Lucchetti (OPBG): “Mutilazioni genitali femminili: un problema sociale anche in Italia”

L'intervista alla dottoressa Maria Chiara Lucchetti specialista in ginecologia pediatrica all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma per la Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili

Ghana

Nel 2012, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la risoluzione 67/146, proclamando il 6 febbraio “Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili”.

Cosa sono le mutilazioni genitali femminili

Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) riguardano tutti quei procedimenti che coinvolgono la rimozione, totale o parziale, degli organi genitali femminili esterni. Questa pratica non viene applicata per scopi di natura medica, bensì per motivi culturali e di accettazione sociale. Sono numerose le complicazioni, a breve e lungo termine, sulla salute delle donne soggette a questa usanza. Tra le peggiori, vi è la morte.

Sebbene le MGF siano riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che circa 68 milioni di ragazze in tutto il mondo rischiano di subire questa pratica prima del 2030.

La problematica delle MGF, sebbene diffusa principalmente in 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, è universale. Infatti, questa usanza è comune anche in alcuni Paesi dell’America Latina e dell’Asia. Non sono da escludere, inoltre, l’Europa, l’America del Nord, l’Australia e la Nuova Zelanda dove le famiglie immigrate continuano a rispettare questa tradizione.

Il Covid e l’obiettivo di Sviluppo Sostenibile 5.3

Nel 2015, le MGF sono entrate a far parte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), target 5.3, che concerne l’eliminazione delle pratiche dannose. La pandemia di Covid-19, in corso dal 2020, ha colpito negativamente e in modo sproporzionato donne e ragazze, stravolgendo il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 5.3. Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA – United Nations Population Fund), infatti, ha riferito che 2 milioni di ragazze in più, rispetto a quanto stimato, rischieranno di subire questa pratica entro il 2030.

In risposta a questa problematica, le Nazioni Unite, attraverso il Programma Congiunto UNFPA-UNICEF, hanno deciso di integrare la lotta alle mutilazioni genitali femminili nella risposta umanitaria e post-crisi. Per promuovere l’eliminazione delle MGF, sono necessari sforzi coordinati e sistematici, che devono coinvolgere intere comunità e concentrarsi sui diritti umani, sull’uguaglianza di genere, sull’educazione sessuale e sull’attenzione ai bisogni delle donne e delle ragazze che ne subiscono le conseguenze.

Per comprendere meglio questa problematica che riguarda milioni di bambine e di donne nel mondo, ed è presente anche in Italia, abbiamo intervistato in esclusiva per InTerris.it la dottoressa Maria Chiara Lucchetti, responsabile di Ginecologia Pediatrica e dell’Adolescenza presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG) di Roma.

La dottoressa Maria Chiara Lucchetti, specialista in Ginecologia Pediatrica e dell’Adolescenza presso OPBG

L’intervista alla dottoressa Lucchetti

Il 6 febbraio ricorre la Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF). Cosa sono e quanto sono presenti nel mondo?
“Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche di rimozione o modifica di parti esterne dei genitali femminili compiute per ragioni non terapeutiche e per questo sono considerate una violazione dei diritti umani, come specificato dall’OMS. Si stima che il numero di donne che convive con una mutilazione genitale nel mondo ammonti a circa 125 milioni e che ogni anno quattro milioni di bambine siano a rischio di subirla, soprattutto in alcuni paesi africani”.

E’ una pratica presente in Italia?
“Le mutilazioni genitali femminili sono considerate reato in Italia. Eppure tale pratica è presente. Alcuni pediatri infatti hanno riscontrato la presenza delle mutilazioni nelle figlie di alcune donne immigrate. La legge dice che tali casi debbano essere segnalati perché si tratta di una lesione grave fatta su una minorenne. In Italia è considerata un reato anche quando la mutilazione sia stata eseguita all’estero e indipendentemente da chi l’abbia prodotta”.

Sono casi rari quelli presenti in Italia?
“Non poi così rari. I flussi migratori che hanno interessato l’Italia negli ultimi decenni hanno portato alla ribalta il tema delle MGF anche in Italia. Per questo motivo in tempi e con metodologie differenti sono state realizzate diverse stime sulla numerosità delle donne escisse. L’ultima indagine condotta dall’Università Milano Bicocca per conto del Dipartimento pari opportunità nel corso del 2019 rivelava la presenza al primo gennaio 2018 di 87mila e 600 donne escisse, di cui 7600 minorenni. L’indagine aveva coinvolto 2200 donne ed era stata effettuata mediante campionamento per centri”.

Ci sono anche delle buone notizie ?
“Sì. Una buona notizia è che rispetto ai dati raccolti nel 2009 – realmente allarmanti – adesso c’è una maggior sensibilità ed è diminuito notevolmente il numero delle mamme che pur avendo subito una mutilazione ed essere poi migrate in Italia, ora sceglierebbe la stesa cosa per le figlie. Secondo la suddetta ricerca, le donne favorevoli alle MGF alle figlie sono state il 9,4% (97% a loro volta già sottoposte a MGF); il 37,5% sono invece non favorevoli e anche attive socialmente e/o politicamente nel manifestare tale attitudine, in Italia e/o nel proprio paese. Quelle non favorevoli (ma inattive, ritenendola una libera scelta personale) sono un altro 42%. In generale, una così alta percentuale di donne contrarie – molte delle quali anche attive socialmente – è decisamente una buona notizia!”.

Dove si effettuano le mutilazioni: all’estero o esiste il “sommerso” in Italia?
“Si sospetta che esista un sommerso in Italia, ma – anche per morivi rituali – nella grandissima maggioranza dei casi i genitori riportano le bambine nei Paesi di origine – magari durante le vacanze estive – dove avviene la mutilazione, attività che spesso non è vietata”.

L’operazione ha un costo elevato?
“Tendenzialmente sì. In Egitto, il Paese africano con il maggior numero di mutilazioni genitali femminili, tale pratica è effettuata dalle famiglie benestanti in case di cura. Qui c’è il 94% di medicalizzazioni. Nei Paesi più poveri vengono fatte dalle ‘mammane’, costa sicuramente meno ma è molto più pericoloso per la salute della bambina”.

La tipologia di mutilazione cambia da Nazione a Nazione o sono tutte simili?
“Cambia. L’OMS classifica le MGF in quattro tipologie distinte a seconda della gravità della mutilazione. La più grave comprende – oltre all’escissione – anche l’infibulazione. Tutte le mutilazioni sono effettuale per motivi non medici e anzi sono dannose sia per la salute della bambina sia per quando diventerà una donna”.

Le mutilazioni vengono fatte per motivi religiosi?
“No, questo dei motivi religiosi è un pregiudizio. Benché sia praticata maggiormente nei Paesi musulmani, in realtà non c’è nessuna prescrizione nel Corano in tal senso. Non è stato l’Islam ad introdurre tali pratiche tra la popolazione. Infatti esistono mummie egiziane che già presentano mutilazioni genitali. E’ dunque un retaggio che arriva dal lontano passato”.

Quali sono le motivazioni che portano le madri a far mutilare le proprie figlie?
“Le motivazioni sono di tipo sociale, nelle vesti dell’adeguamento alla tradizione e alle norme che da queste scaturiscono. Oltre alla tradizione cultuale, molto radicata, c’è anche l’idea che una ragazza che ha subito tali pratiche abbia maggior valore sia sul mercato matrimoniale sia in generale nella società. Una ragazza non è altrimenti socialmente accettabile nel Paese di provenienza, anche se vive e lavora in Occidente. E’ dunque una pratica relativa al concetto di verginità e purezza, ma non solo”.

In che senso?
“E’ anche un segno di sottomissione della donna al marito e di appartenenza (nel senso di proprietà) della ragazza alla famiglia d’origine”.

Quali sono i danni dal punto di vista fisico?
“I danni fisici sono molteplici perché c’è stata una asportazione chirurgica di una porzione di tessuto organico e dei relativi nervi che non è più ricostruibile. Per questo le donne che hanno subito le MGF sono più soggette a infezioni, dolori e perdita della sensibilità. Inoltre, sono zone molto irrorate, dunque le MGF possono portare anche alla morte. C’è un altro dato allarmante”.

Quale altro dato allarmante?
“Secondo recenti studi, le mutilazioni genitali femminili vanno di pari passo alle violenze di genere intrafamiliare. Sia per quel che riguarda le percosse, sia le violenze sessuali. Mutilazioni e prevaricazioni in casa sono dunque due realtà molto vicine, spesso correlate. Ciò evidenzia una condizione di fondo allarmante: la donna vista e percepita come un oggetto di proprietà dell’uomo (del padre prima e del marito poi) e non una persona alla pari, di cui disporre secondo le proprie voglie.

Vogliamo concludere con un segnale positivo?
“Sì. E’ in atto un miglioramento in Italia dal punto di vista culturale. Le seconde e le terze generazioni rifiutano infatti le mutilazioni genitali e non le farebbero subire alle proprie figlie. Al più, chiedono nuovi riti di passaggio più rispettosi della donna e del corpo della donna. Inoltre, molte donne migranti (un bel 37%) sono attive nel contrasto delle mutilazioni sia in Italia, sia nel Paese d’origine, attraverso organizzazioni e impegno politico. Il lavoro grosso va fatto su quel 42% di donne che dicono di non essere favorevoli alle MGF, ma non prendono posizione. Invece, le mutilazioni sono un grave danno alla salute e alla dignità della donna e vanno dunque contrastate senza compromessi”.