Aids, prof. Carosi: “L’importanza di questa giornata mondiale”

L'intervista di Interris.it al professore emerito di malattie infettive dell’Università degli studi di Brescia, Giampiero Carosi, alla vigilia della Giornata mondiale contro l'Aids

a sinistra il professor Carosi. A destra foto Foto di Bermix Studio su Unsplash

Lasciare che le comunità guidino” è lo slogan scelto da Unaids per celebrare la giornata mondiale di lotta all’Aids, un’occasione per sensibilizzare sull’importanza della prevenzione e dell’accesso alle cure. Le comunità coinvolte nella lotta all’HIV giocano un ruolo cruciale, connettendo le persone a servizi sanitari centrati sulla persona, promuovendo la fiducia, innovando e monitorando l’attuazione delle politiche di prevenzione. 

La situazione in Italia

Secondo gli ultimi dati pubblicati sul portale del Ministero della Salute, in Italia nel 2022 sono 1.888 le nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a un’incidenza di 3,2 nuove diagnosi per 100.000 residenti. L’Italia, in termini di incidenza delle nuove diagnosi HIV, nel 2022 si colloca al di sotto della media stimata dei Paesi dell’Europa occidentale e dell’Unione Europea (5,1 casi per 100.000 residenti in entrambe le aree). Nel 2022, l’incidenza più elevata di nuove diagnosi HIV si riscontra nella fascia di età 30-39 anni, mentre fino al 2019 si riscontrava nella fascia di età 25-29 anni. L’età mediana alla diagnosi di AIDS mostra un aumento nel tempo, sia tra i maschi che tra le femmine. Nel 2002 la mediana era di 40 anni per i maschi e di 36 per le femmine, nel 2022 le mediane sono salite a 46 anni per i maschi e 44 per le femmine. Nell’ultimo decennio la proporzione di casi di AIDS in femmine tra i casi adulti è rimasta sostanzialmente stabile, nel 2013 le femmine erano il 24,6% mentre nel 2022 il 25,8%. Il numero di decessi in persone con AIDS è rimasto pressoché stabile dal 2014, pari a 528 nel 2022.

L’intervista

Alla vigilia della Giornata mondiale dell’Aids, Interris.it ha intervistato il professore emerito di malattie infettive dell’Università degli studi di Brescia, Giampiero Carosi.

Professore, il 1 dicembre si celebra la giornata mondiale dell’Aids. Qual è la sua importanza?

“E’ importante perché l’Aids è ancora fra di noi, pur se fortunatamente in declino sia per quanto concerne l’incidenzza sia per la letalità. L’importanza di questa giornata è, quindi, quella di richiamare alla consapevolezza di questa patologia. Il fatto che venga diagnosticata tardivamente, caratteristica tutta italiana, vuol dire che per lungo tempo non ci si rende conto di avere l’infenzione. Ci sono altri due motivi per cui questa ricorrenza è così importante: quella dell’Aids è stata la prima giornata mondiale ad essere istituita, anche il nastrino rosso distintivo è stato utilizzato per la prima volta per questa malattia, poi è stato esteso anche ad altre patologie specie femminili. Va ricordto che con l’avvento dell’Aids, sono stati istituiti molti servizi che prima non esistevano, come il day hospital. Infine, c’è un altro motivo molto importante: con l’Aids è nato ed è stato praticamente istituzionalizzato l’attivismo cioè la costituzione di gruppi attivi di intervento in campo di prevenzione, lotta allo stigma e diffuso accesso al trattamento”.

Cosa sono l’Aids e l’infezione da Hiv?

“E’ un’infezione (Hiv) e una malattia (Aids) che se paragonata con la Covid-19, è certamente molto meno diffusiva, però è estremamente più grave: la Covid, infatti, ha una letalità di poco superiore all’1%, per l’Hiv è il contrario. L’infezione da Hiv dur in media fino ai dieci anni con nessuno o pochi sintomi, fino a quando non si arriva alla malattia, cioè all’Aids. Sono circa 40 milioni le persone che attualmente convivono con questa infenzione che, in assenza di trattamento, porterebbe alla morte il 100% dei casi. In Italia la situazione epidemiologica è particolarmente preoccupante”.

In che senso? 

“L’Italia si caratterizza per un’incidenza inferiore rispetto alla media europea, il problema però è che da noi i 2/3 dei casi sono diagnosticati tardi. Il 90% dei casi viene diagnosticato poco prima che si entri nello stadio finale della malattia”.

Come mai oggi si parla molto poco di Aids?

“E’ cambiata la società e con l’avvento di internet e dei social, in particolare, la comunicazione ha subito un’accelerazione impressionante. Oggi, una notizia viene ‘mangiata’ in una settimana. Basta guardare il caso della guerra Russia-Ucraina: ora non se ne parla praticamente più perché sui giornali è stata ‘sostituita’ dal conflitto israelo-palestinese, facendola diventare quasi marginale. Eppure una guerra nel cuore dell’Europa non è affatto marginale. Prima ancora, lo stesso meccanismo si è verificato con la Covid: siamo stati saturati dalle informazioni su questa patologia e purtroppo, questa saturazione ha portato alla rimozione di cui è espressione il fallimento della attuale campagna vaccinale. Eppure, la settimana scorsa in Italia sono morte per la Covid 235 persone. C’è un ‘consumismo’ delle notizie e questo è particolarmente grave”.

Perché è così grave?

“Quanto abbiamo vissuto come esperienza, con l’Aids prima e il Covid dopo, che hanno veramente rivoluzionato la storia della medicina imponendo il concetto di global health – ossia salute globale, di interscambio fra patologie dell’uomo, dell’animale e l’ambiente -, dovrebbe servirci da lezione e attrezzarci a essere pronti a nuove sfide. Purtroppo, questo non è stato recepito: tutto ciò che è stato fatto in fretta e furia per la Covid è stato rapidamente smantellato; c’era una grande richiesta di vaccini, mentre oggi ci sono rimaste milioni di dosi in scadenza, inutilizzate perché non richieste dalla nostra popolazione. Il mondo della comunicazione e i giornalisti dovrebbe accendere un faro su questi argomenti. Non abbiamo fatto tesoro delle esperienze passate: ci siamo trovati inermi di fronte alla Covid perché non avevamo aggiornato i piani pandemici e tutt’ora rifiutiamo di prepararci ad affrontare l’evenienza di una nuova pandemia che sappiamo certamente verrà”.

Sarebbe necessaria una maggiore campagna di informazione ed educazione, soprattutto fra i giovani, per una sana e consapevole vita affettiva?

“Certamente sì. In Italia se ne sta parlando sin dai primi tempi dell’Aids. Io ho fatto tutta una serie di campagne e conferenze nelle scuole insieme a psicologi. I giovani, oggi, sentono parlare dell’Aids come fatto un storico, come se non li riguardasse più. C’è una disinformazione diffusa. Nel 2022 abbiamo avuto ancora 403 casi di Aids. E’ molto importante fare informazione, bisognerebbe farlo un po’ a tutti i livelli, a partire dalle scuole. Le comunità e gli attivisti, nell’ambito dei gruppi a rischio, come ha anche ribadito l’Unaids, devono essere sostenuti nel fare attività di prevenzione e informazione e diffondere in maniera capillare in particolare quella che è la profillassi farmacologica pre-esposizione (PrEP) oggi disponibile e gratuita”.

Nel trattamento dell’Aids la scienza ha fatto passi da gigante. Pensa sia possibile, magari in un futuro prossimo, trovare la cura definitiva per questa patologia?

“Il virus è integrato nel genoma e al momento una terapia eradicante non c’è. I progressi della scienza sono tali che mi fanno pensare che ci si arriverà, ma non in un futuro prossimo. Si tratterà proprio di una rivoluzione, sarebbe necessaria una terapia genica mirata che è molto difficile da ottenere, sarà una tappa molto molto difficile da raggiungere. Ma la terapia disponibile che sopprime il virus nel sangue è molto agevole (una sola compressa al giorno) e ben tollerata per cui possiamo bene accontentarci”.