Editoriale

Gesù Bambino: non faro che abbaglia, ma lampada che brilla

«Questo per voi il segno: troverete un bambino» (Lc 2,12). Per metterci alla ricerca di Dio, per rintracciare la sua presenza non occorre che cerchiamo segni di potenza, di forza, di ricchezza. Per trovare colui del quale, come direbbe sant’Anselmo d’Aosta, non è possibile pensare nulla di più grande, occorre che ci lasciamo guidare dai segni della piccolezza. Un bambino! In Gesù, Dio si è abbassato perché lo possiamo raggiungere; la sua grandezza si è tutta concentrata in un bambino, perché noi Lo possiamo abbracciare.

Troverete un bambino. Colui che alla fine dei tempi tornerà come giudice, ora viene nel segno della fragilità. Nell’inno delle Lodi durante la seconda parte del tempo dell’Avvento la Chiesa ha cantato così: «Questo fu il suo primo Avvento, quando venne non per giudicare il mondo, ma per curare le nostre piaghe e salvare quello che era perduto». Troviamo il Signore quando ci avviciniamo ad un uomo che ha bisogno di essere curato, confortato, sollevato… Lo troviamo perché Egli è già lì. Non c’è bisogno di andare da qualche altra parte, perché Egli è venuto «per annunziare ai poveri la lieta novella, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà per gli schiavi, la scarcerazione per i prigionieri» (Is 61,1).

Nella liturgia del Natale la Chiesa ci fa riascoltare la parola del Profeta: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,2). La condizione umana è descritta con l’immagine del vagare in una terra tenebrosa. Nella nostra attuale situazione umana, non sapremmo se dire che corrisponda più al vero l’essere in cammino (giacché l’uomo è per intima costituzione homo viator), oppure l’essere immersi nelle tenebre. In tale condizione nessuno di noi riesce a muoversi agevolmente. Noi non siamo dei pipistrelli, che si orientano nel buio più assoluto. Quando ci accade di essere nell’oscurità ci muoviamo a tentoni, paurosi di urtare contro un ostacolo e timorosi di farci del male, irrimediabilmente.

Ai nostri giorni l’uomo cammina e mai, prima d’ora, si è mosso più rapidamente di così. Egli, anzi, si fa beffa dello spazio perché lo supera in mille maniere coi suoi nuovi mezzi. Nel nostro mondo globalizzato le distanze non contano oramai molto. Oggi siamo tutti in movimento, anche quando siamo incollati alle nostre sedie. Passiamo da un canale all’altro dei nostri televisori uscendo, via satellite o via cavo, da uno spazio ed entrando in un altro; con internet stabiliamo contatti e poi li stacchiamo. Non sappiamo, in verità, se siamo turisti, o vagabondi; se siamo visitatori, o guardoni… Nella nostra immobilizzata velocità rischiamo di non avere più amicizie, relazioni stabili, ma soltanto «connessioni». Sapendo, poi, che in pochi attimi, con il nostro computer, possiamo essere da qualunque parte, abbiamo sempre meno motivi per stare in un luogo piuttosto che in un altro, mentre non ne abbiamo più uno dove sentirci davvero a casa nostra.

Ora, che siamo un po’ tutti divenuti come degli «extraterritoriali» ci domandiamo: siamo sì in cammino, ma verso dove? Fatto è che proprio domande di questo tipo gettano nel cuore dell’uomo una grande oscurità. Alcuni maestri gli hanno insegnato che simili interrogativi sono domande inutili; sono, al massimo, quesiti cui non è possibile dare alcuna risposta certa. Bisogna, pertanto, accontentarsi della «leggerezza», della «liquidità» … Da qui, pure una strategia educativa, che ai nostri ragazzi e ai nostri giovani insegna a vivere all’insegna del provvisorio e del fuggevole. Carpe diem.

«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce». Quando s’imbocca una galleria il vero problema non è se c’è buio, ma se in fondo al tunnel si vede la luce, ossia la via dell’uscita. Il Santo Natale ci rassicura che la luce c’è. Noi lo crediamo. «Questa notte è illuminata dallo splendore di Cristo, vera luce del mondo» (Colletta alla Messa della notte); «siamo avvolti dalla nuova luce» del Verbo Incarnato (Colletta alla Messa dell’aurora); «nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova» del fulgore di Dio (Prefazio I nella Natività del Signore). La luce è un Bambino. Questa luce non è un faro, che abbaglia nella notte e porta la morte, ma è una lampada che brilla in un luogo tenebroso. A noi basta così.

Allora preghiamo: «Guidami, Luce gentile, in mezzo alle tenebre / guidami Tu. / Buia è la notte e la mia casa è lontana: / guidami Tu. / Dirigi tu il mio cammino; di vedere lontano / non te lo chiedo – un solo passo sicuro mi basta. / In passato non pensavo così, né ti pregavo: / guidami Tu. / Amavo scegliere da solo la via; ma ora / guidami Tu. / Amavo la luce del giorno e senza timore / cedevo all’orgoglio – non ricordare, ti prego, il passato. / A lungo tu mi sei stato vicino; / posso dunque ripetere: / guidami Tu» (J. H. Newman)

Cardinale Marcello Semeraro

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