolo improvvisato, in una tribuna del web che concede gloria all’influencer di turno, possa dirigere parte dell’opinione pubblica e che una moda, nata senza cognizione critica del fenomeno in questione, possa attecchire con molta facilità. Questo esempio riguardante Renoir, senza senso e fondamento, deve, quindi, far riflettere.

Chi è l’hater

Gli haters sono riusciti a spostare il terreno dell’odio in diversi ambiti. In passato, seppure in assenza dei social quale vetrina per diffamatori anonimi, si assisteva al livore verbale e comunicativo delle varie forze politiche per distruggere gli avversari. Con gli haters, l’argomento di denigrazione e di polemica si inserisce in un più ampio ventaglio. L’hater ha il solo scopo di gettare veleno e non si cura dell’argomento e di quanto lo conosca, deve soltanto sfogare la propria rabbia. In tal modo, la politica diviene solo uno dei tanti settori in cui vomitare odio e internet è in grado di offrire spazi ovunque, in tempi brevi. Molte volte, la polemica feroce si riferisce ad argomenti davvero secondari e su persone insospettabili; si scaglia su individui che non hanno commesso o riferito strane prese di posizione ma pagano solo il pegno di essere famosi.

Le statistiche

In un’interessante ricerca, promossa nell’estate dello scorso anno, Famiglia Cristiana ha rilevato la quantità dei messaggi scambiati via Twitter nel periodo marzo-maggio 2019; il tutto grazie ad “algoritmi capaci di comprendere la semantica del testo e estrarre i contenuti che contengono parole considerate sensibili e geolocalizzarli. Sono stati così presi in considerazione 215.377 tweet”. I “gruppi bersagliati” sono stati, nell’ordine: i migranti (74.451 casi), le donne (55.347 tweet), gli islamici (30.387), i disabili (23.499), gli ebrei (19.952), gli omosessuali (11.741).

Un pretesto

Molti si interrogano sul motivo di cotanto odio e soprattutto il perché si rivolga contro Renoir. In realtà, una valida motivazione non esiste, trattandosi, fra l’altro, di una persona dalla vita tranquilla e rispettosa del prossimo. Singolare e ingenua una sua descrizione sintetica della corrente pittorica che abbracciò: “Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu: era nato l’impressionismo”. Renoir è un pretesto, come potrebbe esserlo chiunque, un individuo del passato o del presente, per attirare attenzione sul web e scatenare i più infimi rigurgiti di rabbia da parte di leoni della rete che fanno gruppo e si sentono ancor più forti, sebbene privi di qualsiasi fondamento nella loro presunta protesta.

La cultura dell’odio

Si tratta di un colmo dei nostri tempi, una contraddizione del mondo virtuale alla quale si può rispondere soltanto con la saggezza e la consapevolezza, boicottando, senza aderire, tutti questi maldestri tentativi di strumentalizzazione e di lavaggio del cervello. In più, tali sterili provocazioni finiscono con il far perdere la rotta e la sensibilità verso problematiche reali e di spessore che diventano, invece, sempre più marginali fino a scomparire. L’attivismo sulle varie problematiche si deve fondare sulla cultura, sul sapere, sul capire quali siano le criticità del fenomeno e le soluzioni possibili. La cultura dell’odio, covata nell’animo e indotta da improvvisati “santoni” non conduce ad alcun risultato positivo.