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Come spezzare le “eredità” criminali

L'intervista di Interris.it a Roberto di Bella, magistrato calabrese che si è speso per salvare i figli delle più importanti famiglie della 'Ndrangheta

Lottare contro la criminalità organizzata si deve e si può. C’è l’esempio di tante donne e tanti uomini che hanno speso la loro vita nella guerra quotidiana contro la mafia, la camorra, la ‘Ndrangheta ed ogni altra forma di gruppo criminale. Una bella storia da raccontare è quella di un giudice calabrese che si è speso per salvare i figli delle più importanti famiglie della ‘Ndrangheta dal giogo di un futuro orientato ad una scelta criminale. Il magistrato Roberto di Bella ha raccontato questa esperienza nel libro “Liberi di scegliere” dal quale è stata tratta anche una importante serie televisiva. Interris.it lo ha intervistato.

Roberto Di Bella, lei è stato giudice minorile a Reggio Calabria. Nel suo libro racconta che in venticinque anni ha processato prima i padri, poi i loro figli. Sempre per gli stessi reati. Come si interrompe una catena di odio e illegalità come questa?

“In 25 anni di attività al tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ho processato prima i padri e poi i figli. In Calabria la cultura di ‘ndrangheta si eredita. La catena di illegalità si interrompe innanzitutto ampliando l’offerta formativa scolastica con progetti di educazione alla legalità mirati, che riescano a toccare le corde emotive dei bambini e degli adolescenti. Bisogna spiegare ai ragazzi che la vita dedita al crimine è una vita di sofferenza e non libera, che porta inevitabilmente alla carcerazione e, in determinati casi, anche alla morte. In sostanza, occorre far capire ai ragazzi che è una vita che non conviene. Bisogna demistificare il modello e, soprattutto, il mito mafioso che affascina tanti adolescenti. Con il progetto Liberi di Scegliere, con il libro e il film abbiamo contribuito a sdoganare questo argomento (la cultura di ndrangheta) che per tanto tempo è stato un tabù anche nelle scuole. Poi, servono servizi socio-sanitari efficienti e capillarmente diffusi sul territorio, per rispondere alle esigenze di tante famiglie. Servirebbe il tempo pieno a scuola per tenere lontano i ragazzi da determinati ambienti. E ancora adeguati centri di aggregazione culturale, dove i giovani possano formarsi una coscienza civica attraverso lo sport, lo scambio culturale, il sostegno scolastico, le buone relazioni. Infine, servono politiche occupazionali adeguate. Bisogna offrire ai ragazzi alternative valide e seducenti. Nelle situazioni già patologiche, infine, serve l’intervento a tutela del tribunale per i minorenni”.

Cosa vuol dire essere “liberi di scegliere”, non lo siamo sempre?

“Il termine ‘Liberi di scegliere’ vuol dire poter decidere della propria vita senza i condizionamenti della cultura ‘ndraghetistica e, in genere, mafiosa”.

Lei è categorico: la ‘Ndrangheta non si sceglie, si eredita. Ci spieghi meglio come funziona questo sistema di non-valori che toglie la libertà a chi nasce in quei contesti…

“Nelle famiglie di ndrangheta i ragazzi ricevono un’educazione criminale sin dall’infanzia, che comprime la coscienza individuale e le aspirazioni degli adolescenti, che così diventano delle pedine della famiglia criminale e sono spinti a commettere i crimini più efferati in nome e per conto dell’organizzazione ndranghetista. In tanti anni ho giudicato centinaia e centinaia di ragazzi che avevano potenzialità per aspirare a una vita diversa da quella – di morte, carcerazione e comunque di sofferenza – riservata loro dalla ‘famiglia’”.

Lei fa una proposta concreta: allontanare i ragazzi – i figli della ‘ndrangheta – dalle famiglie per restituire loro la possibilità di scelta. Come è maturata in lei questa convinzione? 

“Nei casi più gravi ci siamo accorti che bisognava allontanare i ragazzi dal territorio prima che commettessero gravi reati o che fossero a loro volta vittime di azioni ritorsive. L’obiettivo dei provvedimenti non è sanzionatorio ma esclusivamente di tutela. Vogliamo evitare ai ragazzi un destino di sofferenza. In diversi casi, le madri di questi giovani hanno chiesto aiuto per potere andare via dalla Calabria (ma ora anche dalla Sicilia) e, grazie al contributo dell’associazione Libera e a quello economico della CEI (che sta finanziando il progetto Liberi di Scegliere con i fondi dell’8×1000) siamo riusciti a garantire un’esistenza libera e dignitosa, fuori dal contesto mafioso, a tanti nuclei familiari. Molti ragazzi hanno scoperto di possedere talenti e personalità che erano compressi dall’educazione criminale e dalle sovrastrutture vincolanti della mentalità mafiosa. Il Progetto Liberi di Scegliere e l’apporto determinante dell’associazione Libera hanno consentito di alimentare speranze di una vita nuova e libera laddove sembrava che non potessero esservi”.

Qual è il bilancio che può fare dopo tanti anni di impegno su questo fronte?

“Il bilancio è molto positivo, sia dal punto di vista giudiziario che dal punto di vista culturale. In molte scuole calabresi il libro Liberi di Scegliere, scritto insieme a Monica Zapelli, è stato adottato come testo di educazione alla legalità. Il film continua ad essere visto da migliaia e migliaia di studenti e nelle scuole gli insegnanti stimolano i ragazzi su questo argomento. Passaggi culturali molto importanti, tanto quanto gli obiettivi degli interventi giudiziari a tutela. A questo punto, per dare continuità giuridica, culturale e finanziaria al progetto Liberi di Scegliere e all’operazione di infiltrazione culturale che ci siamo prefissi servirebbe una legge”.

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