Donne straordinarie: le madri sante canonizzate nel XX e XXI secolo

Le storie di madri eroiche che nella quotidianità familiare hanno saputo seguire le orme di Cristo, condividendone il peso della Croce, tanto da venire proclamate Sante

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“Il mondo ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono”. Sono le parole pronunciate da Papa Francesco nel primo giorno del 2024, in occasione della solennità di Maria Santissima Madre di Dio. “Al principio del tempo della salvezza c’è la Santa Madre di Dio, la nostra Madre santa – aveva proseguito il Papa -. E anche la stessa Chiesa ha bisogno per riscoprire il proprio volto femminile: per assomigliare maggiormente a lei che, donna, Vergine e Madre, ne rappresenta il modello e la figura perfetta”.

Scorrendo il martirologio della Chiesa romana, sono centinaia le donne che sono salite agli onori degli altari nell’arco dei secoli. Quasi tutte sono religiose. Ma ci sono anche molte madri: donne sposate che, nella quotidianità della vita laica e familiare, hanno eroicamente seguito le orme di Cristo, non di rado chiamate da Dio a condividerne il peso della Croce. 

In occasione della Festa della Mamma, Interris.it presenta un’inedito excursus delle mamme vissute santamente e canonizzate dal 1900 ad oggi. Queste donne straordinarie non solo hanno esercitato il loro amore e la loro cura all’interno delle famiglie, vera e propria chiesa domestica, ma hanno anche ispirato intere generazioni con il loro esempio di fede, sacrificio e servizio altruistico verso i poveri e i bisognosi del proprio tempo.

Rita da Cascia (1381-1457): la Santa delle cause impossibili

CANONIZZAZIONE: 24 maggio 1900 da Papa Leone XIII. RICORRENZA: 22 maggio.

Santa Rita da Cascia, canonizzata nel 1900, è una figura amata trasversalmente dai cristiani e non per la sua capacità, attraverso la preghiera, di rendere possibile l’impossibile. Nata nella piccola borgata di Roccaporena, in Umbria, nel 1381, col nome di Margherita Lotti, diminuito in “Rita”, riceve una buona educazione scolastica e religiosa nella vicina Cascia, dove l’istruzione è curata dai frati agostiniani.

Intorno al 1385 sposa Paolo di Ferdinando di Mancino. Contese e rivalità politiche sono i tratti che contraddistinguono la società di allora; anche il marito di Rita ne è coinvolto. Ma la giovane sposa, con la preghiera, la sua pacatezza e con quella capacità di pacificare appresa dai genitori, lo aiuta pian piano a vivere una condotta più autenticamente cristiana.

Con l’amore, la comprensione e la pazienza, quella di Rita e Paolo diviene così un’unione feconda, allietata dall’arrivo di due figli maschi: Giangiacomo e Paolo Maria. Al sereno focolare domestico si contrappone però la spirale d’odio delle fazioni dell’epoca. Lo sposo di Rita vi si trova coinvolto anche per i vincoli di parentela, e viene assassinato. Una malattia provoca la morte di Giangiacomo e Paolo Maria: l’unico conforto è pensare le loro anime salve, non più nel pericolo della dannazione nel clima di ritorsioni suscitato dall’assassinio del coniuge.

All’età di 36 anni chiede di essere accolta tra le monache agostiniane del Monastero Santa Maria Maddalena di Cascia. Si racconta che, durante il noviziato, la badessa, per provare l’umiltà di Rita, le abbia chiesto di innaffiare un arido legno e che la sua obbedienza sia stata premiata da Dio con una vite tutt’ora rigogliosa. Negli anni, le virtù di Rita divengono note anche fuori dalle mura del monastero, pure a motivo delle opere di carità cui si dedica insieme alle consorelle, che alla vita di preghiera affiancano le visite agli anziani, la cura degli ammalati, l’assistenza ai poveri.

Sempre più immersa nella contemplazione di Cristo, Rita chiede di poter partecipare alla sua Passione e nel 1432, assorta in preghiera, si ritrova sulla fronte la ferita di una spina della corona del Crocifisso che persiste fino alla morte, 15 anni dopo. Spira nella notte tra il 21 e il 22 maggio dell’anno 1447. Per il grande culto fiorito immediatamente dopo, il suo corpo non è mai stato sepolto. Oggi lo custodisce un’urna in vetro. Rita ha saputo fiorire nonostante le spine che la vita le aveva riservato, donando il buon profumo di Cristo e sciogliendo il gelido inverno di tanti cuori. Per tale ragione, e a ricordo del prodigio di Roccaporena, il simbolo ritiano per eccellenza è la rosa.

Luisa de Marillac (1591-1660): patrona delle Opere sociali

CANONIZZAZIONE: 11 marzo 1934 da Papa Pio XI. RICORRENZA: 15 marzo

Nata in Francia nel 1591 da Luigi de Marillac, signore di Ferrières e consigliere al Parlamento, la piccola Luisa non conoscerà mai la sua vera madre. Nel 1595, il padre si sposa in seconde nozze e la piccola, a soli 4 anni, viene affidata alle Suore domenicane del Convento di Poissy, dove trova un ambiente amorevole e riceve una buona educazione non solo umanistica, ma anche spirituale. Infatti, raggiunta la maggiore età, Luisa avverte la chiamata vocazionale e chiede di poter abbracciare la vita monastica. La sua richiesta, tuttavia, viene respinta, poiché la giovane è cagionevole di salute.

Non le resta, quindi, che il matrimonio: la scelta dello sposo, dettata dalle convenzioni sociali dell’epoca, cade su Antonio Le Gras, segretario della famiglia de’ Medici. Le nozze vengono celebrate nel 1613, Luisa ha 22 anni e poco dopo diventa madre del piccolo Michele. Ma la futura Santa avverte, nel cuore, una profonda crisi: non è quella la sua vera vocazione e il suo animo ne soffre. Nonostante ciò, come moglie e madre devota, si dedica alla famiglia con abnegazione e spirito di sacrificio, curando con dedizione il marito, colpito da una grave malattia che lo porterà alla tomba nel 1626.

Nel 1624, la futura Santa conosce San Vincenzo de’ Paoli. Da quel momento in poi, questa “coppia di Dio” rimane indissolubilmente legata in nome dell’apostolato e del servizio agli ultimi, agli esclusi, agli emarginati. Vincenzo, infatti, sacerdote dinamico e creativo, organizza a Parigi e nei villaggi circostanti le “Confraternite della Carità”, composte da generose volontarie desiderose di aiutare i più bisognosi. E proprio a Luisa Vincenzo affida tali giovani, affinché siano formate e accompagnate nel loro servizio materiale e spirituale.

Luisa dice “sì” a questo progetto così innovativo e il 29 novembre 1633 prendono vita ufficialmente le “Figlie della Carità”, ovvero monache senza chiostro: con la gerla in spalla piena di viveri, abiti e medicinali, le giovani caritatevoli vanno per le strade parigine, nei sobborghi, negli ospedali, nelle carceri, sui campi di battaglia e nelle scuole in cui i più piccoli imparano non solo a scrivere e a far di conto, ma anche a conoscere e amare Dio.

D’altronde, Luisa non si risparmia mai. Ma gli anni passano e le forze della de Marillac, già precarie, cominciano a venir meno. All’inizio del 1660, la futura Santa avverte che la fine è vicina, ma neanche allora cessa di incoraggiare le sue Figlie: “Non abbiate occhi e cuore che per i poveri”, raccomanda. Il suo cuore, stremato dalla fatica, cessa di battere il 15 marzo 1660. Tuttavia, la sua opera non si ferma ed attualmente la Compagnia delle “Figlie della Carità” conta circa 3 mila Case ed oltre 27 mila Suore in tutti e cinque i continenti.

Beatificata da Benedetto XV il 9 maggio 1920 e canonizzata da Pio XI l’11 marzo 1934, Luisa de Marillac è stata proclamata da Giovanni XXIII “Patrona delle opere sociali” il 10 febbraio 1960. Le sue spoglie riposano nella cappella della Casa Madre delle “Figlie della Carità” a Parigi, ma una statua in sua memoria è custodita nella Basilica di San Pietro.

Jeanne de Lestonnac (1556-1640)

CANONIZZAZIONE: 15 maggio 1949 da Papa Pio. XII RICORRENZA: 2 febbraio

Laica, sposa e madre di famiglia che, fanciulla, respinse gli inviti e i tentativi della madre ad allontanarsi dalla Chiesa cattolica e dopo la morte del coniuge provvide sapientemente all’educazione dei suoi cinque figli, fondando poi a Bordeaux la Compagnia delle Figlie di Nostra Signora, sul modello della Compagnia di Gesù, per promuovere la formazione cristiana della gioventù femminile.

Elizabeth Ann Bayley Seton (1774-1821)

CANONIZZAZIONE: 14 settembre 1975 da Papa Paolo VI. RICORRENZA: 4 gennaio

Laica, madre di 5 figli, rimasta vedova e in bancarotta a causa della malattia del marito. Si trasferì da New York a Firenze dove abbracciò la fede cattolica, dedicandosi con sollecitudine all’educazione delle fanciulle e al sostentamento dei ragazzi poveri, insieme con le Suore della Congregazione della Carità di San Giuseppe da lei fondata.

Marie Marguerite d’Youville (1701-1771)

CANONIZZAZIONE: 09 dicembre 1990 da Papa Giovanni Paolo II. RICORRENZA: 23 dicembre

Madre di famiglia, rimasta vedova, educò piamente due dei suoi figli sulla via del sacerdozio e si adoperò con tutte le forze per l’assistenza agli infermi, agli anziani e ai bisognosi di ogni genere, per i quali fondò la Congregazione delle Suore della carità.

Zdislava di Lembert (1220-1252): madre della Boemia

CANONIZZAZIONE: 21 maggio 1995 da Papa Giovanni Paolo II. RICORRENZA: 1 gennaio

Zdislava Berka nacque nel 1215 circa in Moravia. Figlia di Pribyslav di Krizanov, burgravio di Brno, e di Sibilla, una nobildonna siciliana, venuta in Boemia come dama di corte di Cunegonda, nipote di Federico I Barbarossa, data in moglie al Re Ottocaro I Premysl (1197-1230). Zdislava sposò, a 17 anni, Havel, un signore al castello di Lemberk, vicino alla città di Jablonné, in Boemia. Madre interamente dedita alla sua famiglia, si distinse anche per la carità mostrata ai bisognosi. Entrò in contatto con i domenicani appena giunti in Boemia. Divenne loro benefattrice fondando, insieme con il marito, due conventi, uno dei quali proprio a Jablonné. Divenne anche terziaria dell’Ordine domenicano. Morì a 37 anni, nel 1252, e fu sepolta nel convento a Jablonné. Il suo culto fu approvato da Pio X, nel 1907.

Edwige di Polonia (Jadwiga) (1374-1399): co-patrona d’Europa

CANONIZZAZIONE: 08 giugno 1997 da Papa Giovanni Paolo II. RICORRENZA: 16 ottobre

Regina di Polonia, religiosa, che, di origine bavarese e duchessa di Polonia, si dedicò assiduamente nell’assistenza ai poveri, fondando per loro degli ospizi, e, dopo la morte del marito, il duca Enrico, trascorse operosamente i restanti anni della sua vita nel monastero delle monache Cistercensi da lei stessa fondato e di cui era badessa sua figlia Gertrude.

Nata a Buda nel 1374, dalla stirpe capetingia degli Angioini a quel tempo regnati sull’Ungheria, sposò il granduca lituano Jagello, che promise di ricevere il battesimo insieme con tutta la sua nazione, ultimo baluardo pagano in Europa, nonché l’unificazione alla Polonia. Questo matrimonio cambiò la storia europea, trasferendo la frontiera della civiltà occidentale sino ai confini orientali del neonato regno polacco-lituano e ponendo nella schiera dei protagonisti dell’evangelizzazione del vecchio continente.

Ciò le avrebbe sicuramente meritato da parte delle Chiese orientali il titolo di “Isapostola”, come le sante Maria Maddalena, Olga di Kiev, Elena madre di Costantino il Grande e Nino di Georgia. Per noi cattolici può essere invece considerata come la regina di Brigida di Svezia “patrona d’Europa”, poiché aprì la strada alla cristianizzazione della Lituania. Al tempo stesso si dimostrò tollerante nei confronti delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni.

In occasione del Giubileo dell’Anno Santo 1390, desiderando poter avvicinare tutti i suoi sudditi, polacchi, lituani e ruteni, ai frutti spirituali della Chiesa, ma ben conscia degli enormi disagi di natura politica e sociale ai quali sarebbero stati esposti in pellegrinaggio per Roma, chiese ed ottenne dal papa Bonifacio IX la grazia di poterlo celebrare nel proprio paese.

Incoronata “Regina della Polonia”, fu consapevole dell’immane pericolo che i Turchi costituivano per l’Europa cristiana. In tutte le numerose e complesse difficoltà politiche e umane in cui venne a trovarsi, Edvige seppe sempre prodigarsi con tutto l’amore possibile. Una di queste fu rappresentata dalla lunga attesa dell’erede al trono. La sofferenza fu interrotta per breve tempo dalla lieta novella della gravidanza. Purtroppo ebbe modo di gioire assai poco della sua maternità fisica, perché la neonata erede al trono Elisabetta Bonifacia morì in breve tempo. A distanza di quattro giorni, il 17 luglio 1399, si spense anche Edvige, alla giovanissima età di 25 anni e 5 mesi.

In Edvige è sicuramente da sottolineare l’acuto senso, non solamente di giustizia, ma di rispetto per ciascun essere umano e la fermezza che la contraddistinse sempre nel difendere i deboli e gli oppressi. Solita contemplare l’immagine del Crocifisso Nero di Wawel, la santa regina attingeva amore e forza per regnare servendo, lo slancio missionario, l’umiltà di cuore, l’altruismo e la pace nel soffrire e nell’agire.