“Le guerre dimenticate sono un peccato”. Così parlava Papa Francesco ricevendo in udienza nell’ottobre del 2022 i redattori e collaboratori della rivista Mondo e Missione del Pontificio Istituto missioni estere (Pime) nel 150° anniversario della fondazione.
A distanza di poco più di un anno, al conflitto in Ucraina si è aggiunto quello a Gaza tra Israele e Hamas. Eppure, sono molti i fronti caldi ancora aperti nei vari Continenti – a partire dall’Africa – di cui non si parla abbastanza o non si parla affatto. Perché sono lontani dai nostri occhi, non sono “alle porte d’Europa”, oppure perché non fanno abbastanza audience.
Ma sono tutti parte di quel grande puzzle che il Pontefice più volte ha definito “la terza guerra mondiale a pezzi che affligge il mondo”. Anche questo Santo Natale è dunque segnato da guerre note e meno note, ma tutte portatrici di distruzione, fame, malattie e morte: “Con la guerra tutto è distrutto!” ricorda il Papa.
Interris.it presenta un breve excursus dei luoghi martoriati del Pianeta che poco o nulla trovano spazio nei media e nell’attenzione generale. Nella speranza che – come prega il Papa – accendere una luce in quelle tenebre “infonda in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace”.
Il primo pensiero non può non andare alla Siria, terra martoriata da 12 anni di guerra, esattamente dal marzo 2011. I ribelli islamisti di Al Nusra che combattono il regime del presidente siriano Bashar al Assad controllano ancora alcune zone del Paese, tra cui Iblid al confine con la Turchia. La cittadina è vicina ai tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte. Qui la popolazione cristiana locale ha subito negli anni moltissimi soprusi, come espropriazioni, furti, rapimenti, occupazioni di case e terre. Inoltre, i riti possono essere celebrati solo dentro la chiesa e i luoghi di culto non devono avere all’esterno croci, campane, statue e immagini sacre.
Che Natale sarà in Siria? “La lotta continua in noi, tra di noi e intorno a noi, e l’Erode dell’epoca alimenta la guerra ogni giorno e sotto ogni cielo”, scrive mons. Hanna Jallouf, vicario apostolico di Aleppo dei latini, nel suo messaggio natalizio ai cristiani siriani. “Siamo vittime di strategie più grandi di noi, ma il Natale ci mostra l’opera di Dio, ci mostra chi siamo e cosa dovremmo essere come cristiani. Dobbiamo essere un segno umile della forza dell’amore, della pace e della verità”.
20 anni dopo la guerra in Iraq, iniziata il 20 marzo 2003 da una coalizione guidata dagli Stati Uniti alla quale partecipò anche l’Italia, la situazione nel Paese è ancora disastrosa. Centinaia di migliaia di persone hanno perso la vita a causa di decenni di guerra civile e dell’ascesa del sedicente Stato islamico e del suo regno del terrore. La maggior parte dei giovani è disoccupata; i miliardi di entrate derivanti dal prezzo record del petrolio non passano alla popolazione ma vengono presi da élite corrotte; le milizie dell’Isis dominano ancora alcune parti del Paese. Milioni di iracheni stanno lottando per avere prospettive future.
“Tra le preoccupazioni derivanti dal clima politico carico di tensioni e conflitti la nascita di Cristo viene a ricordarci con forza il messaggio di speranza, di pace, fratellanza, amore, solidarietà di Dio”. Comincia così il Messaggio di Natale del patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako. “Il Natale – spiega Mar Sako – è foriero di speranza. Che dovrebbe essere tradotta dagli iracheni rifiutando le differenze, consolidando l’appartenenza nazionale e cercando insieme di costruire uno Stato civile, uno Stato di cittadinanza, di giustizia e di diritto. Uno Stato i cui cittadini vivono in libertà, dignità, sicurezza e uguaglianza2
In Somalia un ventennio di guerre civili e assenza del controllo statale hanno permesso a gruppi terroristici come Al-Shabaab di insediarsi all’interno del Paese. Oggi il Paese africano si trova ad affrontare innumerevoli sfide. Dal 2021 vive una situazione di impasse politica a causa del termine del mandato del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed e del continuo rimandare le elezioni presidenziali e parlamentari. Questo ha portato a nuove violenze con i terroristi che cercano di indebolire il governo e assoggettare nuove zone.
Inoltre, il Paese si trova ad affrontare forti crisi climatiche. Oltre allo stato di emergenza causato dalla maxi invasione di locuste, si teme che la situazione possa peggiorare a causa dell’arrivo quest’anno di El Niño, con conseguenti inondazioni che potrebbero spingere altre centinaia di migliaia di persone verso l’insicurezza alimentare. Questo Natale, la situazione umanitaria nel Paese rimane profondamente preoccupante, con quasi quattro milioni di persone che affrontano la fame e circa 1,2 milioni di sfollati a causa delle recenti alluvioni.
La Libia è uno dei Paesi più instabili e pericolosi del mondo, spiega Affarintenazionali.it: la sistemica instabilità politica e la costante crisi economica la pongono tra i 20 stati più fragili al mondo secondo il Fragile State Index. Il Paese è privo di un’autorità centrale dallo scoppio della guerra civile nel 2014, durante la quale due governi si sono contesi la leadership della Libia facendo affidamento su diverse milizie irregolari.
Le Nazioni Unite riconoscono il Governo di Unità Nazionale (GNU), i cui principali sponsor finanziari e militari sono la Turchia e il Qatar. Il GNU ad oggi controlla solo parte della Tripolitania (la regione nord-occidentale del Paese). La maggior parte della Libia è invece nelle mani del Governo di Stabilità Nazionale (GNS), che fa affidamento sulla forze militari del generale libico Khalifa Haftar, il quale a sua volta riceve supporto materiale e finanziario dall’Egitto, dagli Emirati Arabi Uniti e, indirettamente, dalla Russia tramite i mercenari della Wagner, presenti anche in molte altre regioni dell’Africa.
Nonostante un cessate il fuoco permanente accordato dalle due parti nel 2020, i negoziati mediati dalla missione UNSMIL dell’ONU non hanno portato ad un trattato di pace vero e proprio. Anche se la frequenza degli scontri armati è diminuita, non vi è ancora un esecutivo capace di garantire l’ordine e la pubblica sicurezza.
Anche questo Natale, la situazione per la popolazione civile resta dunque tragica: i libici devono far fronte sia alla devastazione del conflitto armato che alla penuria di beni di prima necessità. A questi due mali vi si è aggiunta più di recente la catastrofe naturale dell’uragano Daniel che ha investito il Mediterraneo e ucciso migliaia di persone. La Libia resta inoltre uno dei principali hub della tratta di esseri umani, laddove numerosi migranti africani in cerca di miglior vita in Europa diventano vittima dei trafficanti.
Il Myanmar, noto anche come Birmania, è stato teatro il 1 febbraio del 2021 di un colpo di Stato militare che ha rovesciato il governo di Aung San Suu Kyi. I mesi successivi sono stati segnati da grandi proteste contro la giunta e da forti repressioni militari, sia contro la popolazione civile, sia contro le minoranze religiose, come quella dei Rohingya che vive nella parte settentrionale del Paese, nello stato di Rakhine. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, i Rohingya sono una delle minoranze più perseguitate nel mondo.
“Siamo come agnelli in mezzo ai lupi”: sono le parole, accorate e commosse, del vescovo Celso Ba Shwe, Pastore della diocesi di Loikaw, nel Myanmar centrosettentrionale. Come confermato all’Agenzia Fides, il complesso della cattedrale di Cristo Re di Loikaw – cuore della cristianità nel paese – è stato occupato dall’esercito birmano che lo usa come campo base militare. Il Vescovo, i sacerdoti e i suoi collaboratori, scacciati dalla loro residenza abituale si trovano a vivere da sfollati. Quello che si apprestano a vivere sarà per loro un Natale da profughi, nella precarietà e del disagio. “Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli – sottolinea il vescovo Ba Shwe -. Facciamo il possibile per comportarci come buoni agnelli, preoccuparci gli uni degli altri, incoraggiamoci a vicenda, per mostrare amore e fare il bene”.
L’Armenia vive il Natale più difficile della sua storia recente. Il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian ha lanciato un’offensiva militare su larga scala nella regione del Nagorno-Karabakh, a maggioranza armena. Il risultato è stata una schiacciante e rapidissima vittoria azera che ha portato al disarmo delle forze della Repubblica dell’Artsakh.
E che ha provocato al contempo l’esodo di decine di migliaia di abitanti armeni dalla regione. Quasi tutta la comunità armena che viveva nell’ex Regione autonoma del Nagorno-Karabakh (in Azerbaigian) è scappata in Armenia. “La regione cesserà di esistere entro la fine dell’anno”, evidenzia Caritas Italiana che aggiunge: dopo tre decenni di conflitti e guerre [con il governo azero, ndr] sono arrivate in Armenia circa 100.000 persone secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), su una popolazione stimata di circa 120.000 abitanti. Non sono riusciti a fuggire solo poche centinaia di persone, principalmente malati e anziani”.
Di guerre dimenticate in Africa ce ne sono tante, come quella del delta del Niger dove i contrasti etno-politici proseguono dai primi anni Novanta.
Nella Repubblica Democratica del Congo siamo di fronte ad una guerra dimenticata da oltre trent’anni. Lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e minerarie, ma soprattutto lo scontro in costante deterioramento con i paesi limitrofi nella zona orientale, peggiorano la stabilità del Paese.
Anche in Sud Sudan la situazione è drammatica. Il Paese nasce nel 2011 dopo cinquant’anni di guerra e un referendum dove il 98,8 per cento della popolazione vota per la separazione dal Sudan. Ma dopo neanche tre anni scatta una nuova guerra civile, un conflitto che si trasforma in guerra tribale tra i due gruppi etnici del Paese: i Dinka e i Nuer. Dopo più di dieci anni e diversi tentativi a favore la pace, persistono le schermaglie tra etnie e la fine della guerra sembra sempre più lontana.
“Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto”, fu l’auspicio del Papa espresso al termine del suo viaggio apostolico lo scorso febbraio in Congo e Sud Sudan.
Uno dei più recenti conflitti aperti quest’anno è quello del Sudan, in Africa. Dopo il primo (2019) ed il secondo colpo di Stato (2021) il Paese è stato colpito dal terzo golpe per ragioni politiche ed economiche il 15 aprile del 2023. Lo scontro ha diviso il Paese a metà e vede contrapposti i due gruppi di membri del Consiglio di sovranità di transizione: da una parte l’esercito sudanese e dall’altra le Rapid Support Forces. Del conflitto ne hanno parlato sporadicamente i media la scorsa estate, poi è stato completamente eclissato dal conflitto tra Hams e Israele. Eppure, il conflitto si sta allargando a vaste parti del Paese e la gente fugge in territori vicini o in altre Nazioni. La scorsa settimana i combattimenti hanno raggiunto Wad Madani (180 chilometri a sudest di Khartum) importante centro di smistamento degli aiuti umanitari e rifugio per gli sfollati in fuga dagli scontri nella capitale.
Questo Natale segna un triste primato per il Sudan: il Paese ha raggiunto infatti il più alto numero di sfollati interni del mondo. Si tratta di almeno 7,7 milioni di persone, tra cui – si stima – almeno 3,3 milioni di bambini. Il numero è quasi raddoppiato da aprile, quando il devastante conflitto ha spaccato il Paese in due. La drastica riduzione della produzione alimentare nazionale e la grave carenza d’acqua lasciano le famiglie sfollate in una situazione disastrosa. Nel silenzio generale.
Concludiamo questa drammatica disamina delle guerre dimenticate nel mondo con un gesto di speranza: riportando la preghiera per la pace che Papa Francesco ha proposto per questo Santo Natale:
“Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: ‘mai più la guerra!’; ‘con la guerra tutto è distrutto!’. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano bandite queste parole: divisione, odio, guerra! Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, perché la parola che ci fa incontrare sia sempre ‘fratello’, e lo stile della nostra vita diventi: shalom, pace, salam!”.
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