CasAmica: un dono della misericordia

Durante tutto il Giubileo della Misericordia Papa Francesco sottolineava l’importanza di vivere la misericordia non solo a parole, ma prima di tutto nella pratica. In primo luogo, bisogna aprirsi alla misericordia del Signore e soltanto dopo aprire lo sguardo e il cuore al prossimo. Cristo ha chiesto a tutti noi di praticare le 14 opere di misericordia: le 7 di tipo corporale e le 7 spirituali. Per concretizzare la pratica della misericordia, Papa Francesco ha introdotto l’iniziativa dei “Venerdì della Misericordia”, una serie di visite a sorpresa nei luoghi di sofferenza che sono continuate anche dopo il Giubileo. Lo scorso 7 dicembre, in occasione del tradizionale “Venerdì della Misericordia”, il Papa ha scelto di visitare due strutture della periferia sud di Roma, tra cui CasAmica nella zona di Trigoria, non lontano dal Centro Universitario Campus Bio-medico.

CasAmica Onlus è un’organizzazione di volontariato che dal 1986 accoglie malati e loro familiari in difficoltà che devono soggiornare lontano da casa, anche per lunghi periodi, per ricevere le cure di cui hanno bisogno nelle strutture ospedaliere specializzate. A Milano l’Associazione gestisce, con l’aiuto di 120 volontari, 4 Case di accoglienza (tre dedicate agli adulti e una ai bambini), per un totale di circa 100 posti letto; da agosto 2016 sono operative anche le case a Lecco e a Roma. Nella sua visita alla struttura il Papa, accompagnato come di consueto dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, è stato accolto dalla fondatrice e presidente dell’Associazione CasAmica, Lucia Vedani, che gli fece da guida. All’arrivo del Papa alcuni ospiti si trovavano nella grande cucina e alcuni bambini nella sala giochi. Il Pontefice si è fermato a giocare e a scherzare con loro, ha poi avuto parole di conforto per i genitori, che lo hanno accolto con grande affetto, e ha ascoltato con molta attenzione le loro storie di sofferenze: la maggior parte dei pazienti è affetta da malattie oncologiche o ematologiche. Per gli ospiti la visita del Papa è stato un grande dono e per Lucia Vedani, i benefattori e i volontari, un segno di riconoscenza per il loro lavoro generoso, per la loro “opera di misericordia”. In Terris ha incontrato la signora Lucia per farsi raccontare il suo percorso di solidarietà e impegno verso il prossimo che dura da più di 30 anni.

Come mai Lei, una giovane mamma di quattro figli, a metà degli anni ’80 ebbe l’idea di fondare un’opera di carità che ha preso il nome di “CasAmica”?
“Tutto è cominciato negli anni ’80, quando avevo ancora i figli piccoli. Ogni mattina, uscendo di casa per accompagnarli a scuola, incontravo delle persone che dormivano sulle panchine nei pressi dell'Istituto Nazionale dei Tumori. Erano persone che di giorno venivano curate presso l’Istituto e la notte, provenendo da fuori Milano, e non avendo alloggi in città, per mancanza di mezzi erano costretti a dormire sulle panchine, nei giardinetti o in vecchie auto abbandonate. Con il passare del tempo ho capito che queste persone angosciate e disorientate, oltre ad un tetto, avevano bisogno di aiuto morale e psicologico. Gli incontri con queste persone bisognose sono stati decisivi per farmi capire che quella avrebbe potuto essere la mia missione: accogliere i malati in difficoltà lontani da casa, offrendo loro il calore di una famiglia. E così sono riuscita a realizzare nel 1986 la prima Casa di Accoglienza a Milano”.

Non è da tutti impegnare i mezzi e il tempo per mettersi gratuitamente a servizio degli altri…
“Sono stata sempre attenta ai bisogni dell’altro: così è stato in famiglia, e così è stato anche nelle case d’accoglienza che ho fondato. Il mio progetto ha coinvolto tutta la mia famiglia sin dall’inizio, che lo ha condiviso e sostenuto attraverso la Fondazione della Casa dell'Accoglienza. Negli anni, oltre alla Fondazione, il mio progetto è stato supportato da amici e aziende che hanno contribuito alla realizzazione e alla gestione di questa importante opera. Tuttavia, le nostre Case non potrebbero funzionare senza il sostegno di volontari e degli operatori che ad oggi sono circa 120. È grazie alla loro dedizione nelle nostre Case che si è creato un ambiente confortevole e familiare”.

E' vero che suo marito era contrario e sconsigliava di avviare CasAmica anche a Roma?
“La Casa a Roma è nata sotto la 'spinta' di Navarro Valls. Un giorno lui venne a visitare a Milano la Casa dei Bambini, che avevamo appena ultimato, e ne rimase entusiasta per i servizi che la casa offriva, per l’ambiente luminoso colorato e sereno in cui vivevano i nostri piccoli ospiti e per i volontari che si prodigavano come parenti per sostenere le famiglie tanto provate. Prima di uscire, Navarro ci disse: “Nelle Case si vede la fede vissuta, l’aiuto agli altri, la condivisione, la comprensione, l’amore vero”. Per questo motivo ci chiese ben presto se potevamo realizzare una CasAmica a Roma. Mio marito era contrario e fece di tutto per dissuadermi per la lontananza tra Roma e Milano che mi avrebbe costretta a stare fuori casa per parecchio tempo. Ma Navarro insisteva dicendo: 'Magari io riesco a trovare qualcuno che la costruisca, ma ci vuole la tua esperienza per aprirla, perché la casa dovrebbe funzionare con il carisma con cui vengono condotte le altre. Allora dovresti fermarti a Roma per formare un gruppo di volontari che dovrebbero diventare il cuore e l’anima della nuova CasAmica, affinché l’ospitalità non diventi solo una pensione'. Io ero sempre più convinta di attuare il progetto di CasAmica, approfittai del fatto che in quell’anno ricorreva il nostro 45° anniversario di matrimonio per chiedere a mio marito come regalo di acquistare lo stabile che avevo individuato a Roma. L’edificio era molto ammalorato e richiedeva un grosso lavoro di ristrutturazione, era circondato da un grande parco, ma soprattutto era situato nelle vicinanze del policlinico del Campus Bio-medico: una posizione ideale per dare accoglienza agli ammalati in cura in questo ospedale e ai loro familiari”.

Come si svolge la vita nelle Case?
“Mi faccia rispondere con una testimonianza scritta da una delle nostre ospiti: 'La vita prende le sue forme la mattina presto, fra tintinnii di tazze e profumo di caffè, ci si scambiano le prime chiacchiere, fra i nuovi arrivi alla casa e prima di dirigersi in premura verso i rispettivi ospedali di cura. La maggior parte di noi fa ritorno alla sera tardi, stanchi, traboccanti di speranze e talvolta anche di delusioni. All’imbrunire, più che una tiepida buonanotte, il quadro appare come un delicato risveglio, nell’unione tessuta da un sottile filo della tensione che accomuna ognuno di noi, fra deliziosi profumi e rumori di pentole, come in una grande numerosa famiglia; ci si raccontano le ultimissime della giornata, incontrando in questi volti, provenienti da varie regioni, dei nuovi amici, salutandone a volte anche dei vecchi, dai sessanta ai tre anni'”.

Lei, da volontaria che affianca gli ammalati, potrebbe raccontare tante storie di persone che hanno soggiornato durante la loro malattia nelle vostre case…
“Dietro ogni ammalato c’è una storia sua e della sua famiglia. Vorrei raccontare una storia di un medico napoletano che stava da noi da due anni a cui mi sono molto affezionata, si chiamava Nicola. Mesi prima gli avevano amputato una gamba, il male ora gli aveva intaccato i polmoni; aveva solo 40 anni. Per parlarmi si toglieva a tratti la maschera d'ossigeno. Gli occhi vivacissimi esprimevano tutta la sua voglia di vivere e la dura battaglia che aveva intrapreso per riuscirvi. Eravamo molto amici anche con la moglie Anna, una dolcissima ragazza dagli occhi verdi sempre pieni di lacrime. Avevano due bambini; Nicola lottava per loro. Gli avevo portato i fiori del mio giardino che profumavano la camerata e che mi aiutavano ad illustrarglielo. Le azalee e i rododendri fioriti all'ombra dei pini maestosi, il glicine che si era inerpicata su un altissimo abete trasformandolo in una cascata di fiori lilla profumatissimi. Nicola mi chiese: “Ma un ciliegio ce l'hai?” È rosso di frutta” gli risposi. “Se potessi raccogliere ancora una volta le ciliegie dall'albero, vivrei la Primavera, vivrei un sogno”. Anna e io ci guardammo: perché no? I medici acconsentirono. Anna firmò. La domenica, aiutata da mio marito ed Anna, lo portammo nel mio giardino. Spingemmo la carrozzella proprio sotto i grandi ciliegi carichi di frutti. Nicola sembrava aver dimenticato tutto, stava vivendo il suo sogno. Abbassammo i rami e le sue mani frugavano febbrili tra le foglie raccogliendo i frutti. Bastava così poco a dargli gioia? Ne eravamo commossi e contagiati. Si fece allontanare con la carrozzella, sembrava contemplare gli alberi rosseggianti e pensammo fosse stanco. Ci chiese poi di tagliare alcuni rami e di metterli sulla carrozzella tra le sue braccia, ma ne voleva ancora e ancora… non bastavano mai. “Ora andiamo in ospedale che anche i ragazzi delle altre camere possano mangiare le ciliegie colte dai rami!!”. In ospedale fu allegria, grande la sorpresa: Nicola distribuiva i rami girando tra i letti. Sul suo viso, la luce e il sorriso di chi gioisce soltanto nel donare… anche solo un pizzico di felicità”.

Cosa vi insegnano le storie di ogni persona che passa per la vostra casa?
“Il loro altruismo e la loro fiducia nell’abbandonarsi nelle mani del Signore. Permetta che le racconti un’altra storia. Dovremmo essere in primavera, ma tarda ad arrivare; basta una schiarita in questi giorni di pioggia continua, per affacciarsi impazienti alla finestra a guardare fuori come se si attendesse una persona cara e…l’attesa continua. Sono con alcune volontarie nel soggiorno di CasAmica a festeggiare le nozze d’argento di Antonio, che da mesi è nostro ospite. 25 rose rosse colorano vivacemente l’ambiente; in mezzo al tavolo la torta, bordata di confetti d’argento, come una corona: in centro i nomi e la data del matrimonio. Il chiacchiericcio delle volontarie riempie il silenzio pesante della stanza: fingono di non vedere gli occhi colmi di lacrime di Anna, la moglie di Antonio. Non è commozione la sua, ma smarrimento, incredulità, dolore. Antonio è stato dimesso dall’ospedale senza più speranza. Antonio, 52 anni, è un uomo equilibrato, dolce e forte che tramette sicurezza; si è accorto delle nostre parole inutili, della nostra vivacità e, con un lieve sorriso sulle labbra e tanta luce negli occhi, ci interrompe: “…voi, per vedere la primavera dovete guardare fuori dalla finestra; io la primavera l’ho sempre nel cuore…mi canta dentro; il Signore mi ha dato tutto: l’amore di Anna, due bravi figlioli ormai diplomati che lavorano, un matrimonio felice…già sono passati 25 anni, cosa posso volere di più; io sono pronto!”. Come rondini le sue parole volteggiano per la stanza; si è fatto silenzio, ma nessuno ha più paura del silenzio né delle lacrime che, dispettose, ci scorrono sul viso: Antonio ci ha donato la SUA primavera!”.

Durante la visita di Francesco nella vostra casa di Roma, il Papa Le ha chiesto: “Perché fa tutto questo? Perché ha impiegato i mezzi economici della famiglia e la propria vita per aiutare gli altri gli ammalati e le loro famiglie?” Cosa ha risposto?
“Avevo un profondo desiderio di aiutare qualcuno; come ringraziamento a Dio, per tutte le opportunità che mi aveva dato nella vita, per la felicità che avevo con i miei 4 figli e un marito molto caro; provavo momenti di grande gioia e di gratitudine profonda. Non era giusto tenere solo per me tanta grazia, la felicità è più grande quando è condivisa. Mi chiedevo se fosse giusto tenere tutto per me e non offrire questo amore ad altri condividendo la gioia che io provavo. Aprendo il proprio cuore agli altri e al mondo del dolore, più ti inoltri in questa strada e più l’orizzonte si apre davanti a te e allora ti è impossibile tornare indietro, perché ti rendi conto che anche solo la tua presenza può essere di aiuto agli altri”.

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L’intervista con Lucia Vedani in polacco è stata pubblicata sul settimanale “Niedziela”