Sull’aborto il peccato più grande è tacere

La testimonianza di come la presenza di un gruppo di preghiera che si riunisce davanti all'ospedale nei giorni in cui si praticano gli aborti possa salvare delle vite

Foto di Jeff Jacobs da Pixabay

Se avete l’occasione, in queste settimane recatevi al cinema a vedere il film Unplanned. Un film “made in USA” che racconta la storia vera di Abby Johnson e del suo percorso, da direttrice di una clinica di Planned Parenthood in Texas, ad attivista pro-life.

Il film

In questo film uno dei protagonisti è la preghiera davanti alle cliniche in cui si praticano aborti, come quelle di Planned Parenthood. La stessa Abby, quando vede per la prima volta l’aborto di un bambino coi suoi occhi, sconvolta, si reca subito da Marilisa e Shawn, la giovane coppia che ha conosciuto perché guida la preghiera all’esterno della “sua” struttura. Ed è lei stessa a testimoniare che nei giorni in cui le persone si riuniscono al di fuori dalla clinica, il numero delle donne che non si reca ad abortire aumenta sensibilmente. La fede di un piccolo gruppo che continua con costanza a vegliare ottiene così dapprima la conversione della direttrice, e successivamente la chiusura della struttura stessa.

L’importanza della preghiera per la vita nascente

Le preghiere pubbliche per la vita nascente sono una realtà diffusa in tutto il mondo: persone di diverse confessioni cristiane, laici e consacrati, singolarmente o in gruppi, organizzano preghiere nei luoghi in cui si praticano gli aborti. Molto nota è l’iniziativa “40 days for life” (40 giorni per la vita), citata anche nel film, diffusa in circa 60 paesi nel mondo, in cui le persone si alternano per 40 giorni in preghiera giorno e notte davanti a questi luoghi. E le grazie non mancano: donne che scelgono di accogliere il loro figlio, operatori che abbandonano il posto di lavoro, cliniche e reparti che chiudono. In Italia a differenza degli USA non ci sono cliniche dedicate, gli aborti vengono praticati nelle strutture sanitarie. E quindi anche le preghiere si svolgono davanti agli ospedali. A portarle avanti alcune associazioni cattoliche, come “Ora et labora in difesa per la vita”, “Con Cristo per la vita” e la Comunità Papa Giovanni XXIII.

La mia testimonianza

Da più di 20 anni animo una delle preghiere promosse da questa Comunità, davanti al Policlinico di Modena, e posso testimoniare quante grazie abbiamo avuto a favore dell’accoglienza della vita. Mamme che hanno accolto i loro figli, spazi di collaborazione e di dialogo con operatori e strutture sanitarie, iniziative di politici locali, nascita di numerose iniziative di sensibilizzazione, alcune davvero sorprendenti. Normalmente è proprio il giovedì, il giorno della preghiera, quello in cui succedono più eventi. Siamo un piccolo segno, un semplice gruppo che recita un rosario con un cartello che spiega perché preghiamo (“Due vite in gioco: una preghiera per salvarle”). Eppure questa presenza smuove le coscienze, chi ci vede sente il richiamo del valore della vita e tanti si mettono in discussione.

Il sogno di don Oreste Benzi

Ed era proprio questo il sogno di don Oreste Benzi, il nostro fondatore: toccare il cuore delle persone perché smettano di essere indifferenti. Ci diceva infatti: “Sull’aborto il più grande peccato è tacere!” E ancora: “Se tutti i cattolici si mettessero a urlare, questa ingiustizia smetterebbe!” Perché è proprio il nostro voltarci dall’altra parte, starcene lontano dal povero, non tendere la mano alla mamma in difficoltà, restare in silenzio di fronte su questa grave ingiustizia, che è la causa prima dei quasi 80.000 aborti legali che avvengono ogni anno. Se invece in tanti ascoltassimo questi piccoli oppressi, gli scarti della nostra società, le cose cambierebbero. Se centinaia, migliaia di persone partecipassero a queste preghiere, le autorità politiche e sanitarie non potrebbero più continuare a lavarsene le mani.

Gli effetti della preghiera davanti agli ospedali che praticano l’aborto

Tanti effetti della preghiera vanno anche oltre quello che possiamo toccare con mano. Anni fa don Oreste fu avvicinato in un autogrill da una coppia: “Stavamo entrando in ospedale per abortire, – gli hanno detto – poi vi abbiamo visto pregare, e non ce la siamo sentiti di proseguire. Ora che l’abbiamo incontrata, vogliamo ringraziarla per questo!” Ma se non ci fosse stato questo incontro casuale, don Oreste non l’avrebbe mai saputo. Una delle dimostrazioni più evidenti che questa preghiera non lascia indifferenti è il fatto che è regolarmente oggetto di contestazioni.

I contrari a questa iniziativa

Alcune associazioni l’hanno presa di mira, ritenendola giudicante ed offensiva per le donne e gli operatori sanitari. Ad Ancona hanno fatto una segnalazione ai Carabinieri. A Bologna negli anni 2000 era nato un coordinamento “Via don Benzi dal marciapiede” con lo scopo di farla cessare. A Modena i centri sociali hanno manifestato in contemporanea alla preghiera. E poi attacchi sui giornali, assemblee pubbliche, insulti, presenze di disturbo, con striscioni, urla, offese volgari. Normalmente chi contesta pubblicamente chiede più diritti, qui chiede che ci venga impedito un diritto, quello di pregare liberamente. Ma noi non abbiamo nemici. Siamo lì, davanti a tutti, e ci rivolgiamo al Padre per affidare a lui quei bambini che stanno entrando nell’ospedale. A loro restano poche ore, forse pochi minuti di vita. Chiediamo che si aprano inattese strade di liberazione. Stiamo sotto la loro croce, come Maria con suo figlio Gesù. Esprimiamo la nostra vicinanza e la nostra “com-passione” (= patire con) a loro e alle loro mamme, sempre disponibili ad incontrare e ad ascoltare quelle che ci cercano (circa 1.700 nel 2020).
Sappiamo che tanti apprezzano e sostengono questa preghiera; anche diverse mamme che abbiamo incontrato in questi anni ci sostengono, alcune hanno anche partecipato.

La necessità di avere qualcuno al nostro fianco nella difficoltà

Come Fatima, mussulmana, che ci ha testimoniato: “Se il giorno in cui sono andata in ospedale per rinunciare al mio Yassin avessi visto qualcuno pregare proprio davanti all’ospedale, probabilmente non sarei tornata indietro ma mi sarei sentita meno sola: qualcuno che capiva il mio dolore, c’era.” Così pure gli operatori sanitari: una signora si è fermata a pregare con noi per qualche minuto e ci ha detto: “Io lavoro qui dentro e so cos’è l’aborto: continuate!”. Tante volte anche dei passanti si sono aggregati. A Modena fino a qualche anno fa una linea dell’autobus aveva il capolinea proprio a fianco del luogo della preghiera, e l’autista si univa a noi nei pochi minuti tra l’arrivo e la ripartenza.

Cosa spinge le donne ad abortire

La causa prima dei tanti aborti volontari è la nostra società, che di fronte a una gravidanza imprevista moltiplica gli ostacoli alle donne e le spinge verso l’aborto, e fa leggi per questo. La preghiera, che è onnipotente, è in grado di aprire sentieri inesplorati di vita, di rispetto, di dignità, di solidarietà. Per questo è importante che si moltiplichi davanti a tutti gli ospedali e che tanti affollino quei marciapiedi in cui è possibile sentire forte il grido dei poveri.