Caritas italiana per l’Ucraina, Don Pagniello: “Ispirati dalla Speranza”

A due anni dall'inizio del conflitto in Ucraina, Interris.it ha intervistato don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana. L'organismo della CEI, fondato da Paolo VI nel 1971, ha aiutato oltre 350mila ucraini solo nell'ultimo anno

Foto: Caritas Italiana

A due anni dall’inizio del conflitto in Ucraina, il Paese si trova a un bivio cruciale. La guerra ha lasciato cicatrici profonde, ma ha anche rivelato la resilienza indomabile del suo popolo e la solidarietà che si è formata attorno alla sua causa. L’Ucraina continua a lottare per la sua sovranità e integrità territoriale, fronteggiando sfide immense. Il conflitto ha causato perdite umane devastanti e un esodo massivo di rifugiati. Le infrastrutture sono state gravemente danneggiate, complicando gli sforzi di soccorso e ricostruzione.

La Caritas Italiana, al fianco della Chiesa greco-cattolica e quella latina, si è da subito dedicata al supporto di iniziative di assistenza dei rifugiati, concentrandoci sui più vulnerabili: minori, persone con disabilità e vittime dirette della guerra.

Interris.it ha intervistato il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, sugli aiuti dati in questi due anni e sulle prospettive future della “martoriata Ucraina”.

L’intervista a don Pagniello (Caritas Italiana)

In questi due anni di guerra in Ucraina, quante persone avete aiutato in Italia?

“A due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina la comunità cristiana si è messa a fianco delle vittime e delle persone che hanno perso tutto o sono state costrette ad abbandonare la loro terra. Il lavoro di animazione e di accompagnamento da parte delle Caritas nazionali ucraine, di Caritas Italiana e delle Caritas diocesane è stato enorme: 6,4 milioni di persone sono rifugiate all’estero, 14,6 milioni hanno bisogno di assistenza, 3,7 milione gli sfollati all’interno del Paese. Caritas Italiana ha partecipato all’intervento della rete Caritas internazionale a favore di Caritas Ukraine (istituita dalle comunità greco-cattoliche locali nel 1992, dopo che l’Ucraina ha dichiarato l’indipendenza) e Caritas-Spes (fondata dai vescovi cattolici di rito latino dell’Ucraina nel maggio 1995) con servizi di accoglienza e di protezione, assistenza medica, kit igienici e alimentari, contributi in denaro. Famiglie con bambini, donne sole, anziani: sono solo alcuni dei volti che abbiamo incontrato in questi mesi. Caritas Italiana dal febbraio 2022 è impegnata nella risposta all’enorme emergenza umanitaria della crisi ucraina, ed è anche parte attiva nei processi di ricostruzione e di coesione sociale, con attenzione specifica in quattro ambiti: disabilità e salute; minori e educazione; protezione; advocacy e coesione sociale. Solo nell’ultimo anno, sono stati oltre 324mila i servizi di accoglienza e riparo attivati, 156mila persone hanno ricevuto servizi di protezione e 91mila sono stati coloro che hanno ricevuto assistenza medica e psicologica”.

Cosa sperate per il futuro del popolo ucraino?

“Auspichiamo innanzitutto la fine immediata del conflitto e il ritorno a una pace stabile e duratura. Solo così si potrà avviare la ricostruzione del Paese, che richiederà un impegno enorme da parte di tutti. Dobbiamo lavorare e resistere alla tentazione di considerare la forza come l’unica soluzione possibile. La storia ci insegna che la vera pace si costruisce sul dialogo, sul rispetto dei diritti umani e sull’adesione ai principi del diritto internazionale. È fondamentale ricordare che la pace non è semplicemente l’assenza di guerra, ma uno stato attivo di giustizia ed equità. Un cammino che, insieme alle comunità con cui lavoriamo, stiamo tentando di percorrere, nonostante le ombre della guerra. La missione e presenza della rete Caritas in Ucraina ci chiama a impegnarci, nonostante le avversità, ispirati dalla speranza che un giorno la forza delle armi possa cedere il passo alla forza del diritto, della solidarietà, del dialogo e dell’incontro. Il nostro compito è di essere accanto all’umanità ferita accompagnando percorsi di cura, redenzione e riconciliazione, affinché questa crisi possa trasformarsi in opportunità per cammini rinnovati. Speriamo e ci impegniamo affinché il grido ‘Mai più la guerra!’ possa realizzarsi davvero nei cuori e nelle menti, per affermare una cultura della pace e della nonviolenza”.

Chi sono i nuovi poveri che si rivolgono a voi?

“Dall’analisi dei dati Caritas emerge un quadro preoccupante: la povertà assoluta morde la vita di oltre 5,6 milioni di persone, quasi un decimo della popolazione italiana. Tra le mura domestiche, il lavoro povero e intermittente dilaga, con salari bassi e contratti atipici che soffocano ogni speranza di una vita dignitosa. I giovani e le famiglie con figli sono le fasce più vulnerabili. Il disagio abitativo assume i contorni di una drammatica emergenza, con migliaia di famiglie senza casa o in condizioni abitative inadeguate. L’accesso all’istruzione e alle nuove tecnologie diventa un miraggio per fasce sempre più ampie della popolazione, alimentando disuguaglianze che rischiano di diventare abissi invalicabili. Le analisi condotte da Caritas e anche da altre antenne sociali ci parlano di un cambiamento nella configurazione della povertà che, complice anche una sempre maggiore precarizzazione del mondo lavorativo, si allarga e si diffonde in modo indiscriminato, in tutti i contesti sociali, geografici e anagrafici. Nel corso degli ultimi quindici anni, la povertà ha decisamente cambiato volto, al punto che in letteratura si parla di ‘democratizzazione della povertà’ per indicare il fatto che è sempre più difficile identificare dei gruppi sociali che possano dirsi veramente impermeabili o invulnerabili al rischio di povertà. Lo sanno bene gli operatori Caritas, che si trovano di fronte a storie di povertà sempre più eterogenee, in controtendenza rispetto alla forte omogeneità sociale e biografica che caratterizzava le storie del passato”.

Quali sono le vostre priorità in Italia in questo momento?

“La nostra priorità è sempre provare, come ha ricordato Papa Francesco ai partecipanti al convegno delle Caritas diocesane d’Italia (21 aprile 2016), ad ‘essere stimolo e anima perché la comunità tutta cresca nella carità e sappia trovare strade sempre nuove per farsi vicina ai più poveri, capace di leggere e affrontare le situazioni che opprimono milioni di fratelli in Italia, in Europa, nel mondo’. È a partire da questa prospettiva che ci avviciniamo alle fragilità del nostro tempo, favorendo l’accoglienza diffusa delle persone, promuovendo la solidarietà tra famiglie, sostenendo quelle forme di emarginazione che, talvolta, si rischia di non vedere. Si pensi, per esempio, ai working poor che rappresentano un esercito silenzioso di persone che, pur svolgendo un’attività lavorativa, non riesce a garantire a sé e alle proprie famiglie una vita dignitosa. Per contrastare questa piaga, Caritas Italiana invoca misure concrete, in grado di tutelare i lavoratori e di assicurare dignità e giustizia; ma è importante anche sollecitare la comunità a prendersi cura di coloro che vivono momenti di fatica, per non cedere il passo all’indifferenza. Inoltre, viviamo in un’epoca di interconnessioni profonde, dove mondi apparentemente distanti si legano in un’inestricabile rete di cause ed effetti. Vista da questa prospettiva, la povertà non è un fenomeno circoscritto, ma si manifesta in forme nuove e complesse, intrecciandosi con disuguaglianze, migrazioni, cambiamenti climatici e crisi economiche. Ampliando lo sguardo a quanto accade sul piano globale, come la grave crisi umanitaria in Etiopia e in Sudan, il conflitto in Terra Santa, in Ucraina e altre emergenze, è necessario, solo per fare un esempio, immaginare un sistema di accoglienza dignitoso per l’integrazione dei migranti, che sia capace di rispettare le persone e i loro diritti. L’implementazione di politiche migratorie resta una sfida che non può essere ignorata o rimandata. È necessario un impegno comune per costruire un paese più giusto e solidale. Un paese che non lascia indietro nessuno, che valorizza il lavoro e che accoglie con dignità chi cerca un futuro migliore”.

A distanza di oltre 50 anni dalla sua fondazione, qual è l’intuizione di Paolo VI di creare Caritas Italiana?

“Nel 1971, Paolo VI, ritenendo conclusa la missione della POA, ha deciso di dare vita a un nuovo organismo pastorale della e per la Chiesa italiana, come uno dei frutti del Concilio Vaticano II. Si tratta di quel Concilio che, nella Gaudium et spes, aveva indicato ‘le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono’ come la stella polare dei discepoli di Cristo. Quel Concilio che, nella Apostolicam actuositatem, aveva chiesto, in particolare ai laici, di farsi parte attiva verso i poveri e i sofferenti: ‘la carità  cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo loro aiuto’. L’intuizione del Papa è di particolare attualità soprattutto manteniamo piena fedeltà alla natura stessa della Caritas Italiana che è chiamata a promuovere ‘la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica’ (Statuto, art. 1). Ancora oggi, dunque, la carità è un valore fondamentale che ci ricorda la nostra comune umanità, l’importanza di generare percorsi di fraternità, di lavorare per costruire comunità inclusive e solidali e il dovere di ‘farci prossimi’ per prenderci cura gli uni degli altri”.

Come Papa Francesco esplica la dimensione della carità in relazione alla situazione in Ucraina?

“In occasione della preghiera dell’Angelus del 19 giugno 2022, Papa Francesco ci ha invitato a porci questi interrogativi: ‘cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Prego? Mi do da fare? Cerco di capire? Cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Ognuno risponda nel proprio cuore’. Il Santo Padre non ha mai smesso di rilanciare appelli di pace, invitandoci a costruire sentieri di speranza e solidarietà, chiamandoci ad essere artigiani di pace. È necessario, innanzitutto con la preghiera e anche con un impegno incarnato, far sì che il grido ‘Mai più la guerra!’ si realizzi davvero nei cuori e nelle menti. È proprio questo il tempo di rafforzare o stringere nuove alleanze sul territorio. Vanno riaffermati principi come sussidiarietà, solidarietà, dignità della persona umana, bene comune, in vista della costituzione di un sistema di relazioni tra le persone fondato sulla cooperazione e sulla collaborazione. Per trovare le migliori risposte a livello di sistema e a livello di interazioni con i singoli”.