Mafia, colpo al clan di Bagheria (Palermo): sventato un omicidio

I boss avevano sentenziato l’eliminazione di Fabio Tripoli, loro avversario, pianificandone nel dettaglio l’omicidio

Maxi colpo alla famiglia mafiosa del quartiere palermitano di Bagheria. All’alba di oggi i carabinieri del Comando provinciale hanno dato esecuzione a un provvedimento di fermo, emesso su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, a carico di 8 indagati. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. Lo riporta Palermo Today.

Operazione “Persefone”

L’operazione, denominata “Persefone” e seguita da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto, Salvatore De Luca, rappresenta l’esito di una complessa attività d’indagine sulla famiglia mafiosa di Bagheria, che ha consentito di fare luce sulla sua “perdurante operatività”, dicono i carabinieri, e che ha subìto un’improvvisa accelerazione a causa di un progetto di un omicidio recentemente pianificato dai vertici della famiglia. I boss, infatti, avevano deciso di ammazzare un pregiudicato locale, estraneo a Cosa nostra, ritenuto poco incline al rispetto delle regole imposte dall’organizzazione mafiosa.

Il cambio al vertice del clan di Bagheria

“E’ stato possibile accertare – spiegano dal comando dei carabinieri – che il ruolo di comando, ricoperto in una prima fase da Onofrio Catalano (detto ‘Gino’) con il placet dell’allora capomandamento Francesco Colletti (poi arrestato nel corso dell’operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia), era poi stato assunto dal più autorevole Massimiliano Ficano. Quest’ultimo, in forza del forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale, aveva indotto Catalano a ridimensionare il proprio ruolo e lo ha relegato in posizione subordinata, con compiti esclusivamente connessi alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione del nuovo capofamiglia”.

I due capi, nonostante il travagliato avvicendamento al vertice, si sono impegnati nel mantenere il controllo del territorio, imponendo la “politica delle estorsioni” e, soprattutto, assumendo la ferrea direzione delle piazze di spaccio di stupefacenti (nel cui ambito operano solo le persone “autorizzate” da Cosa nostra, tenute a versare periodicamente una quota fissa dei profitti), ritenuta la principale fonte di profitto per le casse del clan mafioso.

“Stipendiare” i carcerati: dovere sacro dei boss liberi

Queste scelte operative sono il frutto di una precisa strategia delineata del capomafia Massimo Ficano. Quest’ultimo infatti, nel corso di una conversazione intercettata con un suo stretto collaboratore, affermava che in questo momento le attività più remunerative per la famiglia mafiosa di Bagheria erano costituite dalla gestione di centri scommesse e dal traffico di sostanze stupefacenti.

Queste attività illecite venivano controllate direttamente dal capomafia, anche se lui non si esponeva mai in prima persona, delegando i suoi più fidati collaboratori. Il provento serviva anche a provvedere al sostentamento dei familiari dei detenuti, dovere “sacro” dei boss liberi. “Perché – spiegano i carabinieri – in caso di mancato adempimento di questa delicata incombenza, vacillerebbe il vincolo di omertà interna e, di conseguenza, il ruolo granitico di Cosa nostra”.

Nonostante questa scelta strategica di puntare su scommesse e stupefacenti, non è comunque venuto del tutto meno l’impegno legato alle estorsioni, declinato sia nella forma della “messa a posto” delle imprese impegnate nei cantieri locali, sia in quello volto a garantire il controllo del territorio, anche tramite la risoluzione delle controversie tra privati.

L’attività tecnica, infatti, ha permesso di accertare una condotta estorsiva messa in atto da Catalano nei confronti dei titolari di un panificio di Bagheria, “colpevoli” di produrre dolci che, considerata la vicinanza dell’attività a un bar gestito da un uomo vicino alla famiglia bagherese di Cosa nostra, danneggiavano economicamente il titolare. Le vittime sono state così costrette a smettere di produrre i dolci a causa della loro “concorrenza sleale”.

Il ruolo centrale del boss Ficano

E’ emersa in tutta la sua forza la figura di Ficano, esperto uomo d’onore della famiglia mafiosa di Bagheria, che, dopo aver espiato una condanna definitiva per associazione mafiosa e approfittando del vuoto di potere causato da vari arresti, ha riacquisito la posizione di vertice del clan, imponendo le decisioni della famiglia mafiosa anche con metodi violenti.

Ficano poteva contare su un gruppo assai solido che poteva contare anche sugli indagati ‘Gino’ Catalano (ex reggente), Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano) dediti al controllo criminale del territorio. “Ficano è da tempo inserito in qualificatissimi circuiti criminali e in passato ha gestito una parte della lunga latitanza bagherese di Binnu Provenzano“, spiegano dal comando dei carabinieri.

Nelle indagini sono inoltre emerse la responsabilità penali dell’anziano imprenditore edile Carmelo Fricano (detto “Mezzo chilo” e tratto in arresto oggi), ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Bagheria e quelloe dello storico capomandamento detenuto, Leonardo Greco. In passato, infatti, diversi collaboratori di giustizia hanno indicato Fricano come prestanome del capomafia ergastolano.

Il progetto di uccidere il ribelle Tripoli

L’autorità del boss Ficano era però stata messa di recente in discussione da Fabio Tripoli, apparentemente estraneo al contesto mafioso, che, in stato di ubriachezza e spesso intemperante, si era permesso di sfidare pubblicamente il capomafia.

Tripoli, oltre a infastidire con il suo atteggiamento provocatorio diversi bagheresi. La reazione del clan all’atteggiamento sfrontato di Tripoli e alla sua ritrosia a sottostare ai ‘divieti’ imposti dai mafiosi per riportare ordine nel territorio da loro controllato non è tardata ad arrivare. Su mandato di Ficano, sei uomini (tra cui gli indagati Scaduto e Cannata) lo hanno selvaggiamente picchiato, provocandogli un trauma cranico e un trauma alla mano.

Tripoli però, nonostante l’avvertimento, non ha cambiato atteggiamento e aveva fatto sapere in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale da poco inaugurato dal boss Ficano. Visto il pubblico affronto, Ficano e Scaduto hanno così sentenziato l’eliminazione di Tripoli, pianificandone nel dettaglio l’omicidio. Ficano, subito dopo aver dato ordine di eseguire l’omicidio, ha deciso di allontanarsi da Bagheria, molto verosimilmente sia per costituirsi un alibi che per darsi alla fuga per il pericolo di essere arrestato.