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27 aprile 2005: le ragioni della scelta del nome Benedetto

“Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI. Per riallacciarmi idealmente a Benedetto XV. Che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace. Si adoperò con strenuo coraggio. Dapprima per evitare il dramma della guerra. Poi per limitarne le conseguenze nefaste. Sulle sue orme desidero porre il mio ministero. A  servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli. Profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio. Dono purtroppo fragile. E prezioso da invocare, tutelare e costruire. Giorno dopo giorno. Con l’apporto di tutti”, disse nitidamente Benedetto XVI ai fedeli di tutto il mondo. A poco più di una settimana dall’elezione al Soglio di Pietro, Joseph Ratzinger spiegò al mondo le ragioni della scelta del nome Benedetto. Accadde in udienza generale esattamente 16 anni fa. Il 27 aprile 2005.

Ciò che evoca il nome Benedetto

Il nome Benedetto evoca, precisò Joseph Ratzinger, “la straordinaria figura del grande Patriarca del monachesimo occidentale”. Cioè san Benedetto da Norcia. Compatrono d’Europa. Insieme ai santi Cirillo e Metodio. E le sante donne Brigida di Svezia. Caterina da Siena. Ed Edith Stein. Il Papa teologo descrisse, quindi, la “progressiva espansione dell’ordine benedettino da lui fondato”. E che “ha esercitato un influsso enorme nella diffusione del cristianesimo in tutto il continente”. San Benedetto è perciò molto venerato anche in Germania. “E in particolare, nella Baviera, la mia terra d’origine-puntualizzò Joseph Ratzinger-. Costituisce un fondamentale punto di riferimento per l’unità dell’Europa. E un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura. E della sua civiltà.

San Benedetto da Norcia

La Regola

Di questo Padre del Monachesimo occidentale il neo-eletto Pontefice bavarese ricordò, esattamente 16 anni fa (il 27 aprile 2005), una raccomandazione. Quella lasciata ai monaci nella sua Regola. “Nulla assolutamente antepongano a Cristo” (Regola 72,11; cfr 4,21). All’inizio del suo servizio come successore di Pietro, Joseph Ratzinger chiese a san Benedetto di “aiutarci a tenere ferma la centralità di Cristo nella nostra esistenza”. Affinché “Egli sia sempre al primo posto nei nostri pensieri. E in ogni nostra attività”.

Foto © Vatican Media

Eredità spirituale

Il pensiero di Joseph Ratzinger tornò a Giovanni Paolo II. Del quale si definì debitore di una “straordinaria eredità spirituale”. Da qui la citazione di una celebre invocazione di Karol Wojtyla. “Le nostre comunità cristiane– scrisse San Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Novo millennio ineunte – devono diventare autentiche scuole di preghiera. Dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto. Ma anche in rendimento di grazie. Lode. Adorazione. Contemplazione. Ascolto. Ardore di affetti. Fino ad un vero invaghimento del cuore (numero 33).

Indicazioni

Queste indicazioni, secondo Joseph Ratzinger che ne fu stretto collaboratore, San Giovanni Paolo II ha cercato di porre in atto egli stesso. Dedicando le catechesi del mercoledì degli ultimi tempi al commento dei Salmi delle Lodi e dei Vespri. Come Karol Wojtyla aveva già fatto all’inizio del suo pontificato. Quando volle proseguire le riflessioni avviate dal suo predecessore sulle virtù cristiane. Così anche Benedetto XVI ripropose negli appuntamenti settimanali del suo pontificato il commento preparato da Karol Wojtyla. Sulla seconda parte dei Salmi e Cantici che compongono i Vespri. E  fin dal seconda udienza generale post-elezione, Joseph Ratzinger riprese proprio da dove si erano interrotte le catechesi di San Giovanni Paolo II. Nell’udienza generale del 26 gennaio 2005.

Giacomo Galeazzi

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