Cristiani nel mirino: conversioni forzate all'induismo

Vivere la fede cristiana in India può essere un vero e proprio calvario. Ne sanno qualcosa 98 cristiani appartenenti a 23 famiglie di tribali che sono stati “riconvertiti all’induismo” nel Tripura (nord-est dell’India). Come riferisce AsiaNews, l’Hindu Jagran Manch, un gruppo nazionalista indù. La notizia è diffusa dall’Hindustan Times e ripresa da vari giornali indiani. Il quotidiano riporta le affermazioni di Uttam Dey, presidente dell’unità locale, che fa sapere con soddisfazione: “È come se i familiari perduti di una famiglia fossero tornati a casa”. La seduta di “ghar wapsi”, termine indiano con cui si indicano i programmi di “ritorno alle origini” dell’induismo, sarebbe avvenuta il 20 gennaio nel distretto di Kailashahar.

Le conversioni di massa

Le persone costrette a ri-convertirsi all'induismo sarebbero soprattutto lavoratori delle piantagioni di tè del Bihar e del Jharkhand, Stati con popolazione molto povera e a maggioranza tribale. Secondo quanto riferiscono membri dell'Hindu Jagran Manch, essi “erano indù, ma sono stati adescati al cristianesimo dopo la chiusura nel 2010 dell’azienda di tè Sonamukhi, presso cui lavoravano”. Uno degli ex cristiani ha però affermato: “Siamo persone molto povere. I cristiani ci hanno convertito. Spesso ci trattano male. Abbiamo deciso liberamente di riconvertirci all’induismo”. Appena una settimana fa il ministro dell'Interno indiano Rajnath Singh aveva espresso preoccupazioni per le conversioni di massa che avvengono in India.

Il precedente del partito indù

Il gruppo Hindu Jagran Manch (che significa “Il risveglio Hindu”) era già finito al centro delle polemiche oltre un anno fa, nel dicembre 2017. In un comunicato venivano minacciati alcuni istituti cattolici della città di Aligarh, colpevoli di aver organizzato il tradizionale scambio di doni delle festività natalizie. La “colpa” dei cristiani secondo il gruppo era quella di coinvolgere nello scambio di doni anche i bambini induisti. “Non celebrate il Natale nelle scuole, perché esso è un passo verso le conversioni forzate”, si leggeva.