Sanità nelle aree di guerra: le missioni Msf a difesa dei civili
Nel sud di Gaza Medici Senza Frontiere ha aperto una clinica all'interno dell'Indonesian Hospital a Rafah dove fornisce cure post-operatorie alle persone sfollate
Msf ha attivato cliniche mobili per assistere gli sfollati dal sud del Libano. A migliaia, infatti, fuggono verso nord per l’escalation di violenze. Continuano a intensificarsi, infatti, le attività militari e i bombardamenti tra forze israeliane e Hezbollah lungo il confine meridionale del Libano. Migliaia sono le persone fuggite per cercare rifugio più a nord o nelle grandi città. Medici Senza Frontiere (Msf), attraverso cliniche mobili supporta due centri sanitari nel distretto di Nabatieh. Qui l’organizzazione umanitaria svolge attività mediche per malattie croniche e supporto psicologico per gli sfollati. Privi di generi di prima necessità e dei farmaci essenziali. “Soccorriamo persone costrette a lasciare le proprie case all’improvviso. Molte di loro interrompono le cure, anche quelle per le malattie croniche”, racconta la dottoressa Aida Hassouni. Aggiunge l’operatrice sanitaria dell’équipe mobile di Msf: “Siamo qui per colmare questo divario. Offrendo cure per le malattie croniche. Questo assicura che le persone possano continuare a curarsi. Fino a quando non potranno riprendere la loro vita regolare”.
Supporto Msf
Il sistema sanitario libanese, come altri settori del Paese, era già provato da quattro anni di crisi economica. Una situazione di emergenza che ha portato due cittadini su tre in uno stato di povertà. Incidendo pesantemente sul potere d’acquisto di beni e servizi di base. Tra cui cibo e assistenza sanitaria. I centri sanitari locali sono già al limite della capacità. E potrebbero subire una pressione sempre maggiore se dovessero far fronte alle crescenti esigenze mediche degli sfollati. “La gente ha bisogno di materassi, vestiti e medicine”, spiega Abbas Chite da Kfarkila, nel sud del Libano. E prosegue: “Abbiamo lasciato tutto quando i bombardamenti sono diventati pesanti. Non possiamo nemmeno tornare a prendere le nostre ricette mediche o i nostri vestiti”. Abbas prima lavorava nell’industria edile. Ma ora non c’è più lavoro e non riesce più a mantenere la sua famiglia. “Lavoro nell’edilizia. Dall’inizio della crisi economica, però, tutto si è fermato”. Da ottobre le équipe di Msf hanno predisposto preventivamente dieci tonnellate di materiale medico. In vari ospedali e strutture mediche del Libano. Fornendo formazione al personale ospedaliero in tutto il paese. Per la cura dei traumi d’emergenza e la gestione di eventi con vittime di massa. In conformità con il piano di preparazione e risposta alle emergenze del ministero della Sanità pubblica. E in collaborazione con altri partner sanitari. Oltre un centinaio di persone sono state formate in nove ospedali.
Emergenza umanitaria
Più di 10 bambini al giorno, in media, hanno perso una o entrambe le gambe a Gaza dall’inizio del conflitto. A denunciarlo è Save the Children. Dal 7 ottobre, secondo l’Unicef, a più di 1.000 bambini sono state amputate una o entrambe le gambe. Molte di queste operazioni sui bambini sono state effettuate senza anestesia. A causa della paralisi del sistema sanitario nella Striscia provocata dal conflitto. E della grave carenza di medici e infermieri e di forniture mediche come anestetici e antibiotici. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Solo 13 dei 36 ospedali di Gaza rimangono parzialmente funzionanti. Ma operano in modo limitato e instabile. A seconda della possibilità di accesso al carburante e alle forniture mediche di base in ogni giorno. I nove ospedali parzialmente funzionanti nel sud stanno operando al triplo della loro capacità. Nonostante debbano affrontare carenze critiche di forniture di base e di carburante. Inoltre, secondo l’Oms, solo il 30% dei medici di Gaza in servizio prima del conflitto lavora ancora. “Ho visto medici e infermieri completamente sopraffatti. Mentre i bambini arrivavano con ferite da esplosione”, riferisce Jason Lee. Direttore di Save the Children nei Territori palestinesi occupati.
Impatto
“Anche per i professionisti più esperti è troppo forte l’impatto nel vedere i bambini soffrire così tanto. E non avere le attrezzature e le medicine per curarli o alleviare il dolore- sottolinea Jason Lee-. Pure in una zona di guerra, la vista e la voce di un bambino mutilato dalle bombe non possono essere accettati. Né tantomeno compresi entro i confini dell’umano. I bambini piccoli coinvolti nelle esplosioni sono particolarmente vulnerabili nei confronti delle lesioni gravi invalidanti. Hanno il collo e il busto più deboli. Quindi è sufficiente una minore forza per causare una lesione cerebrale. Le loro teste non sono ancora completamente formate. E i loro muscoli non sviluppati offrono minore protezione. Quindi è più probabile che un’esplosione possa lacerare gli organi nell’addome. Anche quando non ci sono danni visibili”. Evidenzia il direttore di Save the Children nei Territori palestinesi occupati: “La sofferenza dei bambini in questo conflitto è inimmaginabile. E lo è ancora di più perché è inutile e assolutamente evitabile. Questa sofferenza, l’uccisione e la mutilazione dei bambini sono considerate come gravi violazioni nei confronti dei bambini. E i responsabili devono essere chiamati a risponderne”.
Comunità internazionale
“La storia ci giudicherà tutti se la comunità internazionale non interviene per far fronte alle proprie responsabilità. Ai sensi del diritto internazionale umanitario. E per prevenire i crimini più gravi di rilevanza internazionale– sostengono gli operatori umanitari-. Dobbiamo tenere conto delle lezioni del passato e impedire che si continuino a verificare crimini atroci. Solo un cessate il fuoco definitivo porrà fine alle uccisioni e alle mutilazioni di civili. E consentirà l’arrivo degli aiuti umanitari, di cui c’è disperato bisogno. Compresi i medicinali essenziali per i bambini feriti. Nelle quantità e nei luoghi richiesti”. Medici Senza Frontiere (Msf) ha preso la difficile decisione di evacuare il suo personale e le loro famiglie dall’area dell’ospedale Al-Aqsa. Dopo incessanti combattimenti dell’artiglieria nella zona centrale di Gaza. E in seguito all’ordine di evacuazione diffuso dalle forze israeliane con dei volantini. Nei quartieri attorno all’ospedale dove lavora l’organizzazione medico umanitaria. “Con un grosso peso sul cuore siamo costretti ad evacuare. Mentre rimangono nei locali dell’ospedale i pazienti. Il personale ospedaliero. E molte persone in cerca di un posto sicuro”, dichiara Carolina Lopez. Coordinatrice dell’emergenza di Msf all‘ospedale di Al-Aqsa.
Sotto le bombe
Un proiettile ha perforato pesantemente un muro del reparto della terapia intensiva dell’ospedale di Al-Aqsa. Gli attacchi dei droni e il fuoco dei cecchini a poche centinaia di metri dall’ospedale. “La situazione è diventata così pericolosa che alcuni membri dello staff che vivono nelle zone limitrofe non hanno potuto lasciare le proprie case. A causa del rischio continuo di droni e cecchini”, racconta Lopez. “La conseguente riduzione del personale nell’ospedale ha avuto un impatto sull’assistenza ai pazienti. Ribadiamo che Israele ha l’obbligo, secondo il diritto umanitario internazionale, di proteggere i pazienti. E il personale che ancora lavora nell’unico ospedale funzionante nell’area centrale di Gaza”. Medici Senza Frontiere continua a chiedere con urgenza un cessate il fuoco prolungato per evitare altri morti e feriti. Nessuno e in nessun luogo è al sicuro a Gaza.
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