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Come cambierà l’hotspot di Lampedusa. Intervista a Ignazio Schintu della Croce Rossa Italiana

Inizia una nuova pagina per lʼhotspot di Lampedusa che dal primo giugno sarà gestito dalla Croce Rossa Italiana. Il centro siciliano è stato realizzato per ospitare al massimo quattrocento migranti contemporaneamente, ma in questi anni si è trovato spesso a dare accoglienza a più di duemila persone in condizioni igienico-sanitarie precarie. É storia recente infatti che alcuni migranti, comprese donne e bambini, sono stati costretti a dormire all’aperto su materassi sporchi, senza lenzuola e coperte in una situazione di promiscuità. 

L’intervista

Interris.it ha intervistato Ignazio Schintu, direttore dell’area emergenze e soccorsi della Croce Rossa Italiana, che si dice certo che gli interventi che verranno eseguiti garantiranno un migliore servizio. 

Direttore, quale è lo stato attuale dell’hotspot?

“Gli spazi dedicati all’accoglienza, i servizi e il personale predisposto risultano insufficienti e inadeguati, soprattutto quando i numeri dei presenti superano la capacità ricettiva del centro che è di quattrocento persone. Abbiamo chiesto supporto, lato trasporti, al fine di favorire lo spostamento degli ospiti del centro, fattore che sarà fondamentale per la sua gestione. A destare preoccupazione sono anche le condizioni igienico-sanitarie che riguardano per esempio i bagni che, oltre a non essere adeguati, sono anche numericamente insufficienti e non differenziati per genere. Per far fronte a questa problematica, realizzeremo dei nuovi servizi igienici ad incrementare quelli presenti, che torneranno funzionanti a pieno regime”.

Che interventi avete previsto?

“Innanzitutto attiveremo i protocolli che abbiamo in tutti i centri di accoglienza in Italia. Si tratta di un hotspot molto importante perché sono molte le persone che vi accedono, per cui la prima cosa che faremo è quella di aumentare le figure professionali presenti nel centro. Sto parlando di operatori che si occupano per esempio del ricongiungimento familiare, di personale medico, di infermieri, di mediatori e di psicologici ”.  

Tra i migranti ci sono anche molte donne e bambini, come gestirete il loro arrivo?

“Si tratta di una categoria soggetta a più vulnerabilità per cui è importante avere una struttura che garantisca loro una tutela completa. Alle donne assicureremo un team di ginecologi, mentre ai bambini uno staff di pediatri per assicurarci il loro stato di salute. Inoltre, crediamo sia importante la presenza di psicologi specializzati che possano aiutarli a superare il trauma di un viaggio durato così a lungo e l’arrivo in un Paese sconosciuto in cui tutto può spaventare. Per questo, dopo aver individuato le loro fragilità e dopo essere intervenuti, il nostro protocollo prevede che donne e bambini siano i primi a lasciare il centro e trovare un sistemazione”.

Direttore, cosa hanno bisogno queste persone che arrivano?

“Stiamo parlando di essere umani con delle vulnerabilità molto forti. Il loro viaggio verso l’Italia è stato lungo e pieno di pericoli per cui la prima cosa a cui pensano nel momento in cui arrivano è quella di contattare i propri familiari per rassicurarli che tutto è andato bene. Arrivare in una terra straniera dove si parla una lingua diversa dalla propria crea una sensazione di sbandamento e di solitudine. Il nostro compito dunque non è solo quello di dare loro un primo soccorso, ma anche quello di farli sentire a casa e protetti”.

Elena Padovan

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