Bergoglio ai piccoli pazienti del Bambin Gesù: “La speranza è la benzina della vita cristiana”

Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, pazienti, famiglie, dipendenti, collaboratori e volontari dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù. In prima fila oltre 150 piccoli provenienti anche da tante ‘periferie del mondo’. Tra i partecipanti, la Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale, Mariella Enoc, il cardinale Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il cardinale Arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga, poiché l’Ospedale della Santa Sede si occupa della ricostruzione del nosocomio pediatrico di Bangui, finanziato anche dalla vendita dei biglietti del concerto con Claudio Baglioni che sabato prossimo si terrà in Vaticano.

Davanti ai bambini e ai ragazzi che soffrono, ma che con forza, gioia e dolcezza affrontano la loro esistenza, affidando al Pontefice le loro emozioni, Papa Francesco ha risposto ad alcune testimonianze con la sincerità che gli è propria. Valentina, un’infermiera, ha raccontato di come chi lavori in ospedale abbia compiuto la scelta di stare in questo luogo: “I piccoli pazienti e i loro genitori – ha spiegato – non hanno invece la possibilità di scegliere”. Francesco ha ammesso che sui bambini che soffrono non ha nessuna risposta: “Nemmeno Gesù ha dato una risposta a parole. Di fronte ad alcuni casi, capitati allora, di innocenti che avevano sofferto in circostanze tragiche, Gesù non fece una predica, un discorso teorico. Si può certamente fare, ma Lui non lo ha fatto. Vivendo in mezzo a noi, non ci ha spiegato perché si soffre. Invece, ci ha mostrato la via per dare senso anche a questa esperienza umana: non ha spiegato perché si soffre, ma sopportando con amore la sofferenza ci ha mostrato per chi si offre. Non perché, ma per chi”.

Ha quindi esortato ad aprirsi al valore dei sogni, del dono, delle piccole cose, di un semplice grazie: “Lo insegniamo ai bambini e poi non lo facciamo noi adulti. Ma dire grazie, semplicemente perché siamo davanti a una persona, è una medicina contro il raffreddarsi della speranza, che è una brutta malattia contagiosa. Dire grazie alimenta la speranza, quella speranza nella quale, come dice san Paolo, siamo stati salvati. La speranza è la ‘benzina’ della vita cristiana, che ci fa andare avanti ogni giorno”.

A prendere la parola, poi, è una paziente. La sua è una storia di malattie, ricadute, complicazioni ma soprattutto di speranza. Oggi, nonostante le difficoltà, studia per diventare medico. “Può sembrare – ha sottolineato il Papa – una logica perdente, soprattutto oggi, con la mentalità dell’apparire che esige risultati immediati, successo, visibilità. Invece, pensate a Gesù: la maggior parte della sua vita su questa terra l’ha trascorsa nel nascondimento; è cresciuto nella sua famiglia senza fretta, ogni giorno imparando, lavorando e condividendo gioie e dolori dei suoi. Il Natale ci dice che Dio non si è fatto forte e potente, ma fragile e debole come un bambino”.

Viviamo in un tempo, ha constatato il Papa, in cui “gli spazi e i tempi si restringono sempre di più. Si corre tanto e si trovano meno spazi: non solo parcheggi per le automobili, ma anche – ha aggiunto – luoghi per incontrarsi; non solo tempo libero, ma tempo per fermarsi e ritrovarsi. C’è grande bisogno di tempi e di spazi più umani”. E l’Ospedale Bambino Gesù, ha sottolineato, nel corso della sua storia si è sviluppato aprendo altre sedi, con servizi dislocati per offrire nuovi spazi per pazienti, per familiari, ricercatori.

“Questo – ha spiegato – va ricordato, è la miglior premessa per il futuro! Nonostante gli spazi stretti gli orizzonti si sono allargati: il ‘Bambin Gesù’ non ha guardato alle sue ristrettezze, ma ha creato nuovi spazi e tanti progetti, anche lontano, in altri continenti. Questo ci dice che la qualità della cura non dipende solo dagli aspetti logistici, ma dagli spazi del cuore. È essenziale allargare gli spazi del cuore: poi la Provvidenza non mancherà di pensare anche agli spazi concreti!”. A chi, dopo gli studi, al Bambin Gesù si affaccia al mondo del lavoro, ha ricordato ancora una volta il Papa, “deve essere aperto ai giovani, non solo al mercato”. Qundi, ha consigliato innanzi tutto di “mantenere vivi i sogni”.

I sogni non vanno mai anestetizzati, qui – ha puntualizzato – l’anestesia è vietata! Dio stesso, lo sentiremo nel Vangelo di domenica, comunica a volte attraverso dei sogni. Soprattutto invita a realizzare sogni grandi, anche se difficili. Ci spinge a non fermarci nel fare il bene, a non spegnere mai il desiderio di vivere grandi progetti. Mi piace pensare che Dio stesso ha dei sogni, anche in questo momento, per ciascuno di noi. Una vita senza sogni non è degna di Dio. Non è cristiana una vita stanca e rassegnata, dove ci si accontenta, si vivacchia senza entusiasmo, alla giornata”. Francesco ha poi sottolineato la “forza di chi dona. Si può vivere mettendo al primo posto l’avere oppure il dare. Si può lavorare pensando soprattutto al guadagno, oppure cercando di dare il meglio di sé a vantaggio di tutti. Allora il lavoro, nonostante tutte le difficoltà, diventa un contributo al bene comune, a volte addirittura una missione”.

L’importante, ha affermato, “è riconoscere cosa viene prima: fare qualcosa per i propri interessi e per il successo, oppure seguire l’intuizione di servire, donare, amare, vivendo ogni giorno come vorrebbe il Signore. Non come un peso, ma come un dono. È il mio turno – ha concluso il Papa – per fare un po’ di bene, per portare Gesù, per testimoniare non a parole ma con le opere. Ogni giorno si può uscire di casa con il cuore un po’ chiuso in sé stesso, oppure con il cuore aperto, pronti a incontrare, a donare”.