Prof. Resta (Fondazione Manlio Resta): “L’importanza dell’Europa per colmare i divari territoriali”

L’intervista di Interris.it al professor Vanni Resta, docente di europrogettazione in diversi atenei italiani e presidente della fondazione Manlio Resta

Il Parlamento Europeo (© Frederic Köberl su Unsplash)

L’Unione Europea, secondo i dati Eurostat, copre oltre 4 milioni di km² e conta 447,7 milioni di abitanti suddivisi in 27 paesi membri e rappresenta il 18,6% del PIL mondiale. Questa istituzione, come la conosciamo oggi, ha radici lontane ed è stata fondata da tre uomini politici cattolici che hanno vissuto in prima persona l’orrore della Seconda guerra mondiale, il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer, l’italiano Alcide De Gasperi. Essi hanno fatto compiere all’Europa i primi passi verso l’unità che, ancora oggi, attraverso diverse epoche e cambiamenti, garantisce la pace e il dialogo tra popoli e tradizioni diverse.

Foto di Christian Lue su Unsplash

La pandemia e il Pnrr

L’11 marzo del 2020 la pandemia da Covid-19 ha lambito il mondo intero, causando molteplici sofferenze e lutti. L’Europa, per ricostruire il tessuto sociale ed economico dei paesi membri fortemente colpiti dall’emergenza sanitaria, ha introdotto il piano NextGenerationEU per un totale di 2 018 miliardi di euro. L’Italia, per la gestione di questi fondi e per le riforme necessarie da compiere, ha stilato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con una dotazione complessiva di 235,12 miliardi di euro. Interris.it, in merito al valore e al ruolo dell’Unione Europea, unitamente allo stato di attuazione del Pnrr, ha intervistato il professor Vanni Resta, docente di europrogettazione presso il Master in Europrogettazione e professioni europee della Sapienza Università di Roma e presso altri atenei. Nel 2008 ha creato la Fondazione Manlio Resta di cui attualmente è il presidente.

Il professor Vanni Resta (© Vanni Resta)

L’intervista

Come si è evoluto, dalla sua fondazione ad oggi, il ruolo dell’Unione Europea?

“Parlare del ruolo dell’Unione Europea significa andare al suo inizio, ovvero dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Giova ricordare che, ancor prima del Trattato di Roma del 1957, è stato formulato il Trattato che ha costituito la cosiddetta Ceca, ovvero la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, per evitare la produzione separata di tali elementi da parte dei paesi firmatari. Questa è stata la prima forma di collaborazione per evitare il verificarsi di altri conflitti. Il ruolo dell’Europa, con il Trattato di Roma che istituisce la CEE, la Comunità Economica Europea e l’Euratom per l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare, è da subito mutato. Bisogna poi ricordare la nascita dell’assemblea parlamentare nel 1958, ovvero l’albore del Parlamento Europeo. Venendo agli anni ’80, Jacques Delors, in qualità di presidente della Commissione Europea, istituisce il ruolo dell’Unione Europea che è anche quello attuale, ovvero il riequilibrio dei divari territoriali dei paesi membri. I ‘pacchetti Delors’ istituiscono le ‘zone obiettivo’ e, da allora, lo scopo principale dell’UE, è aiutare i paesi che aderiscono nella direzione di un riequilibrio territoriale e perseguire la finalità di vivere insieme e meglio in una società più prospera e felice. Anche oggi, la politica di coesione, oltre alla politica agricola comune e, per giungere alle cose moderne, il primo atto al mondo sull’intelligenza artificiale, mostrano un cammino che, sempre di più, vuole avere un Unione Europea, nella consapevolezza delle diversità territoriali, a partire dalla barriera linguistica. La sfida è grande perché, al di là di tutto, bisogna stare insieme e vivere con le stesse regole. Sono un convinto europeista e, consapevole delle difficoltà penso che, per un paese come l’Italia, l’Unione Europea abbia fatto benissimo, anche con l’adesione all’euro perché, avere una moneta unica, per certi versi, ha rappresentato una salvezza”.

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Le istituzioni europee © Pexels da Pixabay

Qual è, secondo lei, il ruolo dell’europrogettazione nel periodo storico che stiamo vivendo?

“Il ruolo dell’europrogettazione è estremamente importante. Ormai, tutte le risorse vengono da Bruxelles e, non si vede il motivo per cui non si debba essere capaci di fruire dei fondi europei per i quali bisogna pensare a dei progetti. La base di partenza per l’erogazione di fondi da parte dell’Unione Europea è la performance. Il Pnrr, come parte del Next Generation Eu, si definisce ‘performance based’, in altre parole bisogna avere un risultato e, solo se lo si ottiene, si possono ottenere dei finanziamenti. In questo caso, l’europrogettazione, costituisce la via per arrivare al fondo europeo. Bisogna presentare un progetto competitivo oltreché collaborativo per quanto riguarda i fondi diretti, ovvero quelli gestiti direttamente da Bruxelles che devono avere un impatto in più paesi dell’Ue. Europrogettazione significa appunto mettere in fila alcune regole fondamentali per saper formulare un progetto e richiede un finanziamento europeo. È un’attività molto importante e, ad oggi, è quasi riduttivo come viene insegnata in Italia. Lo dico a ragion veduta in quanto, da diversi anni, insegno europrogettazione in un master post-universitario. Questa materia deve essere insegnata all’università, ma anche nei licei, perché è una materia multidisciplinare che racchiude in sé diverse competenze, con un approccio diverso da quello tradizionale che vale la pena insegnare da subito”.

Bandiere Ue (© alexandre lallemand su unsplash)

Nei giorni scorsi è stato trovato l’accordo per la concessione all’Italia della terza rata del Pnrr. Quali sono, a suo parere, le strategie più efficaci per investire nel nostro paese questi fondi e convogliarli nella maniera migliore possibile?

“Bisogna fare un passo indietro per descrivere bene la situazione attuale. In qualità di europrogettista, da molto tempo, faccio corsi sul Pnrr. Questa quantità di finanziamenti europei senza precedenti ha portato quasi a non vedere la vera europrogettazione. Ciò accade perché, questi 235 miliardi di euro erogati in sei anni, hanno cambiato le regole in gioco. Bisogna considerare il pacchetto ‘Repower Eu’ come un tesoretto avanzato dai fondi non distribuiti di ‘Next Generation Eu. Nel 2021 ho iniziato ad occuparmi del Pnrr ed ho usato il mio approccio, iniziando ad esaminare ‘Next Generation Eu’. Non si era mai visto un piano come questo dove si prevedeva un debito europeo non come la somma di quello dei paesi membri, ma come elemento da rimborsare nel futuro. Quindi, ho preso in esame gli omologhi del Pnrr italiano, che sono almeno 27, tra cui il France Relance francese, lo spagnolo ‘Espagna Puede’ e il piano greco ‘Grecia 2.0’ scritto da un premio Nobel per l’economia. Il Pnrr è stato fatto in velocità e con degli obiettivi sfidanti. Chi lo ha studiato, da subito, ha capito che, qualche problema attorno alla terza rata la quale, tra l’altro, rappresenta il 60% delle risorse complessive del Piano, sarebbe arrivato.  Il Pnrr, essendo ‘performance based’, prevede la realizzazione di investimenti e riforme. In base alla calendarizzazione, c’erano prima le riforme e poi gli investimenti. Dalla terza rata in poi invece, si è verificato un capovolgimento tra questi due aspetti, creando gli imbarazzi che stiamo vivendo in questo periodo. Inoltre, il conflitto russo – ucraino e l’inflazione, sono fattori che hanno cambiato le carte in campo. La scadenza dello scorso trenta giugno, in riguardo alla quarta rata che, in altre parole, significa il raggiungimento di venti traguardi e sette obiettivi. Questi ultimi sono predefiniti nel Pnrr, con tutte le critiche che si possono muovere, in quanto è stato fatto molto in fretta e ci vincola a tempi che non sono consoni al nostro modo di spendere i fondi europei. L’Italia, per quanto riguarda i fondi diretti, è tra i migliori paesi però, per quanto concerne i fondi indiretti, ovvero quelli mediati dagli organismi indiretti, ovvero dagli enti locali, dai ministeri e dal dipartimento della coesione, i risultati sono abbastanza scadenti. Nella passata programmazione siamo riusciti a impegnare il 40% delle risorse disponibili e, per chi fa il mio lavoro, ciò è molto grave. I più penalizzati sono i piccoli comuni e gli enti locali territoriali. Mettere a bando delle risorse per delle piccole amministrazioni, che sono letteralmente strozzate nel gestire il quotidiano, è estremamente complicato perché non ci sono risorse umane con competenze adeguate e il tempo per occuparsene. Queste sono alcune pecche però, tutto sommato, non ce la stiamo cavando malissimo. L’Italia è uno dei tre paesi che hanno chiesto la terza rata insieme a Spagna e Grecia. Degli altri paesi europei invece, solo quattro, hanno presentato due richieste e undici solo per la prima rata. Visto che oggi, nessun paese, ha presentato domanda per la quarta rata, tutto sommato, l’Italia se la sta cavando bene. Abbiamo ottenuto più del doppio delle risorse degli altri paesi perché siamo stati quelli più duramente colpiti dalla pandemia ed è giusto che sia andata così. Sui 191 miliardi del dispositivo di ripresa e resilienza, il vero braccio economico del Pnrr, abbiamo 122 miliardi di prestiti da restituire e 60 miliardi a fondo perduto. Questa è stata una bella manovra di politica economica perché, i prestiti sul Pnrr, vanno restituiti con un tasso che è quello dell’Euribor, mentre il debito pubblico di cui, i 122 miliardi, erano già previsti per molti investimenti, significa doverli rimborsare a un tasso sensibilmente inferiore rispetto a quello che avrebbe dovuto rimborsare lo Stato. Si stima un risparmio di circa 8,5 miliardi di euro in vent’anni. Questo è il motivo per cui l’Italia li ha richiesti”.