Nel segno di San Giovanni Paolo II. In occasione del 16° anniversario della morte di Karol Wojtyla, stamattina alle 10 l’ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, Janusz Kotański ha deposto dei fiori sulla tomba del Santo nella Basilica di San Pietro. Quel 2 aprile 2005 era la vigilia della festività della Divina Misericordia.
Prima ancora di compiere gli ottant’anni, Giovanni Paolo II aveva chiesto agli esperti
se fosse stato il caso, in quelle condizioni, di dare le dimissioni. La risposta fu negativa. Lui comunque aveva predisposto ugualmente tutto. Nel caso ce ne fosse stato bisogno. Decise in ogni modo di fronte a Dio di proseguire la sua missione. Almeno fino a quando ne avrebbe avuto le forze. Così, aveva continuato ad assolvere i suoi impegni. Senza mai far pesare la sua malattia. Le sue sofferenze. Sulla Curia. Sulla Chiesa universale. Resistette fin quando poté. Per la prima volta, non ce la fece a partecipare alla Via Crucis al Colosseo. A Pasqua, si affacciò alla finestra dello studio, ma non riuscì a pronunciare la benedizione.
Sentendo avvicinarsi la fine, Giovanni Paolo II volle congedarsi da tutti i suoi collaboratori. E anche da Francesco, l’uomo che curava la pulizia nell’appartamento
pontificio. Il 2 maggio del 2005 era un sabato. Wojtyla sussurrò a suor Tobiana: “Lasciatemi andare dal Signore”. Poi, il suo cuore si fermò. E, già qui, c’era una prima eredità che Giovanni Paolo II lasciava. Da uomo, prima che da Papa. E cioè, lui che era stato acclamato come “John Paul Superstar”. Come si possono vivere le diverse stagioni della vita con dignità, con serenità. E, soprattutto, come si
possa affrontare con coraggio anche una prova così sconvolgente. Così “definitiva”. Come la morte.
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