UN SIRIANO TRA LE LUCI DI DUBAI

“Avete molti siriani in italia?”. Mohammed si preoccupa per il suo popolo mentre sfreccia a bordo di una Land Rover grigio metalizzato sull’asfalto scuro che taglia in due il deserto rosso di Dubai. E quando gli spiegano dell’opera umanitaria a sostegno dei profughi attivata dalla Chiesa e dalle ong civili nel nostro Paese non trattiene un sorriso tra l’amaro e il sollevato. “Meno male” commenta con un filo di voce. Da cinque anni vive negli Emirati Arabi Uniti e da altrettanti ha portato la sua famiglia con sé. Allora la guerra era appena iniziata e a centinaia iniziavano a mettersi in salvo, prevedendo la tempesta che, di lì a poco, si sarebbe abbattuta sulla Siria. Oggi l’emergenza è totale e l’accoglienza in Europa stenta a decollare. Così persone come Mohammed si chiedono che ne sia stato di amici e parenti rimasti in quell’inferno.

Non si lascia andare a rivelazioni sul suo passato, su quale mestiere facesse prima di emigrare. Ma rivendica orgoglioso le sue origini, anche quando gli occidentali che lo incontrano abbassano gli occhi e si rinchiudono in un colpevole silenzio sentendolo dire: “Mi chiamo Mohammed e vengo dalla Siria”. Dietro la sua espressione, però, non c’è alcuna intenzione di condanna nei confronti di chi lo ascolta. Anche perché lui ha un’idea ben precisa su chi siano i responsabili: russi, americani, baathisti, ribelli e terroristi. E’ la politica a uccidere prima delle bombe. “Questa guerra è frutto di interessi – racconta -. Quello dei politici è mantenere la loro poltrona. Non hanno a cuore il popolo. Assad doveva andarsene perché era finito, mentre Stati Uniti e Russia non avrebbero dovuto intervenire. I siriani hanno il diritto di scegliere il proprio futuro da soli”.

Anche dietro l’ascesa dell’Isis, dice, ci sono logiche economiche e di potere. “Gli jihadisti non sono musulmani, sono dei pazzi. La religione non c’entra niente. L’unica cosa che vogliono tutte queste persone è il petrolio, cioè i soldi”. E lui, fedele di Allah, tiene precisarlo, perché non passi il concetto “islamico uguale terrorista”, tentazione del populismo più bieco che sta prendendo piede in Occidente. “Il mio Paese tollerava le altre fedi. I cristiani erano rispettati, avevamo chiese antichissime e nella mia regione c’era anche una piccola comunità di ebrei. Ora non è più così”. Ricorda che, secondo il Corano, la Parusia (cioè il ritorno di Cristo) avverrà nel “Minareto di Gesù” della moschea Omayyadi di Damasco. Uno schiaffo all’ignoranza di chi usa il nome di Dio per predicare odio.

Dopo essere arrivato a Dubai ha iniziato a lavorare con i turisti, che accompagna ogni giorno nel safari nel deserto. Lo stipendio, dice, non è alto ma basta per far vivere bene la sua famiglia. Eppure, lì, tra immensi grattacieli, sontuosi centri commerciali e maestosità architettoniche di ultima generazione, avverte la mancanza della sua vita precedente, di rapporti umani veri. “Qui la gente è finta come l’acqua che hanno (quella dolce è ottenuta grazie a mega impianti di desalinizzazione ndr)” spiega con una battuta. “Dubai è una città in cui l’apparenza è tutto. Così nasconde i veri problemi”. Gran parte dei privilegi sono, infatti, a esclusivo appannaggio degli arabi (intesi come etnia). Anche ottenere la cittadinanza è molto complicato: il governo tende a proteggere lo status quo per non compromettere il suo sistema culturale e il proprio tenore di vita e non consente agli stranieri di risiedere perennemente a Dubai. A questo si aggiunge una politica di accoglienza nei confronti dei profughi di Siria e Iraq molto restrittiva, che ha attirato diverse critiche anche da parte di alcuni commentatori arabi di vedute più liberali.

Dietro la splendida skyline notturna, le luci, la movida della Marina (il quartiere più In della città) e la pista da sci realizzata all’interno del Mall of the Emirates, si cela, dunque, una società sospettosa, severa come lo sguardo dello sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktum, che sembra scrutare i visitatori da grossi pannelli posizionati in ogni angolo della città. Forse per questo Mohammed ama il deserto. E infatti, tra una guida spericolata sulle dune e l’altra, non dimentica mai di fermarsi su quelle immensità sabbiose. Scende dalla Land Rover, lascia ai turisti il tempo di scattare qualche foto, si siede incrociando le gambe e guarda verso nord. Lì dove ha lasciato tutto, tranne la speranza di tornare.