Giovagnoli (Unicatt): “I ‘segni dei tempi’ indicati dall’enciclica ‘Pacem in terris’”

L'intervista di Interris.it al professor Giovagnoli in merito al significato dell’enciclica “Pacem in terris” di papa Giovanni XXIII

pace

Nell’aprile di sessant’anni fa, precisamente nel 1963, Papa Giovanni XXIII ha emanato l’enciclica “Pacem in terris” che, per la prima volta, in un’epoca fortemente segnata dalla Guerra Fredda e dalla conseguente contrapposizione tra blocchi contrapposti, ha messo al centro i temi della pace e della tutela dei diritti umani. In altre parole, secondo il pensiero dell’enciclica del “Papa buono”, la pace diventava il collante in grado di racchiudere i diritti fondamentali al cibo, alla casa, all’assistenza sanitaria, alla sicurezza sociale, alla partecipazione democratica e alla libertà religiosa.

L’attualità della “Pacem in terris”

L’enclica “Pacem in terris” si rivolgeva per la prima volta a “tutti gli uomini di buona volontà e, seppur in un mondo profondamente cambiato, il suo messaggio, come ha ricordato recentemente Papa Francesco, pensando al conflitto in Ucraina, è sempre attualissimo. In particolare, al punto 62, dove si sottolineava che “I rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante”. Interris.it, in merito al significato della “Pacem in terris” e alla sua importanza nell’affermazione della pace, ha intervistato il professor Agostino Giovagnoli, docente ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed autore di molteplici pubblicazioni.

Concilio Vaticano II (© Vatican Media)

L’intervista

Che cosa ha significato l’enciclica Pacem in terris per la storia della Chiesa?

“La ‘Pacem in terris’ è un’enciclica particolarmente importante perché assume la pace come tema centrale e, per la prima volta, afferma l’illegittimità della guerra. In altre parole, mette in discussione la definizione tradizionale di ‘guerra giusta’, ossia che, fino ad allora, veniva visto come uno strumento che poteva produrre giustizia, riparare torti o restaurare diritti. La ‘Pacem in terris’ constata che, ormai, nel mondo moderno, lo strumento della guerra è qualcosa di mostruoso, non più controllabile. Ciò è evidenziato in particolare dagli armamenti nucleari perché, la loro potenza distruttiva, è tale da rendere la guerra sempre ingiusta, perché non restaura diritti, ma crea nuove vittime, sofferenze, distruzione e torti. Il rapporto tra guerra e giustizia non è più praticabile”.

Che cosa insegna, alla società e alla Chiesa di oggi, l’enciclica “Pacem in terris”?

“Questa enciclica insegna molte cose. La situazione storica è molto cambiata rispetto a sessant’anni fa, ma c’è una lezione di metodo che è estremamente attuale. La ‘Pacem in terris’ parla più volte dei ‘segni dei tempi’. Papa Giovanni XXIII indica ai credenti e, in fondo, anche ai non credenti, la strada del guardare ai ‘segni dei tempi’ di cui parla il Vangelo. Ovvero quei segni attraverso cui noi capiamo cosa sta succedendo, dove andrà la storia e qual è il futuro che ci attende, così come, guardando il cielo, capiremo se ci sarà bel tempo oppure pioverà. I ‘segni dei tempi’ sono fondamentali per capire come e dove verrà il Regno di Dio. In questo caso sono fondamentali per capire come può venire la pace e da dove provengono delle spinte in questa direzione. Dunque, la ‘Pacem in terris’ è un appello che indica l’importanza di coniugare il Vangelo alla storia, in quanto, lo stesso, si vive davvero solo se è calato dentro la realtà storica di ogni tempo. Da questo si trae l’incarnazione del Vangelo.”